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Misure alternative al carcere per gli stranieri irregolari. La Corte di Cassazione dice si' facendo finta di non vedere la realta'
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Articolo di Claudia Moretti
27 giugno 2006 0:00
 
Lo scorso aprile, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 14500) ha deciso che le misure alternative al carcere possono essere concesse anche agli stranieri irregolari. All'apparenza una decisione che estende un beneficio a piu' persone, e che quindi non puo' che essere apprezzata. Ma e' proprio cosi'?
Le misure alternative, concesse dal Tribunale di Sorveglianza se ricorrono determinati presupposti, permettono di espiare una pena detentiva breve, dai 2 ai 4 anni- fuori dal carcere sotto il controllo dei servizi sociali, oppure agli arresti domiciliari. Sono state introdotte nel 1975 e mirano da un lato a limitare l'ingresso in carcere per i reati piu' gravi, anche per l'esplosiva situazione in cui versano i nostri penitenziari; dall'altro a garantire che la pena non sia solo punizione, ma rieducazione e reinserimento nella societa'.
Fino a questa pronuncia della Cassazione non era chiaro se un condannato straniero e irregolare avesse diritto ad ottenere le misure in questione, visto che presuppongono un lavoro regolare, meglio se stabile, la disponibilita' di una casa, la prognosi di non reiterazione del reato, nonche' la possibilita' di reinserirsi nel contesto sociale violato.
I sostenitori del si', ai quali la corte ha dato ragione, si sono appellati genericamente al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. I sostenitori del no, pur rilevando le aberrazioni e le ingiustizie del sistema, hanno sostenuto che, se in diritto non ci sono ragioni per negare a nessuno la misura alternativa, sempre in diritto non e' applicabile all'irregolare, proprio perche' la normativa sugli stranieri non lo consente.
Non possiamo che concordare con quest'ultima tesi e ritenere che la Cassazione, con la sua decisione apparentemente garantista, si e' solo "lavata le mani" di quello che, ad oggi, e' il piu' grande dramma sociale nel nostro Paese e la nostra vergogna nazionale: la folta popolazione straniera nelle nostre carceri per condanne che spesso non superano qualche mese.
E' di fatto evidente che una lettura coordinata con le norme in materia di immigrazione non consente al clandestino il beneficio dell'alternativa al carcere (anche laddove risultasse incensurato), non tanto per punire la sua irregolarita' (eventualmente punita in sede di cognizione penale e amministrativa), quanto perche' non potra' che risultare privo di tutti gli elementi e presupposti necessari alla sua concessione. Il clandestino e' soggetto che non puo' lavorare, e se lavora al nero e' come se non lo facesse non potendo documentare alcunche'. Di fatto e di diritto non ha casa, vive qua e la, senza concludere di certo un contratto di locazione o prendere la residenza. Ma, cosa ancor piu' paradossale, secondo l'attuale regime dei flussi annuali il clandestino non puo' in alcun modo regolarizzarsi -salvo sanatorie dell'ultima ora-, anche laddove la rieducazione della misura alternativa vada a buon fine! Come potrebbe reinserirsi nella societa' che, per legge, dovra' espellerlo?
E' quindi doveroso, per un qualsiasi Tribunale di Sorveglianza che rispetti la legge, rigettare la richiesta di misura alternativa, anche per un reato minore o in caso di incensurato. A questo si aggiunga il fatto che, sempre la stessa prognosi di non reiterazione del reato avra' spesso impedito al giudice che ha emesso sentenza di condanna di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena (per detenzione inferiore a 2 anni).
Ne segue che il clandestino finira' in carcere anche per pene minime e per reati -pur sempre da punire, sia chiaro!- non certo pericolosi, quali dare il nome falso al poliziotto (fra i reati piu' comuni commessi dai clandestini) o rubare un rossetto al supermercato.
A tutto questo possiamo aggiungere la consueta disapplicazione del testo unico sull'immigrazione ove prevede l'espulsione d'ufficio per i soggetti che espiano una pena inferiore a due anni. Cio' dovrebbe in teoria significare che le carceri sono vuote dei clandestini condannati per reati piccoli. Ma tant'e' che cosi' non e'.
L'assurdo logico e la sottile ipocrisia della sentenza della Cassazione consiste nel voler camuffare la realta' dando l'immagine di un sistema penal-rieducativo beccariano, senza tener conto dell'enorme differenza fra il diritto penale per italiani e il diritto penale speciale per stranieri, che risente delle politiche disastrose in materia di permessi di soggiorno.
Non si puo' negare che ad oggi un medesimo delitto compiuto da un italiano piuttosto che da uno straniero puo' essere punito con sanzioni abissalmente diverse. La Cassazione avrebbe forse dovuto fare riflessioni piu' concrete -con maggiore onesta' intellettuale- che affrontassero senza veli il problema reale e spingessero il legislatore (magari sollevando questioni di legittimita' costituzionale) a modificare l'attuale situazione normativa.
Chissa', forse dichiarando la vera inapplicabilita' della misura alternativa al clandestino la Corte avrebbe potuto spingere il ragionamento fino a prendere coscienza del collasso in corso del nostro sistema penale e penitenziario nei confronti di una parte dell'umanita' . e magari aiutare l'Italia a ripartire da li'.
 
 
 
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