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21 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
"Che relazione c’è tra quanto da me affermato e la tua replica?
Che c’entra il fare tanti figli con l’operaio che guadagna poco?
La coppia che fa tanti figli è esclusivamente responsabile del risultato; possiamo dire che l’operaio è responsabile del suo scarso guadagno?
E sarei io che faccio discorsi assurdi?"
In primo luogo, sono un convinto sostenitore del più-che-proporzionale e non solo del proporzionale, perché ritengo corretto che chi ha di più, dia, in proporzione, più di chi ha di meno. E questo non l'ho trovato nelle tue parole.
Il livello di scolarizzazione e di laureati nel Sud Italia è più elevato che nel Nord Italia (parlo della popolazione giovane, naturalmente). Questo perché l'attrattiva del "lavoro subito" finito l'obbligo scolastico, fa uscire molti giovani dal loro percorso. Giovani che ritroviamo, magari, come operai in cg qualche anno più tardi. Non dovremmo parlare di responsabilizzazione anche qui? Non avrebbero avuto, magari, la possibilità di migliorare il loro livello di istruzione e, quindi, magari anche il loro livello di reddito (=capacità contributiva futura)? Come vedi il nesso di causalità è presente anche qui... E lo sconfinare nei discorsi assurdi lo si ottiene solo perseguendo "follemente" il concetto di libertà individuale e di autodeterminazione.

Mi dispiace che, dopo tutto quello che ho scritto, che tu non abbia ancora capito che il mio criticare la frase "produrre braccia per i campi" è semplicemente perché vedo un fatto di fondamentale importanza, per la crescita dell'individuo, avere la possibilità di procreare.

E mi dispiace altrettanto che tu non abbia capito che con i miei interventi iniziali sono voluto andare a rispondere alla domanda che da il titolo stesso all'articolo. Ovvero che legiferare su questioni che hanno rilevanza sociale è importante, che non significa essere uno stato etico e sostituirsi alla capacità di giudizio di una persona. E stare a dire "lo stato può legiferare in quello che vuole perché non ha alcun limite in tale senso" è un'ovvietà che non contribuisce alla discussione. Legiferare su queste questioni è importante, come è stato importante legiferare sull'istruzione obbligatoria, sul diritto dei lavoratori ecc ecc. Mi sembra assurdo che si consideri il procreare una cosa privata, che non ha alcuna ripercussione sulla società. E che sulla base di questo si invochi l'autodeterminazione dell'individuo.
Educare alla responsabilità è anche far capire che le nostre azioni hanno conseguenze, conseguenze che non sempre possono essere ignorate o che sono di secondaria importanza, reversibili. Penso che la diagnosi pre-impianto, invece, vada nella direzione opposta, che suggerisce "non importa in che situazione sei, noi ti possiamo assicurare al meglio delle nostre possibilità, che tuo figlio non tradirà le tue aspettative". Una sirena dal canto pericoloso, e non solo per l'individuo ma per la società stessa. Se non siamo in grado di difendere la dignità di chi, pur non essendo nato, è "in progetto", secondo me falliamo in un momento in cui la nostra società "sta sviluppando le sue capacità mentali" (rimanendo nella metafora a te cara). Non sono estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato, ma, se posso capire l'aborto per fini terapeutici, non mi sembra giusto permettere distorsioni a 360 gradi. La questione, riguardo la legge 40, sta nel determinare quali siano le finalità diagnostiche e terapeutiche: e in questo senso che ti chiedo se l'esempio "della donna che 'sogna' un bel maschietto", proprio in virtù della soggettività della gravidanza, non potrebbe essere considerato, estremizzando, una finalità diagnostica, cioè di non indurre nella donna quello stato di ansia che la porterebbe poi a correre il rischio dell'aborto.
Hai ragione, non è limitando che si risolvono i problemi ma neanche lasciare la porta di casa spalancata...

Hai anche ragione nell'affermare che non conosco profondamente la legge 40: non sono un giurista, non sono un avvocato e trovo difficile, onestamente, districarmi nelle locuzioni oscure dei provvedimenti legislativi. Eppure mi spieghi dove sto suggerendo di procedere in una direzione in cui è già stata dichiarata l'incostituzionalità?
Riprendo i tuoi punti (a cui mi rifaccio con fede cieca):
- voglio obbligare a portare a termine la gravidanza?
- ho sostenuto l'obbligo di impianto a prescindere delle condizioni di salute della donna?
- ho sostenuto l'obbligo dei 3 embrioni?
Ero a conoscenza dell'intervento del TAR del Lazio sulle linee guida, ma, pur nella mia ignoranza, questo mi sembra un intervento di tutt'altro livello. In parole povere ha detto "queste cose non puoi stabilirle nelle linee guida perché lì non puoi essere più restrittivo che nella legge stessa", giusto? Questo mi fa pensare che se fossero state formulate all'interno della legge stessa, le cose per il TAR sarebbero regolari, o mi sbaglio?

Ribadisci ancora questo punto della certezza matematica, estrapolandolo, ancora una volta, dal contesto. Supponendo la diagnosi pre-impianto, il medico espone alla "candidata" mamma i rischi connessi sulla base delle evidenze scientifiche. Se parlasse di, poniamo, 25% di probabilità che effetto avrebbe questo numero sullo stato della donna? E' noto, dalla psicologia, che non siamo in grado, la maggioranza, di valutare correttamente il rischio (è ieri che si parlava di come non siamo in grado di capire una cosa semplice come il meteo?), quindi, proprio in virtù della soggettività della scelta, non possiamo ignorare questo fatto. E non nascondiamoci dietro un dito dicendo che l'effettuare la diagnosi pre-impianto influenza in un modo impredicibile, nella maggioranza, la decisione di impiantare o meno. La risposta nella maggioranza dei casi è "io non rischio", e si butta. Ma la domanda che mi faccio io, e che ti ripeto per la seconda volta in questo intervento, è "ma io non rischio di fare cosa? non rischio la mia salute? o non voglio rischiare che mio figlio sia diverso da come me lo immagino?". Mettere un paletto su questo non mi sembra arbitrario, ne giuridicamente insensato se, come tu hai detto, il principio è di difendere la salute della donna, e io, nella definizione di salute, non ci metto i desideri e le aspettative. O, altrimenti, interveniamo anche su tutta un'altra serie di campi.
E sinceramente se stiamo a discutere sul fatto "sostieni di parlare della legge 40, quando invece il divieto pre-impianto fa parte delle linee guida" (se ho inteso bene le tue parole) allora ricadiamo nell'italiota vizietto di cavillare sulla forma per non discutere del contenuto. Ripeto, non sono un giurista, mi interessa il contenuto e sta ad altri fare in modo, se la posizione è condivisa, che la forma rispetti e sia appropriata al contenuto. Dobbiamo mettere nella legge il divieto della diagnosi pre-impianto invece che lasciarlo nelle linee guida? Bene, se la maggioranza è d'accordo, facciamolo...

Sinceramente non capisco le tue frasi relative alla definizione di malattia. A parte trovarle decisamente insensate, non mi sembra neanche che possano influire sul resto della discussione, quindi sorvoliamo...

Parli sempre di responsabilizzare e non potrei essere più in sintonia con le tue parole. Eppure trovo sempre pericoloso prima "liberalizzare" e poi iniziare, forse, un'opera di responsabilizzazione. Perché non cominciamo ora a responsabilizzare e "domani" liberalizziamo legge 40? perché non miglioriamo i servizi di supporto alla maternità e domani discutiamo della legge sull'aborto? Perché non sensibilizziamo ora la popolazione italiana sulla questione risorse? Perché non diamo ora gli strumenti per un'agricoltura intensiva ai paesi in via di sviluppo e domani parliamo di denatalità? Dopotutto anche l'ordine è importante.

Sbuffi (metaforicamente) nello spiegare le tue intenzioni di "X al quadrato" e mi vieni a fare l'analisi grammaticale della mia domanda sull'attendibilità della diagnosi? Facciamo un po' di analisi del periodo. Di cosa si stava parlando? Di diagnosi pre-impianto che, sempre nell'ambito della legge 40 in senso proprio, non può valicare i confini di "diagnostica e terapia". E ci risiamo: quali sono questi confini se non si riassumono nella salute della donna? Non li vogliamo mettere nella legge? Va bene, ma, in un'ottica di responsabilizzazione, che indicazioni dovremmo dare alla responsabilità dell'individuo?

