Sul numero 30/31 del settimanale “Notizie evangeliche” (NEV) di due giorni fa, il 3 agosto, ci sono diverse informazioni che mi hanno fatto gioire.
Riguardano l’accoglienza ai migranti extra comunitari, in particolare afghani, che continuano a essere proprio l’ultima ruota del carro – ed è già un eufemismo, se si pensa appena alla sorte dei migranti stretti, da prima dello scoppio della guerra in Ucraina, nel corridoio recintato da cortine di filo spinato tra Bielorussia e Polonia. E’ lecito chiedersi che fine abbiano fatto dal 24 febbraio in poi. Sono morti tutti di freddo, di fame, di stenti? Mentre la Polonia fa la parte della nazione buona e generosa, accogliendo a braccia aperte gli Ucraini - notoriamente di pelle bianca e dai capelli biondi!
Ma andiamo alle notizie di questi giorni, per fortuna, come accennato un pochino più confortanti per chi ha a cuore il benessere delle persone, senza distinzioni di etnia, di lingua, di religione …
Prima buona notizia
Comincio con l’iniziativa dei
Corridoi umanitari che fanno arrivare in Italia, con tutti i crismi della legalità, profughi da diverse parti del mondo. Sono resi possibili da diversi anni grazie al protocollo di intesa con lo Stato italiano, il più recente dei quali è stato firmato il 4 novembre 2021 da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Arci, Caritas Italiana, IOM, INMP e UNHCR.
Il volo atterrato a Fiumicino il 27 luglio u.s. ha portato in Italia
217 profughi afghani che si erano rifugiati in Pakistan nell’agosto scorso, quando l’improvvida, scandalosa fuga di americani e altri presidi occidentali, fra cui l’Italia, lasciò in balia dei talebani l’Afghanistan, esponendo, così, ad atroci persecuzioni i molti abitanti che avevano lavorato con questi Paesi, e che avevano creduto e sperato nella democratizzazione del loro Paese e della possibilità, per tutti, e specialmente per le donne, di vivere in una condizione di rispetto dei diritti civili, compresa, fra le altre cose, la libertà di espressione, di movimento, di istruzione …
Gli arrivi del 27 luglio si sommano ad altri due, di entità più limitata, avvenuti il 25 e il 28 luglio dall’Iran. In tutto si è raggiunto il numero di oltre 300 rifugiati che potranno vivere una vita dignitosa qui, nel nostro Paese.
Il progetto dei “Corridoi umanitari”, si legge nel lancio di agenzia, “
è totalmente a carico delle associazioni proponenti ed è reso possibile grazie alla generosità e all’impegno gratuito e volontario di tanti cittadini italiani, che hanno offerto le loro case per ospitare, ma anche congregazioni religiose, ONG e diversi soggetti della società civile. Tra queste Solidaire, che in collaborazione con Open Arms, ha contribuito all’organizzazione del volo dal Pakistan”.
Nel pomeriggio del 27 luglio, a Fiumicino, si è svolta una
conferenza stampa con la partecipazione di: Marina Sereni, viceministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio; Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia; Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese; Filippo Miraglia, responsabile nazionale Immigrazione di Arci; Valentina Brinis, Open Arms; Sylvan Adams, CEO Israel – Premier Tech.
La seconda bella notizia riguarda un’altra realtà che ha a che fare
col programma migranti e rifugiati della federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), affidata a “Mediterranean Hope” (MH).
Essa ci porta a Bihac, una città posta sul fiume Una, nella parte nord-occidentale della Bosnia ed Erzegovina, che nel censimento del 1013 contava 61.168 abitanti.
Lì, alla fine del gennaio scorso, è stato aperto
un centro diurno per dare sostegno alle persone migranti che passano dalla Bosnia per raggiungere l’Europa.
A giugno si è ritenuto giunto il momento di fare un primo bilancio di questa attività.
Da esso risulta che da febbraio a giugno sono state
più di mille le persone che hanno frequentato questa struttura, usufruendo di un servizio ristoro, di docce, di lavatrici e della distribuzione di vestiti, il tutto reso possibile da operatori e volontari della zona.
Da queste persone sono arrivate notizie sconfortanti sul comportamento delle polizie croata e slovena che continuano a respingere illegalmente e con violenza i migranti in transito.
L’ondata di caldo, che ha investito anche la regione di Bihac, si è trasformata, secondo il responsabile del progetto, Niccolò Parigini, “
in un’ulteriore sfida per le persone migranti e per il nostro lavoro; infatti il numero di persone che vengono al centro diurno si è momentaneamente abbassato, nonostante il cambio negli orari di apertura del centro verso le ore più fresche del giorno”.
Dopo i primi corridoi umanitari, di cui si è parlato nella notizia precedente, la Bosnia è uno dei Paesi dai quali la FCEI ha chiesto e ottenuto di poter far partire altre persone di nazionalità afghana.
Terza buona notizia
Viene dalla Piana di Gioia Tauro, in Calabria, e precisamente da
san Ferdinando, cittadina che fa parte della città metropolitana di Reggio Calabria.
Dal 2019, proprio in questa zona, Mediterranean Hope ha promosso un’attività di monitoraggio e assistenza ai braccianti, promuovendo, per esempio, l’iniziativa "
Luci su Rosarno", volta a tutelare l’incolumità dei braccianti che, percorrendo in bicicletta, all’alba o dopo il tramonto, quelle strade completamente buie, erano esposti al rischio di investimenti.
