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Gli italiani, il loro Diritto e il Diritto Internazionale. L'esempio Bielorussia
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Articolo di Isabella Cusanno *
7 agosto 2011 20:49
 
 Scegliere e privilegiare la strada della legalità in ogni occasione e per ogni finalità è l’unico mezzo che abbiamo per costruire un mondo civile. Rinunciare a chiedere giustizia, accettare di vivere ai margini della legge per utilità o per rassegnazione, è il modo più sicuro per aprire le porte alla barbarie di un nuovo feudalesimo.
E’ il diritto che deve uniformare la legge: il diritto pieno ed incontrastato di ciascuno di noi ad ottenere ed a dare il pieno riconoscimento della propria ed altrui identità ed integrità.
E questo vale sempre e comunque. Vale per i cittadini Italiani e vale per i cittadini stranieri, lo dobbiamo pretendere per noi e per gli altri, dobbiamo riconoscerlo a noi e agli altri.
In termini giuridici ed in termini di diritto internazionale significa anche e soprattutto che la dove è possibile, la diversità delle legislazioni non è un elemento di frattura, ma di una integrazione che comporta un reciproco arricchimento.
Quando il consenso dell’individuo determina la normativa applicabile, la carenza legislativa di una nazione non è un elemento di esclusione della correttezza delle proprie scelte.
In quest’ultimo anno in cui ho avuto modo di affacciarmi attivamente al mondo giuridico della Bielorussia, seppure in ambito esclusivamente italiano, per tutelare i diritti degli italiani e dei cittadini bielorussi che avevano rapporti con gli italiani (recepimento adozione maggiorenni, appunto, o i contratti per le donazioni a minori o altro), ho dovuto constatare che noi italiani troppo facilmente preferiamo scegliere la scorciatoia pur di non rapportarci con quanto non conosciamo o di cui diffidiamo.
Con troppa semplicioneria accettiamo spiegazioni approssimative dettate -anche- dalla comodità altrui, piuttosto che scegliere la soluzione migliore e pretenderne l’applicazione e gli effetti.
E’ il modo, del resto, con cui in patria, viviamo la legge.
Sudditi di ”quello che la gente dice” o della convenienza sociale, o della raccomandazione, o dell’opportunità, o della convenienza, o della convinzione di “sapere come si vive”, del “farci gli affari nostri”, rinunciamo costantemente ad essere liberi cittadini di un libero stato.
Rinunciamo a difendere i nostri diritti, a chiedere conto della tracotanza altrui, a pretendere il rispetto che ci è dovuto perché siamo esseri umani e non figli di qualcuno.
Ci siamo dimenticati che sono stati i nostri padri ad insegnare al mondo che è il diritto che ci rende liberi.
E così all’estero consideriamo una semplificazione accettare l’approssimazione di una usanza, conosciuta per sentito dire, come fonte di comportamento. Si fa così. Perché?
Rinunciamo, in questo modo, al rispetto che ci è dovuto. Ci precludiamo soluzioni e condizioni di vita ottimali, rinunciamo anche a darle agli altri, anche se sono a noi cari.
Rinunciamo a scommettere, a provare, a mettere in discussione quello che ci viene detto, rinunciamo a tutto.
Così facendo attribuiamo al nostro ideale interlocutore ogni colpa ed ogni difetto, li scansiamo da noi, e non ci facciamo carico delle legittime istanze altrui. Ci arrangeremo a casa. Lì, dove abbiamo amici autorevoli, si risolverà tutto il possibile.
E non ci accorgiamo che questo possibile di cui ogni giorno ci stiamo accontentando, è molto meno di quello che potremmo ottenere e di quello che potremmo dare se insistessimo per avere quanto ci spetta di diritto, in Italia ed all’estero.
Troppo affrettatamente sono state negate soluzioni per gli Italiani ed i loro cari, pur cittadini Bielorussi, in Bielorussia. Da chi? Dalla nostra approssimazione, dalla nostra convinzione che non vale la pena provare, che una domenica al mare è più produttiva di una istanza di diritto.
E così facendo neghiamo a noi stessi ed ai cittadini stranieri che potrebbero trarne vantaggio l’accesso alle nostre stesse leggi, alla qualità di vita che attraverso secoli di cura giuridica siamo riusciti a raggiungere.
Il diritto non si può negare.
Non si può e non si deve negare a nessuno l’accesso alle nostre leggi, là dove la qualità della normativa italiana e le normative di diritto internazionali lo consentono: non lo si può negare ai Bielorussi, o ai Tedeschi, o ai Francesi, o ai Cubani, o ai Venezuelani o a chiunque altro.
Tanto più se questa negazione nasce dall’approssimazione della pigrizia e della faciloneria.
Escludere l’accesso al nostro diritto ai cittadini di altre nazionalità equivale a non confrontarsi con loro, equivale a privarli di legittime possibilità, a negare l’uguaglianza nella legalità. Escluderli, raddoppia le distanze, isola le coscienze e consolida gli esiti di un diniego di giustizia.
Il Diritto non è la logica astratta di una equazione matematica.
E’ un esercito in marcia che conquista la pace sociale, è il vento forte dell’equità che placa le coscienze, ma è soprattutto una creatura che vive delle nostre attenzioni, ha bisogno di costanti riguardi, deve essere voluto, preteso, considerato.
Ha bisogno di crescere, di operare su fronti nuovi, di adeguarsi al mondo che cambia. Ha bisogno di essere amato, non solo usato.
Diversamente appassisce ed involve o muore, come un qualsiasi altro essere vivente. Ma se è il diritto a morire, ci aspetta il medioevo delle coscienze e la barbarie dell’umanità.

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* Avvocato, legale Aduc
 
 
 
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