Bei discorsi sulla crescita economica: come non si può essere d'accordo con la tua definizione? Il solo svantaggio di tale definizione è che non è quantificabile e, quindi, non stare a parlare di andamento aritmetico e andamento geometrico: diventano solo concetti privi del senso originario.

Perché deduco altro da quanto scrivo? La risposta è molto semplice: perché una volta stabilito un concetto come vero questo apre, direttamente, altre porte. Rendere fumoso il campo di applicazione della diagnosi pre-impianto apre, da un parte, a comportamenti virtuosi ma, dall'altra, ai comportamenti assurdi e deprecabili (anche giuridicamente, mi pare di poter dire) che ti ho cercato di esemplificare con "il sesso del nascituro".

Perché in Italia siamo a crescita zero (sotto zero se non consideriamo il flusso migratorio)? Quale politica di contenimento delle nascite è stata fatta? Siamo più attenti e responsabili all'equilibrio mondiale?

Eh già... mi hai scoperto... sono a capo di una potente organizzazione che sfrutta i "poveri bambini africani"... sapessi quanti soldi sto facendo proprio ora che stiamo discutendo!
Io ho detto che il tuo promuovere un controllo altrove è un modo "comodo" di posticipare i problemi in casa, di permetterti di consumare senza troppi ripensamenti i tuoi 10mila quintali di carne e di non preparare la tua zuppa di legumi. Tu mi rispondi che guadagno sulla pelle di deboli e miseri. Vedi qualche differenza nelle due posizioni?

E consumare di meno non è così facile. E' questo il problema, perché se tu riduci i consumi qualcuno riduce i prezzi e la produzione e questo significa ridurre popolazione occupata..

Suggestiva la metafora della società che, raggiunto il punto di equilibrio nella sua dimensione fisica, sviluppa le sue capacità mentali. E come fai a trovare strano che, in una società come quella italiana, i servizi superano primario e industria?
17 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, volevo scrivere “popolazione X per 2” e ho scritto “popolazione X al quadrato”. Penso che, dal senso di quanto ho scritto, questo errore di scrittura risulti evidente. Ovviamente, mi riferivo all’aspetto numerico della popolazione e non alla nazionalità.

Ribadisco che per favorire il miglioramento delle condizioni di vita e il superamento di fame e miseria occorre un tasso di crescita economica ben superiore a quello demografico.
Una significativa quota della popolazione mondiale soffre la fame e vive in condizioni igienico-sanitarie terribili. La causa di ciò non è solo la crescita demografica, ma anche questa concorre a determinare questo risultato.

Scrivi: “Io parlo di un modello di consumi e di servizi differente da quello attuale, tu mi dici che per mantenere i tuoi consumi vuoi precludere la crescita demografica di altri paesi”.
Interpretazione del tutto arbitraria che fai di quanto asserisco.
Ho criticato il modello consumistico, ho scritto della necessità di migliorare i servizi preferendo ciò ai contributi diretti (leggi bonus bebè o incentivi ai figli italiani nati da italiani)… e tu dai questa interpretazione del mio pensiero? Liberissimo di farlo ma è una valutazione immotivata.
Non voglio, per mantenere il mio stato di vita, privare altri popoli di alcunché. Ritengo che una politica di contenimento della crescita demografica possa favorire il miglioramento delle condizioni di vita. Ciò non significa “precludere la crescita demografica di altri paesi”… certo, se siamo ancora fermi all’idea che la crescita demografica sia un fattore di crescita economica… beh allora si spiega quella frase che tanto ti scandalizza: “produrre braccia per i campi”! In tal caso, il tuo pensiero non rischia di dare forza a quella frase?
Non vedo alcuna ragione per insistere con l’ostracismo verso una politica che, attraverso sensibilizzazione e responsabilizzazione, favorisca una procreazione più consapevole.
Dove per consapevole, anche questo mi sembra chiaro da quanto ho scritto, intendo la cognizione di quanto sia impegnativo mettere al mondo un figlio; significa gestire la propria capacità procreativa anche in ragione delle proprie capacità di assistere e mantenere un figlio. Significa che è doveroso aiutare i più deboli e chi è nel bisogno, ma è anche doveroso cercare di prevenire le situazioni di difficoltà. Per esempio, maggiore educazione e informazione sulla contraccezione può essere un modo per prevenire l’alta natalità e, allo stesso tempo, prevenire aborti e gravidanze indesiderate. O forse solo castità e continenza sono mezzi leciti per limitare la crescita demografica?

Introduci nuovi elementi confusivi quando rispondi al mio esempio basato su parità di reddito tra contribuenti con e senza figli, facendo a tua volta un esempio basato su capacità di reddito diverse. Chi ha mai affermato che non sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle entrate? Ho testualmente scritto “I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive”.
Che relazione c’è tra quanto da me affermato e la tua replica?
Che c’entra il fare tanti figli con l’operaio che guadagna poco?
La coppia che fa tanti figli è esclusivamente responsabile del risultato; possiamo dire che l’operaio è responsabile del suo scarso guadagno?
E sarei io che faccio discorsi assurdi?

Consumi eccessivi di cereali e carne?
Quando scrivo della necessità di cambiare abitudini alimentari, di avviare programmi di educazione alimentare, quando scrivo che c’è chi muore di fame e chi muore di sazietà, quando scrivo “di uno stile di vita in forza del quale è più agevole cucinare una bistecca che preparare una zuppa di legumi”… secondo te a cosa mi riferisco?
A già, dimenticavo: io voglio frenare la crescita demografica degli altri per mantenere il mio stile di vita.
Tutto il mio argomentare mira a valutare ogni strumento, rispettoso della dignità umana, che possa favorire l’uscita dalla miseria, dalla fame… e uno di questi strumenti è il contenimento della crescita demografica. Qualificando questa possibilità come una posizione cinica ed egoista, rischi di contribuire, ma sei in buona compagnia (sono io che rappresento una esigua minoranza), a perpetuare un modello di sviluppo che genererà solo altra miseria.

LEGGE 40\2004
La legge 40 prevede l’accesso alla procreazione medicalmente assistita “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”.
Non ho mai scritto che tale limitazione (divieto di accesso alla fecondazione assistita per le coppie fertili) sia giusta e sensata e neanche che sia ingiusta o insensata.
Ho svolto alcune considerazioni sulle norme di legge; considerazioni che trovano conferme nei pronunciamenti recenti e passati anche della Corte Costituzionale. Questa legge è pessima e mi sembra che pezzo dopo pezzo stia andando in frantumi.
Questo il quadro giuridico:
> è incostituzionale l’obbligo di portare a termine la gravidanza;
> è incostituzionale il comma 3° dell’art. 14 della legge 40 "nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna";
> è incostituzionale l’obbligo di procedere a un “unico e contemporaneo impianto comunque non superiore a 3” embrioni (art. 14 comma 2° legge 40).

