Si e' rivolta al nostro Servizio Immigrazione una ragazza di nazionalita' tunisina. E' regolarmente residente in Europa e desidera sposarsi con il proprio fidanzato italiano. Fra i documenti richiesti dal Comune e in particolare dall'ufficiale dello Stato civile per procedere alle pubblicazioni di legge, la normativa prevede (art. 116 codice civile) il nulla osta al matrimonio. La ragazza si e' recata all'Ambasciata tunisina a Roma e si e' vista negare il documento attestante l'assenza di impedimento, peraltro solo verbalmente. Il motivo? Perche' il promesso sposo non professa la religione islamica. E nessun nulla osta sara' rilasciato, le e' stato detto, fino a quando l'uomo non si rechera' personalmente dall'Imam a Tunisi e ritualmente si convertera'.
Al di la' di qualunque valutazione in merito al comportamento delle autorita' tunisine, o meglio delle leggi di quel Paese, cio' che ci interessa oggi analizzare e' la reazione del nostro ordinamento ad una tanto patente quanto aberrante violazione dei diritti di liberta' religiosa. Puo' l'ufficiale di Stato civile italiano legittimamente rifiutarsi, in assenza del nulla osta, di procedere alle pubblicazioni bloccando di fatto e di diritto il matrimonio? Cosa puo' fare la coppia che vede naufragare le nozze per motivi religiosi e discriminatori? In altre parole, che valore ha la legge straniera nel nostro Stato?
Queste le norme coinvolte.
L'articolo 116 citato, baluardo della monogamia, prevede che l'ufficiale accerti che non sussistano impedimenti al matrimonio con il cittadino straniero e in particolare mira ad evitare che un soggetto gia' legalmente sposato si risposi.
La legge che regola il diritto di internazionale privato e processuale (n. 218/95) dispone che il diritto personale di ciascun nubendo (compreso i rispettivi impedimenti a contrarre matrimonio) sia regolato dalla legge nazionale di ciascun coniuge. Secondo tale disposizione vigente in Italia, dunque, la cittadina tunisina in questione non potrebbe sposarsi perche' la legge tunisina glielo vieta.
Tuttavia, la medesima normativa offre all'art. 16 una via di fuga qualora il diritto straniero contrasti con l'ordine pubblico, disponendo la disapplicazione e la riviviscenza della lex loci, in questo caso del diritto italiano. Pertanto, proprio per il diritto italiano, la futura sposa non ha alcun impedimento al matrimonio se e' nubile o divorziata.
Cio' premesso, occorre rispondere a tre quesiti: 1. La legge tunisina che vieta i matrimoni fra donne islamiche e cittadini non islamici o non disposti alla conversione all'Islam, e' contraria all'ordine pubblico?
2. Come dimostrare il proprio nubilato, che rimane requisito necessario per le nozze secondo il diritto italiano, in assenza del nulla osta?
3. Come fare se l'ufficiale di stato civile non vuol comunque procedere alle pubblicazioni?
1. La legge tunisina e' in contrasto con gli articoli 3 e 19 della Costituzione Italiana, che prevedono la liberta' non coartabile di culto, l'uguaglianza e la non discriminazione. In particolare, enunciano solennemente il diritto all'eguaglianza giuridica e alla pari dignita' sociale, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizione personali e sociali. Ogni norma che preveda una differenza nel trattamento giuridico dei consociati in relazione alle circostanze di cui all'art. 3 della Costituzione si pone pertanto in contrasto con detto principio.
2. Al secondo quesito si risponde invitando gli interessati alla presentazione di un documento che nel nostro Stato corrisponderebbe all'atto di nascita o meglio all'atto di stato civile. Spesso infatti, come nel caso della Tunisia, il certificato di stato civile contiene obbligatoriamente per legge tutte le informazioni utili sul proprio nubilato o sull'eventuale circostanza di matrimonio o di divorzio. Riteniamo che cio' sia sufficiente a dimostrare l'assenza di impedimenti alle nozze, anche di fronte al solo ufficiale di Stato civile, che, a nostro avviso, potrebbe procedere legittimamente anche in assenza del nulla osta previsto all'art. 116 del Codice civile.
3. Qualora la procedura di cui al punto due non fosse sufficiente, occorre impugnare il rifiuto (scritto) alle pubblicazioni con la procedura prevista dall'art. 98 del codice civile, che prevede la ricorribilita' al giudice ordinario in forme semplificate (camera di consiglio) per ottenere l'autorizzazione giudiziale al matrimonio.