Oggi è il 21 marzo. Oggi, fra le numerose ricorrenze, si celebra in tutto il mondo la
“Giornata per l’eliminazione delle discriminazioni razziali”, fissata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in ricordo del massacro perpetrato dalla polizia sudafricana nel 1960, a Sharpeville, di 69 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell’apartheid.
Quelle proteste e quel massacro dovevano costituire un monito. E invece no. Purtroppo, dobbiamo constatare che, oggi, il razzismo non è scomparso nemmeno con una pandemia (che ci avrebbe dovuto rendere “migliori”, ndr), né con una nuova guerra in corso.
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, molte persone migranti, principalmente provenienti dall’Africa e dal Sud dell’Asia, ma che lì risiedono, come tutte le altre hanno cercato di fuggire il prima possibile. Eppure, numerosissime immagini e video testimoniano la disparità di trattamento loro riservato. La maggior parte degli abusi è stata riscontrata alla frontiera ucraino-polacca dove, secondo alcuni testimoni, da parte delle autorità ucraine, sarebbe stata fatta una selezione tra i cittadini “ucraini” e quelli “non ucraini”. Alcuni hanno raccontato che a diverse famiglie di origine africana con bambini è stato impedito di continuare oltre. Questa pratica razzista e discriminatoria è stata riportata anche da
altre testate giornalistiche e dall’ong
Equinox: Initiative for Racial Justice, che ha riportato
una lunga serie di abusi su Twitter: persino il primo ministro bulgaro avrebbe fatto una netta distinzione tra rifugiati ucraini, definiti come “europei, intelligenti e qualificati”, e i rifugiati provenienti da altri Paesi, definiti come “terroristi”.
Il tutto in barba alle convenzioni internazionali: chiunque fugga da un pericolo, a prescindere dalle sue origini, ha il diritto di poter oltrepassare i confini e chiedere asilo. Eppure questi cittadini “non europei” e “non bianchi”, che pur risiedevano a vario titolo in Ucraina, hanno fatto emergere una forte disparità di trattamento tra rifugiati di “serie A” e rifugiati di “serie B”.
Cosa che si ripete anche in Italia.
Si prova molta rabbia nel vedere la società civile reagire e muoversi con solerzia nei confronti dei profughi ucraini, mentre per altri (ricordiamo le varie “emergenze” che si sono susseguite nel corso degli anni, da quella delle Primavere arabe a quella dopo lo scoppio della guerra in Libia, o dopo la crisi afghana, e poi l’emergenza continua e strutturale delle varie rotte attraverso le quali i profughi continuano ad arrivare via mare e via terra) prevale diffidenza, rifiuto, e in alcuni casi netta chiusura.
Queste reazioni provocano amarezza e un senso di impotenza: l’umanità può avere diversi gradi di sofferenza?
E intanto, anche nel Mar Mediterraneo si continua a morire. Il 12 marzo, al largo della Libia sono morte 20 persone. La notizia arriva dall’Ong Alarm Phone. “Cercavano di raggiungere l’Europa”, si legge su Twitter. Il 27 febbraio, si legge ancora, altri 50 migranti erano morti perché il barcone sul quale si trovavano è affondato davanti a Sabrata. “Abbiamo bisogno di rotte migratorie sicure per tutti”, avrebbe scritto Alarm Phone (Il
Giornale, il 16 marzo, usa ancora la parola “clandestino” e intitola: “Lampedusa, sbarchi fuori controllo: quasi 33mila clandestini in un anno”).
Nel frattempo,
alcune associazioni hanno sottoscritto un appello perché ritengono opportuno stabilire procedure per la tutela della salute di tutte le persone, che non contemplino navi quarantena e che non diano luogo a procedure differenziate (e quindi discriminatorie) nei confronti dei cittadini/e stranieri/e, garantendo che le persone migranti in arrivo trovino immediata accoglienza e, in caso di positività al Covid, anche cure adeguate.
Ma il razzismo non si ferma alle frontiere. Gioca anche in casa.
E accade che un ragazzo, iscritto all’ultimo anno in un liceo di Brescia, sia tornato a casa pieno di lividi, aggredito e picchiato dai suoi compagni di scuola per le sue “radici russe” (padre italiano e madre di origine russa). Il fatto sarebbe accaduto nei primi giorni di marzo ed è stato reso noto dalla stampa locale il 7 marzo (
il Giornale di Brescia).
E sembra anche che non si sia trattato di un caso isolato. Il quotidiano fa riferimento anche ad un altro episodio analogo che sarebbe accaduto in una scuola elementare. Poche righe e poco clamore per qualcosa che potrebbe esasperarsi ed evolvere in una vera e propria isteria russofoba. E sappiamo bene che le aggressioni verbali e fisiche sono solo la punta dell’iceberg di un clima pericoloso che potrebbe trascinare tutti in un odio xenofobo e razzista difficilmente controllabile.
Un altro quotidiano racconta di una giovane donna russa, alla cui figlia di 7 anni, a scuola, viene assegnato come compito a casa il tema “Cosa pensi della guerra in Ucraina e cosa ne pensano i tuoi genitori”. A lei soltanto, in tutta la classe.
È uno strano 21 marzo. Ma oggi, più che mai, dobbiamo tenere alta l’attenzione e denunciare questi e altri razzismi, quelli più evidenti e quelli più striscianti e subdoli.
Con la speranza che inizi presto una primavera di pace.
(Cronache di ordinario razzismo del 21/03/2022)
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