Affermi che stiamo discutendo della legge 40, ma non consideri il livello giuridico e le mie osservazioni strettamente aderenti a questo quadro giuridico e sposti l’attenzione su valutazioni etiche supponendo e deducendo cose che non ho mai affermato.
Sul piano etico mi pongo a monte di tutto ciò dal momento che sono contrario a ogni tecnica di fecondazione assistita e a ogni terapia invasiva contro l’infertilità; ma questo vale per me e non mi sognerei mai d’imporlo agli altri. Ho anche aggiunto che “non mi appartiene la cultura che considera “malattia” ciò che devia da un dato statisticamente maggioritario”. Più chiaro di così? Devo tradurre? Significa che, per esempio, non considero malattia un qualsiasi cosiddetto “errore genetico”, al massimo lo considero una distrazione della natura rispetto a ciò che solitamente fa con le sue talvolta bizzarre leggi.
Ho affermato che non comprendo la ragione di vietare una diagnosi pre-impianto (divieto che anche giuridicamente è stato censurato). Affermo che se una diagnosi pre-impianto è in grado di determinare in un soggetto la scelta di sospendere l’impianto, è insensato provocare la gravidanza per legittimare l’eventuale scelta abortiva. La decisione della Corte Costituzionale di prevedere che non ci sia pregiudizio per la salute della donna va esattamente in questa direzione.
Affidarsi per legge a un effetto “salvifico” dello stato di gravidanza mi sembra una ipotesi giuridicamente molto fragile e inconsistente, proprio per il modo soggettivo e variabile di vivere la gravidanza.
Il principio giuridico di riferimento è lo stato soggettivo della donna, il suo stato psico-fisico.
Non rileva giuridicamente né un elenco di patologie per le quali si può accedere all’aborto, né “l’assoluta certezza diagnostica”.
Ho anche ricordato che il divieto di diagnosi pre-impianto è contenuto nelle linee guida previste dall’articolo 7 della legge 40; queste linee guida sono state censurate dal TAR del Lazio per eccesso di potere.
La legge 40 infatti non vieta gli “interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche” (art. 13 comma 2 e comma 3 lettera b).
Quindi, sostieni che discutiamo della legge, ma ignori tutte le considerazioni che sulla legge ho espresso e mi pare che ignori pure la legge.
Confondi, per esempio, la selezione a scopo eugenetico con l’accertamento diagnostico. Sempre l’art. 13 della legge 40 recita che è vietata “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo”.
A te giungere a delle conclusioni.

Queste argomentazioni (e sentenze) non sono da te condivise? Va bene, ho già scritto che rispetto il tuo punto di vista, ma perché ti ostini a dedurre “altro” da quanto scrivo?

Perché al mio indicare (su tuo invito) alcune patologie per le quali c’è una buona capacità diagnostica mi replichi chiedendo conferma a una domanda? Vale a dire, mi chiedi: “Ho compreso bene?”
Infatti, scrivi: “Sono questi esempi di patologie che possano portare rischi di salute per madre e bambino? Ti capirei nel caso mi dicessi "è a rischio la gravidanza" ma in un caso del genere...”.
Non mi hai messo in bocca parole che non ho pronunciato… concesso.
Diciamo che ho usato una formula sbrigativa per non dilungarmi nella disanima del tuo testo.
Diciamo che hai supposto che le mie parole avessero un significato completamente diverso da quanto ho espresso, aggiungendo che mi capiresti se mi riferissi a una gravidanza a rischio; questa ultima affermazione implicitamente trasforma la tua prima domanda in una affermazione per la quale chiedi conferma:
“mi stai dicendo che queste patologie possono portare rischi di salute per madre e bambino? Ti capirei nel caso mi dicessi è a rischio la gravidanza.”
Così ho inteso le tue parole e non mi sembra una interpretazione arbitraria, ma direi abbastanza letterale.
La tua domanda (indicami delle patologie) verteva sulla “certezza assoluta” sulla quale insisti (e non sulle patologie che determinano rischio per la madre); infatti, scrivevi:
“Perché non mi fai un esempio specifico di patologia che può essere diagnosticata con certezza assoluta prima dell'impianto? Uno solo potrebbe bastare, ma se ne hai van bene anche due o tre...”

Fuorviante discutere di una legge e continuare a fare riferimenti a questa o quella patologia come se esistesse un elenco di patologie per le quali si può abortire o sospendere l’impianto.
Ecco perchè scrivo che te la canti e te la suoni da solo, che travisi le mie parole…
Non ho mai detto che ci siano patologie per le quali è sensato o giusto procedere al rifiuto dell’impianto o all’aborto; ho sempre insistito unicamente sul principio cardine della nostra legislazione: la soggettività della decisione di portare a termine una gravidanza, la diversa tutela del già nato rispetto a chi deve ancora nascere. Non è la patologia in sé che produce rischio per la donna, ma va considerata la condizione soggettiva della donna di fronte alla previsione rappresentata dagli accertamenti diagnostici.

Il rischio è “calcolato” dal medico, esposto al “paziente” ma è sempre al paziente che spetta la decisione.
L’esempio sul sesso del nascituro è ridicolo. Se una donna volesse abortire perché attende una femmina e vorrebbe un maschio (o viceversa) dubito che sarebbe così stupida da dichiararlo; al massimo simulerebbe una situazione di ansia, paura, malessere, angoscia… una qualsiasi cosa che le consentirebbe di accedere all’aborto.
Il rischio di uso distorto di una legge, di una tecnica medica o qualsiasi altra cosa è sempre presente; eliminiamo forse questo rischio con i divieti? Credo che il modo più efficace sia informare, sensibilizzare, vigilare…
Se una coppia vive con angoscia il rischio di avere un figlio con una determinata patologia… cosa possiamo fare? Imporre per legge che deve attendere la gravidanza per poi eventualmente abortire? Consentire l’aborto solo in presenza di determinate patologie? E non sarebbe questo un modo per affermare la legittimità di quella che tu definisci eugenetica?
A me sembra che l’unica strada praticabile sia ancora una volta affidarsi al “principio di responsabilità”, al principio di auto-determinazione….
E’ questo un risvolto del tema che pongo: la consapevolezza genitoriale.
Interveniamo forse per limitare la capacità procreativa in funzione dei mezzi a disposizione di una coppia?
Se una coppia senza mezzi economici adeguati decide di mettere al mondo 7 figli, non fa un uso disinvolto della propria capacità procreativa?
Nessuno (o quasi) in questo caso afferma “cavolacci tuoi, potevi pensarci prima!”
Una concezione etica ritiene biasimabile il desiderio di non avere un figlio con determinate patologie e considera accettabile la totale libertà procreativa. Credo che in entrambe le situazioni non si debba imporre per legge qualcosa ma cercare di prevenire con l’informazione e la responsabilizzazione.
Una legge che fa propria una determinata concezione etica è comunque un rischio da evitare in una società pluralista.
Esiste una sorta di “presunzione” di maturità e responsabilità a senso unico.
Si presume matura e responsabile una coppia che si sposa, che genera… per poi considerarla immatura e irresponsabile quando divorzia, abortisce…
Credo che la libertà, qualsiasi forma di libertà, per essere goduta pienamente richieda consapevolezza, educazione, formazione… per sviluppare la responsabilità alla libertà. Ciò vale anche per la libertà sessuale e procreativa.

Cos’è per ma la crescita economica? Cercherò di rispondere in breve.
Intendendo per economia l’utilizzo delle risorse per soddisfare i bisogni dell’individuo, per produrre cose utili (nel senso che sono richieste da qualcuno), possiamo affermare che l’economia sia “la scienza della scelta”: scegliere quali cose produrre e quali metodi utilizzare.
Le risorse sono ciò che si può usare per produrre cose utili (beni). Attenzione: ciò che è “risorsa” può essere anche un “bene”; l’acqua è un bene ma è anche una risorsa.
In una società organizzata, per “crescita economica” intendo l’insieme delle attività che promuovono la capacità di valorizzare le risorse e il loro ottimale sfruttamento per rispondere al meglio alla soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi.
I primi beni utili da produrre sono quelli alimentari; poi, servizi sociali per promuovere la realizzazione dell’individuo; infine arrivano i beni per il diletto e lo svago (i colori per dipingere le caverne quando fuori c’è un tempo da lupi).
“Produzione” non è “creazione” ma “trasformazione” di risorse in beni. Quando materia ed energia sono state dissipate nella produzione, non si possono più utilizzare. Potremo sfruttare ciò che rimane della produzione (i rifiuti), ma impiegando nuova energia e materia. Ne deriva che non è vero che più si produce e si consuma, più si crea benessere. Infatti, da una parte distruggiamo risorse e dall’altra distruggiamo utilità.
La crescita economica è paragonabile alla crescita di un organismo, di un bambino. Quindi, c’è crescita quando c’è sviluppo. Ma lo sviluppo di un organismo non è perpetuo; a un certo punto lo sviluppo è stazionario e cresce la mente. Crescita qualitativa e non più quantitativa (e se l’organismo cresce quantitativamente in modo costante prima o poi va in sofferenza). Lo sviluppo quindi diviene uno “stato stazionario” in cui crescono le attività costruttive, quelle cooperative e culturali, mentre i bisogni relativi al benessere materiale trovano il livello si soddisfazione.
Se ci scambiamo un euro ciascuno di noi alla fine dello scambio possiede un euro; se ci scambiamo un’idea ciascuno alla fine dello scambio dispone di due idee.