Questa volta, si tratta di un’esperienza di
turismo solidale che si svolge a stretto contatto coi lavoratori migranti della Piana. Il suo nome è
DAMBE SO, che, in lingua Bambarà (una delle lingue diffuse in Africa occidentale) vuol dire “
casa della dignità”, un ostello autogestito, dove, dal febbraio scorso abitano diversi braccianti
L’articolo di NEV presenta l’esperienza di alcune persone di varia provenienza.
C’è
Pape, uno dei lavoratori che vivono all’ostello da febbraio, che ne fa un bilancio positivo: “
Sto bene e in questi mesi abbiamo incontrato i turisti, abbiamo avuto modo di far conoscere il territorio, ci sono state occasioni di confronto e scambio, ci sono stati e ci sono gli allenamenti di boxe, con i braccianti. Abbiamo anche organizzato una cena africana. Siamo contenti … La mia vita è migliorata non solo grazie all’ostello ma già da prima, grazie al lavoro con Sos Rosarno di cui sono socio lavoratore. Mi auguro che a ottobre potranno arrivare altre persone che vorranno stare qui all’ostello”.
C’è
Antonella Belfiore Tommaso, di San Ferdinando, pensionata ed ex insegnante, la quale, entrata in contatto con la realtà delle persone immigrate e impiegate in agricoltura nella zona quando c’è stata la rivolta di Rosarno, nel 2010, ha continuato in questi anni a impegnarsi attivamente, fino a mettere in piedi, con altri cittadini del posto, una scuola di italiano per i braccianti , la
hospitality school.
Dal febbraio scorso è anche volontaria presso l’ostello sociale. La sua testimonianza è entusiastica; per lei è un’esperienza coinvolgente dal punto di vista emotivo, perché in questo modo può favorire quel contatto diretto e famigliare, di cui pensa abbiano bisogno i giovani baccianti, “
un’attenzione e un sorriso che ‘fuori’ non hanno, persone che nei posti di lavoro ricevono solo ordini e qui ricevono invece almeno un po’ di attenzione”. Secondo lei l’ostello, grazie all’interazione coi turisti, sta diventando anche un “
luogo di socialità”, e la prospettiva che vede è quella di poter “integrare questo luogo, in uno spirito di promozione del territorio”. Anche se, per ora, la maggioranza della popolazione locale sembra guardare a queste realtà con distacco.
Sui “ghetti formali”, cioè gli spazi separati assegnati ai braccianti stranieri dalle Amministrazioni locali, Belfiore Tommaso è molto critica. Secondo lei, non è questo il modo di “gestire” l’accoglienza ai lavoratori; bisogna, invece, mirare sempre all’integrazione, all’inclusione e alla partecipazione, come del resto accade, proprio a San Ferdinando, con la comunità marocchina che vi è ben radicata da anni.
Ha, invece, 29 anni ed è dottoranda di ricerca in diritto penitenziario un’altra volontaria,
Angela Chiodo. Per lei il progetto dell’ostello “rappresenta una fida e un’occasione, e la dimostrazione che, se c’è convergenza di vedute e unione di intenti, si possono fare cose davvero positive. Di recente ha partecipato all’inaugurazione del Giardino della memoria, spazio per ricordare cittadini e cittadine impegnate per i diritti e il lavoro nella Piana di Gioia Tauro.
La quarta voce è quella di
Miriam Bovi, volontaria di MH e ricercatrice di filosofia politica e sociologia, che, da giugno, si occupa, tra l’altro, di un corso di kick-boxing, un impegno serale trisettimanale a pochi passi dalla spiaggia. Secondo lei, grazie allo sport, è possibile “
abbattere barriere e pregiudizi, accedendo a una dimensione partecipativa e paritaria con semplicità e spontaneità”. In questa esperienza legata all’Ostello di san Ferdinando, trova conferma di quanto maturato in diversi anni di insegnamento di questo sport : “
Anche qui, insieme ai lavoratori braccianti, i turisti e le turiste solidali, gli operatori e le operatrici e i volontari e le volontarie, siamo riusciti a riunire le diverse esperienze personali. Da un lato, la pratica della kick boxing aiuta a canalizzare il carattere individuale di ognuno nella tecnica e nella disciplina e, dall’altro, permette di aumentare l’autostima, creando uno spazio sociale e leggero che svuota la testa da preoccupazioni e frustrazione. Per tutte e tutti”. Il suo auspicio è che anche gli abitanti di san Ferdinando si avvicinino presto a questa attività.
Alla fine, è
Francesco Piobbichi, coordinatore del progetto MH Rosarno, a fare un primo bilancio, e positivo, dell’attività dell’ostello solidale: “
I primi mesi di sperimentazione hanno dimostrato che l’intuizione che abbiamo avuto ha basi solide per continuare. La cosa più importante è che i lavoratori braccianti che hanno attraversato l’ostello hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno, perfezionare i percorsi di emersione dall’irregolarità con la sanatoria e dimostrare a tutti che è possibile uscire dal sistema dei “ghetti”. Ora vogliamo mettere a sistema quanto fatto, allargando la platea delle persone che potranno usufruire dell’ostello, generando un processo di mutualità e reti di economia circolare che rendano gestibile e autonomo economicamente questo progetto”.
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