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Per essere universali in questo mondo, è necessario essere bianchi per forza. Reni Eddo-Lodge
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Articolo di Redazione
23 ottobre 2018 15:55
 
 Durante un’intervista in un parco di Soho, nel centro città di Londra, un senzacasa le fa una domanda. “Lei è uno scrittore? Vorrei discutere con lei”. Reni Eddo-Lodge rifiuta la richiesta, un po’ sconcertata. Normalmente è lei che avvia la conversazione. Il suo primo libro “Why I’m No Longer Talking to White People About Race”, pubblicato nel 2017, ha scatenato una controversia a livello nazionale sulla fine del dialogo tra comunità in un Regno Unito che da tempo ha vantato la propria multiculturalità.
In Brasile, dei militanti antirazzisti usano questo libro contro Jair Bolsonaro, il candidato di estrema destra, favorito per le presidenziali. In Australia, alcuni simpatizzanti dei diritti degli aborigeni, si sono sentiti "compresi e incoraggiati” dalla sua lettura.
Dopo essere stato tradotto in polacco e in tedesco, il libro è uscito in Francia alla fine del mese di settembre, in piena polemica sul nome di Hapsatou Sy che, secondo Eric Zemmour, sarebbe un “insulto alla Francia”. Il suo titolo in francese: Il razzismo è un problema dei Bianchi (edizioni Autrement).
Orribile retorica
Nella sua opera, la londinese di 29 anni analizza il modo in cui il razzismo impregna la società britannica e “compromette l’uguaglianza delle possibilità delle persone di colore”.
L’autrice procede con un esame estremamente documentato del “razzismo strutturale”, grazie a dati governativi, archivi e studi universitari per misurare l’ampiezza del suo impatto nell’accesso all’alloggio, all’educazione e al lavoro.
Un lavoro da cui emerge un quadro edificante delle discriminazioni sistemiche e la cui conclusione è che è difficile “spiegare in altro modo che nel 2018, pur con uguali possibilità, ci sono meno possibilità di trovare un lavoro se si ha un nome africano o asiatico piuttosto che un nome bianco”.
Per l’autrice l’avventura comincia una sera di febbraio 2014, con un articolo postato su un blog e già intitolato “Perché non parlo più di razzismo con dei bianchi”. Questa accusa contro la negazione del razzismo, “il muro bianco”, diviene rapidamente virale.
Una grande casa editrice le propone di fare un libro. “Quando ho pubblicato questo minuscolo scritto -ricorda- ero pessimista e triste, perché quando parlavo della mia esperienza del razzismo ai miei amici, compagni o colleghi bianchi, mi sentivo rispondere che questo era nella mia testa. Si annoverano queste considerazione all’ambito della sensibilità, non dell’ingiustizia. Ho dovuto raccontare la sensazione di collasso che si prova negando questa sofferenza devastante”.
Diplomata in letteratura, Reni Eddo-Lodge Ha 24 anni e incarna questo nuovo antirazzismo in opposizione con quelli che rifiutano di vedere il colore della pelle e le discriminazioni che ne derivano.
Il dibattito prende vita a livello televisivo, dove lei dimostra di avere una retorica formidabile. Il suo piacere per lo scontro la spinge anche a proporre un confronto con il leader di estrema destra Nick Griffin in pieno referendum sulla Brexit. In occasione di questi scambi - riportati anche nel libro - il politico invita la giovane donna, nata a East London da genitori di origine nigeriana, “a lasciare questo Paese”.
“Privilegio bianco”
Reni Eddo-Lodge ha sulle spalle un decennio di militanza, portata avanti nei settori femministi bianchi. “Simone de Beauvoir mi ha aperta al mio femminismo. Durante le riunioni, quando ricordavano il fatto di essere doppiamente discriminata perché nera e donna, mi dicevano che ero fuori tema, perché lì si parlava di sessismo””, ricorda la scrittrice con un look ricercato: taglio dei capelli afro rasati ai lati, mocassini, giacca di velluto.
Ne conclude che il razzismo non è una questione di valore morale, ma di esercizio del potere. Un potere che va a vantaggio di chi usufruisce del “privilegio bianco”, che consiste nel “avere dei vantaggi nella vita proprio grazie al proprio colore e non per il merito. Coloro che ne fruiscono non si rendono conto che questa è la norma. Essere bianco nel mondo, è essere universale”, spiega in modo molto semplice.
La scrittrice è consapevole di dare fastidio. I progressisti “leggono il suo saggio e ne escono scossi, perché io metto in discussione la dimensione sistemica che consente loro di avere dei privilegi a svantaggio delle persone di colore. Un po’ come gli uomini progressisti di fronte a #metoo”. I suoi detrattori l’accusano di praticare un “razzismo anti-bianco” e di ricondurre tutto all’identità razziale, nel momento in cui per lei “è l’essere bianco l'ideologia che è pericolosa”.
Per illustrare questo razzismo insidioso che “si infiltra come un gas in tutto quello che ci sta intorno”, Reni Eddo-Lodge racconta che a 4 anni ha chiesto a sua madre quando sarebbe diventata… bianca. “In televisione, nei libri, i personaggi positivi erano bianchi. I malvagi erano non-bianchi. Io mi vi vedevo come una ragazza intelligente. Era quindi evidente che sarei diventata bianca in seguito”.
Gruppuscoli neo-nazisti
La giornalista colloca la sia vicenda nella grande storia, quella delle tensioni razziali ereditate dalla colonizzazione, della schiavitù (1,5 milioni di africani sono passati da Liverpool durante la tratta) e dell’immigrazione del XX secolo. Una storia di emarginazione sociale, di linciaggi e di violenze della polizia, ma anche di resistenza e di rivolte.
L’autrice ricorda il prezzo del sangue versato da alcuni sodati giamaicani durante la prima guerra mondiale e la loro emarginazione tempestiva a conflitto terminato. Il suo saggio fa eco allo scandalo della generazione Windrush, dal nome di quegli antillesi venuti a ricostruire il Paese dopo la guerra ed oggi minacciati di espulsione.
Di fronte ai discorsi contro i migranti, Reni Eddo-Lodge fa sua questa affermazione dello scrittore dello Sri Lanka Ambalavaner Sivanandan, ex direttore del think-tank dell'Institute of Race Relations (morto il 3 gennaio 2018): "Se siamo qui, è perché eri lì".
Oggi, le tensioni razziali sono maggiori nel Regno Unito, grazie alla Brexit e al ritorno in forze dei gruppuscoli neo-nazisti. Reni Eddo-Lodge crede che in un movimento globale antirazzista. Nel suo Paese, lei ne è diventata una portavoce.
Ma questa visibilità potrebbe trasformarla, malgrado lei, in icona antirazzista condannata a controllare ciò che dice. Al momento, continua a “prendersi cura” di se stessa, visto che ha sofferto di depressione cronica e perché il libro è stato una “terapia”, una conversazione con se stessa. “C’è un legame tra razzismo e salute mentale. Tutte le ingiustizie distruggono, perché si soffre di non avere il controllo della propria vita”, insiste la nostra scrittrice che sta già lavorando su altri argomenti, lasciando la discussione aperta.

(articolo di Coumba Kane, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 22/10/2018)
 
 
 
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