Crescita economica è portare a soddisfazione i bisogni materiali e promuovere lo sviluppo qualitativo.

Il sistema consumistico-produttivo, modello chiuso che corre tra produzione e consumo, fortemente ancorato al PIL (misuratore degli scambi), privilegia la produzione di merci e servizi, stimolando stili di vita consumistici basati su un indotto sentimento perenne di insoddisfazione.
Anziché ricavare soddisfazione dall’uso delle cose, ricaviamo soddisfazione dal consumo delle cose: buttare cose ritenute vecchie per far posto a cose nuove dalle capacità fantasmagoriche che useremo più o meno come prima.
Questo sistema si basa sull’idea dell’inesauribilità delle risorse e sulla presunzione della loro infinita sostituibilità.
Dal legno al carbone, dal carbone al petrolio e poi all’energia nucleare e poi… si vedrà. Tutto si riduce a una questione di tecniche da inventare. Ma la tecnologia può sostituire una risorsa con un’altra ma non può creare nuove risorse. Dunque, le risorse sono limitate.
Il consumo tiene in piedi la baracca?
E’ esattamente questo modello di sviluppo che critico e considero deleterio.
Mi viene in mente la fantastica Leonia di Italo Calvino. Scrive Calvino: “più che dalla cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità.”
Mi sembra un efficace ritratto della nostra civiltà occidentale che è divenuto modello e miraggio del mondo intero.
Tutto il mondo è proteso a sviluppare il modello economico “occidentale”.
In questo modello passa in secondo piano la capacità di soddisfare i bisogni primari e, conseguentemente, non ci si interroga a sufficienza sulle risorse necessarie per la vita.
C’è molta più attenzione al petrolio che al pane. A me preme più il pane del petrolio.
Se prestassimo attenzione ai sempre più frequenti segnali di degrado del nostro modello di sviluppo, per esempio questa crisi che stiamo iniziando a vivere, ci renderemmo conto di quanto questo modello sia pericoloso.
Nel voler credere che la degenerazione finanziaria sia la causa di tutti i mali, c’è una forma di incapacità o inadeguatezza a leggere gli eventi, tanto siamo vittime di ciò che abbiamo creato. Perché non ci interroghiamo su cosa ha reso possibile e necessario la iper-finanziarizzazione dell’economia?
Se il monte dei debiti supera di gran lunga la capacità mondiale di produrre ricchezza (in questo caso mi riferisco al PIL mondiale, perché la ricchezza su cui si basa il nostro sistema è data dalla circolazione del denaro e quindi dagli scambi) non è forse un segnale che non c’è alcuna crescita economica reale?
Non a caso scrivevo che il terremoto fa crescere il PIL: il PIL non considera l’aspetto patrimoniale (i beni distrutti dal terremoto) ma solo il valore degli scambi; ergo, i beni distrutti dovranno essere sostituiti e da qui la crescita del PIL.
In questa ubriacatura della crescita ritenuta possibile all’infinito abbiamo perso di vista che, sia come sia, l’uomo ha bisogno di nutrirsi.
Nell’impennata dei prezzi che ha investito i beni alimentari non c’è forse un segnale chiaro delle difficoltà di tenere il passo tra domanda e offerta di cibo? No, ostiniamoci a vederci solo i cattivi speculatori.
Il nostro sistema distributivo e il nostro sistema di vita genera sprechi (basti osservare quanto cibo finisce nella spazzatura)… e non è anche questo un segnale di quanta poca attenzione diamo alle risorse vitali? Tanto quel che conta è consumare, quindi chi se ne frega se quel che compriamo finisce in buona parte nella spazzatura.
Consumare per produrre, invece di produrre per soddisfare dei bisogni.

Non cerco di barare passando dal piano nazionale italiano o occidentale a quello planetario o di determinate aree in sviluppo.
Le metto a confronto perché questi paesi sono lanciati in una direzione di sviluppo che va proprio nella nostra stessa direzione.
In tutto il mondo si sta alzando la scolarizzazione, la durata della vita, l’industrializzazione, si stanno sviluppando i servizi sanitari… Questo è un bene; ma non possiamo ignorare che questo miglioramento planetario delle condizioni di vita ha come primo effetto un giusto aumento dei consumi alimentari e una modificazione profonda del sistema alimentare. A cosa pensi che mi riferisca quando cito la quadruplicazione nel mondo del consumo di carne in meno di mezzo secolo?
Siamo d’accordo che è più difficile ed oneroso combattere l’analfabetismo se la popolazione scolastica cresce a ritmo sostenuto?
La popolazione del Kenya (e non è la situazione peggiore dell’Africa) inferiore a 15 anni è pari al 43% della popolazione totale. In Guatemala siamo a quasi il 44%, in Messico al 31% (nel nostro paese siamo al 14%); cosa significa in queste realtà combattere l’analfabetismo e assicurare un sistema scolastico decente?
Molta gente muore di fame, possiamo però consolarci affermando che la percentuale della popolazione a rischio fame sulla popolazione mondiale è in diminuzione.
Se la popolazione mondiale fosse cresciuta meno, non è ragionevole pensare che ci sarebbero stati meno morti per fame e oggi avremmo meno persone a rischio morte per fame?
Perché mi attribuisci una concezione cinica dello sviluppo? E’ esattamente il contrario. Mi sta a cuore che nel mondo non si muoia più di fame o di TBC… ma mi sembra che siamo sulla strada sbagliata.

Cambiare stile di vita e abitudini alimentari?
Significa consumare meno, perché il consumo è due volte un costo: quando compriamo e quando buttiamo.
Significa produrre meno: perché produciamo più di quel che serve e quando compriamo paghiamo anche l’invenduto.
Significa educazione alimentare perché si muore e ci si ammala di sazietà.
Significa mangiare meno carne; perché l’eccesso di carne fa male; produrre carne inquina e assorbe risorse alimentari.
La capacità di produzione alimentare è limitata; la crescita di questa produzione trova dei limiti oggettivi e difficilmente compatibili con le esigenze della sicurezza alimentare e della tutela ambientale. Forse troveremo nuove strade, forse colonizzeremo Marte…
Nell’attesa, riflettere sulla necessità o utilità di varare politiche di contenimento della crescita demografica a me non sembra una cosa sbagliata e neanche dettata dall’egoismo personale. Non sto, infatti, proponendo la sterilizzazione di massa e ho premesso che non considero accettabili il corso seguito da Cina e India, come non considero accettabile trasformare l’aborto in un mezzo di pianificazione delle nascite. Propongo solo educazione, informazione, sensibilizzazione.

Non ho certezze assolute, ma constato ancora una volta che va bene tutto, criticare il capitalismo, la globalizzazione, le politiche rosse, nere e bianche, la speculazione… ma appena si accenna al tema demografico si scatena il più classico dei copioni e chi propone questo tema è subito etichettato come egoista, sfruttatore, affamatore…
Chi lancia queste accuse non si rende conto che, per le medesime argomentazioni che usa, può essere il bersaglio di queste stesse accuse.
Per esempio, potrei affermare che chi si oppone al controllo demografico ha interessi egoistici che consistono nel vivere agiatamente organizzando la carità, la cooperazione, le iniziative umanitarie, trasformando la povertà e la miseria in un business, che consente di lucrare sulle condizioni di debolezza e miseria, perpetuate per impedire l’emancipazione di intere popolazioni: una nuova forma sofisticata di schiavismo e colonizzazione.
Se avessi utilizzato queste argomentazioni, come tu hai fatto a ruoli invertiti, credi che saremmo andati molto avanti nella discussione?
15 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Credo che qui chi sta giocando con il senso delle parole e delle argomentazioni altrui non sono io. E credo che che chi sta ricorrendo a suggestive locuzioni di grande impatto ma prive di qualsiasi significato sia tu. Ad esempio "la popolazione X" che diventa popolazione X al quadrato"... cosa la popolazione Etiope che diventa popolazione Etiope al quadrato? O forse intendi numericamente? E quindi una popolazione di 1.000 individui diventa di 1.000.000 individui? Sono sempre più convinto che il tuo parlare di andamenti di crescita non sia collegato ad una precisa coscienza critica del loro significato. E quadratura numerica è un altro esempio, naturalmente...

Se non sbaglio, la legge 40 di cui qui si sta discutendo qui non prevede la possibilità di accedere alla fecondazione assistita a coppie fertili. Non è un cantarla e suonarla da solo, è un voler verificare dove portano le tue considerazioni "logiche" (come tu le chiami) in termini di risvolti etici. Mi sembra di poter dire che saresti favorevole all'idea di accesso alla fecondazione e alla diagnosi pre impianto anche a coppie non sterili e provo a partire da questo assunto. Come definire il rischio? Secondo quali parametri? Lo si vuole regolamentare? Se sì, si ricade nei "paletti" legislativi che vogliamo evitare, nel regolamentare la capacità clinica di giudizio del medico. Quindi supponiamo che in un'ipotetica riforma della legge si adotti una generica definizione di "rischio" valutabile dal medico. E come la mettiamo se (è un esempio assurdo, ma la realtà di tutti i giorni mi ha insegnato che anche i casi più assurdi si verificano) un medico giudicasse a rischio una gravidanza la cui madre ha espresso un chiaro e deciso desiderio di aver solo una femmina (o un maschio) e che dichiara di voler abortire se il sesso del nascituro non è quello atteso. Che decisione, in coscienza, dovrebbe prendere il medico? Verificare pre-impianto il sesso del nascituro? Dopotutto iniziare la gravidanza e doverla poi magari interrompere è un rischio clinico oggettivo (la cui quantificazione dipende da molti fattori)...
Oppure: la sindrome di Down è un rischio consistente in gravidanze dopo i 35 anni ma si può verificare, più raramente, anche in gravidanze a 20-25 anni. Perché una coppia 22enne non potrebbe ricorrere alla fecondazione assistita per assicurarsi che il futuro figlio non sia affetto da tale sindrome?
Non ti sembrano, queste, distorsioni a cui il mero procedere logicamente (secondo la logica del "tutto mi è possibile") può portare?
Ti è chiaro il mio ragionamento e la sua pertinenza alla discussione?

Non ho messo parole in bocca a nessuno ma, spiegami, se la diagnosi di queste patologie non è finalizzata alla decisione di procedere o sospendere l'impianto a che cosa è finalizzata? Quindi in cosa sbaglio a ritenere che tu pensi che sia possibile che un'ipotetica aspirante madre possa decidere di sospendere l'impianto a seguito di una diagnosi positiva all'Anemia Falciforme? Dove ho mai scritto che tu ritieni sensato non procedere all'impianto? Una cosa positiva dei forum è che il testo rimane scritto, nel bene e nel male, e questa volta dimostra come tu stia cercando di manipolare le mie parole.
Quello che sto ripetendo da molti interventi è che:
- se si ragiona con la logica "stretta" sull'opportunità di compiere una data azione allora non c'è alcun limite nell'operare se non il fatto che sia o non sia materialmente possibile;
- che una tale assenza di limite non è, secondo me, accettabile;
- che il posizionamento di tale limite può essere oggetto di dibattito (ma non la sua presenza, come vuol fare intendere l'articolo);
- che il posizionamento attuale di tale limite nell'istanza rappresentata dalla diagnosi preimpianto è, secondo me, sostanzialmente corretto;
- che si vuole "giustificare" l'introduzione della diagnosi preimpianto adducendo la motivazione di ridurre i rischi clinici della gravidanza quando, invece, si vogliono tutelare i desideri di selezione del figlio futuro (i fattori di rischio di tutte le malattie genetiche sono accertabili pre concepimento per l'ereditarietà mendeliana o per determinate condizioni generali degli individui, se una coppia non ci sta ad assumersi questo rischio ha sempre l'alternativa di non procreare);
- che detesto il veder manipolati i fatti al fine di raggiungere scopi non dichiarati (questo della fecondazione assistita ne è un esempio, ma possiamo anche menzionare la questione ricerca sulle staminali o, più in generale, la sottrazione di fondi alla ricerca che è stata operata sotto il nome di "lotta alle baronie");
- che la questione di ricerca libera sulle staminali embrionali è solo un pretesto per favorire i brevetti delle grandi multinazionali farmaceutiche a discapito della salute pubblica. (Rabbrividiresti se vedessi i dati sui brevetti "preventivi" di "principi attivi" che vengono annualmente depositati, nonostante non se ne sia dimostrata l'efficacia e di cui magari non si riuscirà mai a dimostrare nulla. Il ragionamento è: intanto mettiamolo al sicuro, se si scopre che fa qualcosa, tanto di meglio.)

Una piccola analisi della fondatezza del pensiero di Malthus dal punto di vista matematico, che non pretende di essere esaustiva ma che spero possa meglio illustrare i tuoi errori di comprensione. Siamo entrambi d'accordo sul fatto che la popolazione cresce in modo esponenziale con una certa ragione (1+q) dove q è il normale tasso di crescita che misuriamo nelle statistiche descrittive demografiche. Supponiamo, senza pretesa di voler migliorare le condizioni di vita della popolazione, che vogliamo mettere a equilibrio la crescita della popolazione e la disponibilità di risorse alimentari. La disponibilità di tali risorse è proporzionale a A(t)*R(t) dove A(t) è l'area impiegata al tempo t e R è il rendimento impiegato al tempo t (in un modello semplificato, ma quale modello non lo è per sua stessa definizione?). Come hai ben notato tu sull'area non è possibile intervenire più di tanto per la finitezza del pianeta che abitiamo. Quindi, anche supponendo di impiegare tutta l'area impiegabile, a un certo punto dobbiamo intervenire sul rendimento. E se supponiamo A(t)=A una costante (pari, appunto, all'area impiegabile) ne consegue che il rendimento deve avere un andamento esponenziale per garantire l'equilibrio (mi ripeto, sto sviluppando un lower-bound alla velocità di crescita dell'andamento, se vogliamo migliorare le condizioni di vita la crescita dovrà essere "più veloce"). Infatti il limite per t che va infinito di P*(1+q)^t / A * R(t) è 1 se e solo se R(t):=(1+q)^t.
Malthus non credeva che il rendimento potesse essere così veloce (e nemmeno io lo credo) ma è stato smentito dalla rivoluzione industriale che *momentaneamente* ha consentito al rendimento (e, in parte, all'area) una crescita vertiginosa ma che, purtroppo, *non* è stata esponenziale sul lungo periodo (e che non può essere mantenuta ora dal punto di vista tecnologico).

Hai sempre menzionato crescita economica e hai sempre chiarito la distinzione tra "qualità della vita" e PIL. Ma quando parli di andamento della crescita economica oggi, se non ti riferisci alla crescita del PIL a che cosa ti riferisci? Che cosa sta crescendo in modo aritmetico? Cioè, per te, cos'è "crescita economica"?

Cosa intendi per "i consapevoli fanno pochi figli"? Consapevoli di cosa? Della crescita demografica globale? O, semplicemente, in un'ottica di mantenimento del proprio stile di vita e di crescita continua dei propri consumi, fanno i conti con il proprio reddito e decidono di non aver figli?
L'attuazione di una politica per favorire la denatalità, secondo me, è spesso un alibi "culturalmente altolocato" per scaricare sui paesi in via di sviluppo quello che è un problema di un consumo eccessivo in casa nostra.

D'accordissimo a considerare gli andamenti su scala globale che secondo te sono quelli che contano, ma non barare e resta ancorato a tale dimensione planetaria.
- In tale ottica credi che fra 40 anni il numero di 25enni che studiano (prendo per buoni i tuoi dati che non ho modo di verificare) sarà il triplo che ora? Ciò come si concilia con i tagli ai finanziamenti all'università (non ci sono molti studenti delle medie ancora ripetenti a 25 anni, quindi sono tutti universitari) che stanno avvenendo in Italia come altrove? O ai tassi di analfabetismo sconcertanti di certe regioni dell'Africa?
- E' un dato riferito al mondo intero o a qualche realtà più sviluppata? Se è un dato generale mi sembra che sia compatibile con la crescita demografica complessiva (si è triplicato il numero di persone e triplicheranno anche i numeri di studenti universitari).
- In Italia superiamo i 70 anni di aspettativa di vita. Ma cosa c'entra con la crescita vertiginosa dei paesi in via di sviluppo dove l'aspettativa è ben più bassa? Abbiamo un ingresso nel mondo del lavoro a 30 anni in Etiopia? :-)
Se questo non è barare... o dobbiamo sfavorire la natalità italiana per far fronte a flussi in entrata sempre più consistenti?
Mi ripeto: è solo un modo, malizioso o no, per cercare di far ricadere altrove i nostri ritmi forsennati.

Se i conticini vuoi farli bene falli bene fino in fondo. Se io guadagno 200000eur l'anno non pago 10 volte le tasse di chi guadagna 20000eur l'anno ma di più (Berlusconi non vorrebbe così ma per ora non mi sembra che sia cambiata la cosa). E se stiamo a considerare il dato assoluto è ancora peggio. Eppure la qualità dei servizi che ricevo non cambia: anzi, magari mando i miei figli a una scuola privata pagando due volte, per la pubblica di altri, e per la privata dei miei figli. E' forse ingiusto il criterio del "più che proporzionale"?
Allora, oltre a chi fa molti figli, responsabilizziamo anche l'operaio che guadagna poco, che magari è in cg, a guadagnare di più cosicchè possa maggiormente contribuire... che discorso assurdo che stai facendo!

Io parlo di un modello di consumi e di servizi differente da quello attuale, tu mi dici che per mantenere i tuoi consumi vuoi precludere la crescita demografica di altri paesi. Siamo basati sul consumo? Beh, l'assegno pro-bebè è un modo per sostenere i consumi di una famiglia che per un periodo li avrebbe ridotti, e visto che consumare è il modo di tenere in piedi la baracca...
Se mi stessi parlando veramente di un progresso sostenibile avresti criticato la crescita esponenziale del consumo pro-capite di cereali e di carne (e non mi dire che un consumo così sostenuto è indispensabile alla sopravvivenza). Perché non tassare chi compra più di una certa quantità pro capite di prodotti alimentari?
Come vedi tu vuoi mantenere inalterato il tuo status quo e, parlando di finitezza di risorse, vuoi tagliare lo sviluppo demografico di altri. Perché non dare gli strumenti di crescita alimentare anche ad altri? Checché se ne dica, in Etiopia, dove la percentuale di addetti del primario è elevatissima (un altro esempio di come confondi i dati di alcuni paesi come la percentuale di occupati nei servizi in Italia e l'omologa Etiope, quando ti fa comodo usi il dato italiano e poi fai riferimento ai tassi di crescita demografica del continente africano), più nati vuole dire più bocche ma anche più braccia per lavorare... Perché non esportare lì con ricadute lì (e non qui) metodi avanzati di agricoltura? A chi giova l'instabilità politica della regione?
E non mi dire che la tua ultima frase vada nel senso di invertire la nostra tendenza... hai ben in mente un piano per sfavorire la natalità e ne hai descritto responsabilità, effetti attuali e scenari futuri. E in una frase dici che "non sarà in ogni caso sufficiente a garantire una inversione del trend se non cambiamo abitudini alimentari e stili di vita"... cosa vuol dire?

Nessun corso accelerato. Semplicemente intervengo nella discussione con l'umiltà di meglio comprendere anche le ragioni che mi vengono poste innanzi. Questo significa anche che informarsi a lato della discussione. Non ho forse individuato correttamente la base delle tue argomentazioni? Se invece tu non credi che la discussione possa essere fruttifera anche dal lato tuo... buon per te che già conosci perfettamente la situazione e che hai certezze assolute a riguardo (ma cosa dicevamo a proposito di certezze assolute? forse chi crede di averle è solo abbastanza stolto da non accorgersi che non può averle).
14 aprile 2009 0:00 - Sergio
Un piccolo approfondimento sul tema demografico.

Lo sviluppo delle capacità industriali e della tecnologia ha nel corso del XX secolo indotto molti a ritenere che non ci fossero più limiti allo sviluppo del genere umano e che presto fame, carestie, miseria… sarebbero state un triste ricordo.

Se è vero che le capacità produttive sono notevoli, e dipendono in larga misura dalla volontà umana, la stessa affermazione non può essere fatta per le risorse alimentari che hanno un limite oggettivo nel pianeta.

Le risorse del pianeta non sono infinite e per l’alimentazione umana servono territorio, acqua, energia.

Malthus analizzò la relazione tra crescita demografica e disponibilità di risorse alimentari (per inciso, non apprezzo le sue ipotesi di soluzione, ma l’analisi è ancora di grande attualità).

Possiamo, infatti, produrre quel che vogliamo ma non possiamo mangiare ogni cosa che produciamo.
La vera ricchezza, la crescita economica non può prescindere dalla capacità di produrre risorse alimentari.

Malthus riteneva che se la popolazione raddoppia in un arco di 25 anni è possibile che nello stesso periodo riesca a raddoppiare anche la produzione agricola; ma mentre non c’è impedimento a un ulteriore raddoppio della popolazione nei successivi 25 anni (abbiamo dunque quadruplicato in 50 anni), c’è un serio dubbio che la produzione possa anch’essa raddoppiare.
Perché ciò si verifichi occorre un aumento del territorio da destinare all’agricoltura, alla pastorizia e all’allevamento di bestiame.
Il territorio è limitato e un uso intensivo riduce la produttività.
La forza generativa ha una progessione molto più veloce della capacità di produrre viveri.
Da qui la rappresentazione matematica di questa valutazione ricorrendo alla figura geometrica (o esponenziale) per la crescita demografica (2-4-8-16…) e aritmetica per la crescita delle risorse alimentari (1-2-3-4…), ma il principio può essere applicato a ogni crescita economica.
In sostanza, mentre la crescita demografica è, in assenza di ostacoli (guerre, carestie…), caratterizzata da una crescita basata su un quoziente costante (nell’esempio il quoziente è 2) cioè un rapporto costante tra un numero e quello che lo precede; la crescita delle risorse alimentari è aritmetica, basata su una differenza tra un numero e il precedente.
Rapporto contro differenza.
Si tratta di una rappresentazione schematica che considera la dinamica interna a ciascun tipo di crescita, senza condizionamenti esterni.
La conclusione di Malthus era che la fecondità non produce automaticamente progresso economico.

La valutazione delle necessità alimentari deve tener conto anche di un accrescimento del consumo, dal momento che obiettivo della crescita economica è il superamento delle condizioni di miseria.
Se la popolazione X ha sacche di fame e miseria, e diviene X al quadrato, non è sufficiente che le risorse alimentari crescano dello stesso livello: avremmo raddoppiato anche le sacche di miseria.

Tornando ai nostri giorni, constatiamo che lo sviluppo delle economie emergenti determina una maggiore capacità di spesa (per quanto contenuta) in tutta la popolazione: un indiano di oggi sta molto meglio di un indiano degli anni ’60.
Ciò determina una maggiore richiesta di cereali: il primo consumo alimentare che aumenta con il miglioramento delle disponibilità economiche.
Il fenomeno è noto: la stessa cosa avvenne in Italia a cavallo tra gli anni 50 e 60; finalmente almeno pane e polenta potevano essere consumati a volontà. Poi, i consumi di cereali si stabilizzano e continuano a crescere i consumi di carne.

Il consumo mondiale di carne è quadruplicato in meno di mezzo secolo; nello stesso periodo la Cina da sola ha moltiplicato per sei i consumi di carne: da 9 chili procapite è passata a 55 chili procapite, e non è più autosufficiente (l’Italia è a 90 circa e gli USA e la Spagna – in cima alle classifiche mondiali – sono sopra i 120).
Anche questo fenomeno è noto ed è il risultato non solo della necessità di approvvigionarsi di “proteine nobili” ma anche di uno stile di vita in forza del quale è più agevole cucinare una bistecca che preparare una zuppa di legumi.

L’Europa per rispondere alla maggiore richiesta di carne, iniziata nel dopoguerra, ha intensificato la produzione in allevamento: gli animali non crescono più al suolo ma in gabbie e anguste stalle con alimentazione forzata e conseguente somministrazione di medicinali e prodotti chimici di ogni genere per accelerare la crescita.
Negli anni 50 un pollo viveva 3 mesi prima di finire in tavola; oggi solo 45 giorni (mucca pazza, vitello agli estrogeni, pollo all’antibiotico… sono solo prodotti di questa industrializzazione della zootecnia).
Per aumentare la produzione di carne servono territori e risorse idriche e alimentari.

In sintesi, per sfamare una popolazione mondiale in crescita (nel numero e nella capacità economica) serve maggiore disponibilità di territorio, di risorse idriche e crescita nella capacità produttiva agricola e di carni.
Con quale politica? Quella intensiva in stalle e pollai o quella al suolo e al pascolo?
Coltivazione biologica o con OGM? Uso intensivo di fertilizzanti chimici o uso moderato?
Non è un caso che la sicurezza alimentare sia sempre di più un problema avvertito.

Le sfide dell’oggi sono di dimensioni mai viste (i problemi sono invece antichi) perché
a) non si possono più dare (e non sono auspicabili) le risposte di un tempo (guerre di conquista e colonizzazione);
b) il livello di antropizzazione del territorio ha raggiunto livelli di guardia che richiedono risposte pragmatiche e lungimiranti (il pianeta rischia di scoppiare se non ripensiamo il modello di sviluppo basato sul ciclo consumistico-produttivo);
c) il numero di persone che sono uscite e stanno per uscire dall’indigenza pone l’inderogabilità dell’uso responsabile delle risorse (mai una percentuale così alta della popolazione mondiale ha raggiunto livelli di vita così elevati nonostante le sacche di miseria ancora tragicamente presenti).

Dal 1950 a oggi la popolazione mondiale è passata da 2.550milioni agli attuali 6.800milioni.
Nel 2020, tenendo conto del trend in moderata riduzione del tasso di crescita demografica ma anche dell’allungamento dell’aspettativa di vita, saremo in 7.660milioni e nel 2030 in 8.370 milioni; intorno al 2040 è previsto il superamento dei 9miliardi; nel 2050 saremo 9540milioni di abitanti.

Dal 1950 a oggi la produzione di cereali è triplicata. La capacità di crescita attuale della produzione di cereali è di appena l’1,5%.
In cifre assolute, si stimano necessarie 2050 milioni di tonnellate di cereali; ne produciamo circa 2000; la crescita media degli ultimi anni è di circa 30milioni di tonnellate; 150 milioni di tonnellate di cereali sono utilizzate per la produzione di biocombustibili, portando il disavanzo alimentare a circa il 10% della produzione mondiale.

Anche se di stretta misura, la superiore crescita produttiva rispetto a quella della popolazione sembrerebbe in grado di soddisfare il maggior numero di bocche.
Non è così: si soddisfa una banale equazione matematica ma non la qualità della vita.
Molteplici le ragioni. Mi soffermo su quelle che considero le 3 principali.

1) Lo sviluppo delle economie emergenti determina una maggiore richiesta di cereali e un aumento del consumo pro capite. La produzione agricola sarebbe sufficiente se avessimo la stessa quota di popolazione (in percentuale sul totale) a rischio fame o mal nutrita, se non fosse aumentata la produzione di carne, se non ci fossero elementi distorsivi direttamente imputabili al sistema consumistico-produttivo (eccesso di terziarizzazione, sprechi distributivi, derrate alimentari inservibili perché “scadute”…).

2) Il consumo di carne mondiale è quadruplicato in meno di mezzo secolo.
Oggi gli allevamenti assorbono un terzo della produzione mondiale di cereali.
I 17miliardi di animali destinati all’alimentazione umana inquinano l’atmosfera tanto quanto l’intero parco di autoveicoli circolanti; inquinano il suolo e le falde acquifere in modo rilevante ponendo un serio problema di trattamento dei liquami, con rilevante lievitazione dei costi se vogliamo contenere il devastante effetto sull’ambiente.

3) L’agricoltura e la zootecnia sono sempre più dipendenti dal petrolio. La disponibilità di terra coltivabile e di acqua sono indispensabili, ma il petrolio ha assunto un ruolo determinante. Per i macchinari, le pompe che estraggono acqua dalle falde, i fertilizzanti azotati e i pesticidi prodotti dall'industria chimica, la produzione di mangimi; il trasporto, la trasformazione, il confezionamento e la refrigerazione dei prodotti agricoli: tutto dipende dal petrolio.

Queste le tre principali ragioni che dimostrano il conflittuale rapporto tra crescita demografica e crescita economica.

A queste considerazioni bisogna aggiungere
> che le superfici agricole non sono espandibili all’infinito e in ogni caso l’accrescimento della popolazione porterebbe allo sfruttamento di suoli poco adatti e produttivi,
> che la crescita annuale della produzione agricola è modesta,
> che si tenta giustamente di frenare il processo di deforestazione,
> che c’è un ritorno all’agricoltura biologica caratterizzata da minori livelli produttivi (e minor impatto ambientale),
> che c’è un freno all’allevamento intensivo in stalla e quindi si destinano al pascolo terreni che non sono utilizzabili per le colture alimentari dell’uomo,
> che la tutela ambientale (i liquami, i fertilizzanti e i pesticidi stanno avvelenando l’aria e l’acqua) comincia a essere avvertita come una inderogabile necessità.

Crescita demografica e crescita economica determinano un aumento di consumi alimentari e inquinamento. Poiché le risorse agricole e idriche sono limitate, se non perseguiamo una politica di riduzione della natalità, rimane un miraggio l’obiettivo “fame zero”.
La riduzione della natalità (ancora non avvertita come necessaria dalla classe dirigente mondiale) non sarà in ogni caso sufficiente a garantire una inversione del trend se non cambiamo abitudini alimentari e stili di vita. Però una politica che favorisse la denatalità, attraverso sensibilizzazione e responsabilizzazione, potrebbe aiutare a risolvere problemi drammatici.

14 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, non capisco dove tu voglia andare a parare.
Scemo non sei, però giochi un po' troppo, per i miei gusti, con le parole e il pensiero altrui.
Sembra tu sia disposto a ignorare o travolgere il pensiero altrui pur di affermare quel che ti interessa.

Mi hai chiesto:

"Perché non mi fai un esempio specifico di patologia che può essere diagnosticata con certezza assoluta prima dell'impianto"

e io ho fatto questi esempi... aggiungendo che
> parlare di certezza assoluta è una assurdità
> non rileva il grado di certezza diagnostica ma solo la condizione soggettiva in cui una situazione è vissuta.

Non ho espresso alcuna valutazione sulla opportunità o meno che per questa o quella patologia sia sensato non procedere all'impianto; quindi, non mettermi in bocca cose che sono solo nella tua testa.

Non ho mai affermato che non si debba consentire l’accesso alla procreazione assistita a coppie fertili ma a rischio.
Te la canti e te la suoni da solo?

Ho affermato che non vedo alcuna ragione logica per impedire, sulla base di una qualsiasi diagnosi, di assumere una decisione prima dell'impianto dal momento che quella stessa diagnosi può essere l'elemento scatenante di una decisione a gravidanza iniziata.
Questo è quel che affermo e tu continui a girarci intorno travisando le mie parole e parlando di certezza assoluta (ed è solo un pretesto perchè non c'è certezza assoluta) o di effetto gravidanza (ed è un dato esclusivamente soggettivo che certo non può essere un valore di legge).

Se non ti convincono le teorie che valutano e analizzano il diverso modo di procedere della crescita economica e di quella demografica, liberissimo di non condividerle...

Ma se scrivi:
"Sinceramente non ho capito la tua distinzione fra crescita esponenziale della popolazione e crescita aritmetica dell'economia"
è per me lecito pensare che tu non conosca queste teorie. Diversamente, avresti scritto che non condividi queste teorie e argomentato di conseguenza.
Da qui il mio invito ad informarti perché queste teorie, che ti piacciano o meno, sono un aspetto fondamentale di tutti gli studi sui processi demografici e delle relazioni tra economia e demografia.

Poi sembra tu abbia fatto un corso accelerato ed ecco che mi presenti degli esempietti per dimostrarmi che le due crescite possono stare al passo...
Peccato che non è da questo assunto che io muovo quando affermo che un alto tasso di crescita demografica (stile Africa) è di ostacolo (insieme a tante altre cause) al miglioramento delle condizioni di vita. Di ciò ho sempre parlato e i tuoi esempi dimostrano che mantenendo costante la crescita economica intorno a quota 4% annuo si può assorbire l’analoga crescita demografica... Tutto giusto, ho detto, ma continui ad avere la stessa povertà dalla quale sei partito. Ma l’obiettivo era migliorare le condizioni di vita, risolvere i problemi della povertà… e non mantenere la povertà.
Se vuoi sconfiggere la povertà e vuoi dare i servizi sociali e igienico-sanitari ritenuti oggi indispensabili... è necessaria una crescita economica nettamente superiore a quella demografica.

Le tue citazioni di Malthus mi confermano che hai fatto un corso accelerato... Leggiti "Saggio sul principio della popolazione"; se vuoi dopo ne riparliamo.

Ripeto, liberissimo di affermare che non condividi quelle o altre teorie... ma prima di fare affermazioni tipo "la crescita aritmetica a cui si riferiva Malthus non è quella del PIL, ma delle terre coltivate...", rifletti e leggi quel che ho scritto.
Infatti, ho parlato di crescita economica e non di PIL (ho anche specificato che il PIL misura solo il valore degli scambi di servizi e merci; per questo è così considerato all'interno di un sistema consumistico-produttivo).
Ho fatto sempre riferimento alla crescita economica tenendola distinta dalla crescita del PIL, tanto da aver scritto:
"Se pensiamo che il benessere dipenda dalla crescita del PIL (ovvero degli scambi di merci e servizi), proseguiamo su questa strada, ma non dimentichiamoci che una maggiore popolazione richiede case, servizi, cibo, territorio… e le risorse del pianeta non sono infinite.
A proposito, il terremoto fa crescere il PIL."

Quindi che cavolo c'entra il tuo precisare che Malthus non si riferiva alla crescita del PIL ma delle risorse agricole?...
Sul finire del '700 a quale crescita economica Malthus poteva guardare avendo come interesse la relazione tra risorse e popolazione?
Ripeto, leggiti “Saggio sul principio della popolazione”; è una lettura abbastanza facile.

Va benissimo la protezione dei soggetti più deboli; ma talvolta il soggetto è causa della propria debolezza.
Da qui la domanda: è forse giunto il momento di interrogarsi su fino a che punto siamo disposti a farci carico dell’irresponsabilità altrui?
I conticini poi vanno fatti come si deve. Chi non ha figli e non è sposato o lo è ma la coppia è mono-reddito paga più tasse di un pari reddito con figli. Il primo contribuisce quindi a scuola e sanità più del secondo che, ovviamente, usufruisce di più di questi servizi.
Non si tratta di dividere nulla ma semplicemente di rendersi conto che siamo di fronte a situazioni nuove che richiedono la capacità di elaborare risposte nuove.
Invece, all’alta natalità degli immigrati si risponde con assegni per i bebè nazionali (scusa non sono gli stessi signori che vorrebbero dividere l’Italia a fare queste proposte? Non è un tal sindaco leghista che ha proposto l’assegno solo per i nati da genitori italiani?).
Io non parlo di incentivi economici, ma di servizi efficienti e di impegno per rafforzare il “principio di responsabilità”.

Ci vogliono 20 anni ma alla fine le tasse le pagano... scrivi.
Vacci piano con l'affermazione "popolazione attiva"; attiva in che?
Non consideri che:
1) la vita si è allungata (oggi abbiamo in Italia un numero di centenari quasi dieci volte superiore a quello degli anni '70);
2) il periodo formativo si è allungato (il numero dei ragazzi che a 25 anni studiano è il triplo di quello degli anni '70; sto andando a memoria quindi qualche numero o periodo potrebbe non essere corretto, ma la sostanza non cambia);
3) l'ingresso nel mondo del lavoro stabile (e quindi con partecipazione contributiva adeguata per l'equilibrio del sistema previdenziale) è sempre più spostato verso i 30 e passa anni d'età;
4) l'equilibrio demografico, che una volta si indicava nel rapporto tra under 16 e over 65, oggi deve essere aggiornato (se una volta la maggioranza dei ragazzi a 16 anni andava a lavorare, oggi questi sono una minoranza; mentre sono tanti coloro che prima dei 65 già godono di pensione e sono sempre di più coloro che godranno della pensione per un periodo lungo di vita).
Tutti questi aspetti (allungamento della vita e del periodo formativo, soprattutto) devono indurre a una riconsiderazione dei complessi aspetti demografici in società "evolute" come la nostra.

Io non voglio "sfavorire la natalità"; vorrei che non si desse per scontato che sia un problema il fatto che si fanno pochi figli; perché
> non è vero che si fanno pochi figli se guardiamo al dato planetario (che per me è l'unico che conta... anche perché prima o poi con questa popolazione che avanza in cerca di fortuna dovremo fare i conti);
> i consapevoli fanno pochi figli;
> l'alta natalità è ancora legata in gran parte a condizioni economiche inadeguate per mantenere tante bocche;
> l'irresponsabilità o la mancanza di educazione alla vita adulta (che poi è solo un aspetto della responsabilità) sta trasformando l'aborto in un mezzo di regolazione delle nascite (la cosa non mi piace).
Visto che si parla solo di incentivare la natalità (nazionale) e aiutare le famiglie numerose, visto che la crescita demografica mondiale (e in particolar modo quella di alcune aree del mondo) è indicata come un falso problema... io ritengo che una politica per incentivare la denatalità ha la stessa dignità e legittimità di ogni politica a sostegno della natalità perché:
> non mi interessa la natalità nazionale (mi bastano i tanti bambini che il mondo produce);
> preferisco prevenire il formarsi di famiglie numerose piuttosto che ricorrere a sussidi e aborti;
> la crescita demografica in determinate aree del mondo è un ostacolo ulteriore al miglioramento delle condizioni di vita e lo sarebbe ancora di più se la classe dirigente mondiale s'impegnasse a risolvere i problemi della fame, a predisporre servizi igienico-sanitari adeguati, a sconfiggere malattie tipo la TBC... infatti oltre le parole ben poco la classe dirigente mondiale fa...
Infatti, ho scritto anche su una certa pelosità…

Su quanto scrivi sul tema ricerca e università siamo pienamente d'accordo. La questione universitaria è sbandierata da tutti da decenni ma l'università è stata affossata (e non ne faccio una questione di colore della maggioranza di turno); le risorse dedicate alla ricerca sono una cosa ridicola...
11 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Caro Sergio,
Anemia Falciforme... è interessante notare come l'aspettativa di vita di un paziente affetto da tale patologia (nella forma grave) supera i 40 anni (lo studio è del '94 e si riferisce a dati del periodo 78 e 88, se è cambiato qualcosa, di certo lo è in meglio). Come è anche interessante notare che chi è portatore sano ha una resistenza naturale alla malaria. E, guarda caso, è più diffusa dove la malaria è una malattia dalle proporzioni importanti. (L'evoluzione naturale delle specie ha molti modi di operare.) Sono questi esempi di patologie che possano portare rischi di salute per madre e bambino? Ti capirei nel caso mi dicessi "è a rischio la gravidanza" ma in un caso del genere...
E secondo la tua logica perché non dovremmo permettere la diagnosi pre-impianto (quindi l'accesso alla fecondazione assistita) a coppie non sterili ma a rischio? perché loro devono rischiare, iniziare la gravidanza nel modo che tu sai e poi diagnosi pre-natale ed eventuale aborto?
Hai parlato di responsabilità. Credo che il miglior intervento politico che si possa fare va nella direzione di potenziare i servizi alla persona. Ed ecco spiegato, secondo me, il perché di tanti aborti e specialmente tra le immigrate. Dare alla luce un bambino e "tirarlo su" oggi spaventa. Spaventa se si fa fatica a trovare un lavoro con uno stipendio adeguato (e gli immigrati la fanno questa fatica), spaventa se si sa che il bambino avrà qualche malformazione (il pensiero ricorrente è "quando non ci sarò più, chi lo accudirà e lo proteggerà?"). Non facilitiamo l'aborto, ma diamo gli strumenti e la certezza che tirare su un figlio è un compito che si condivide con la collettività. E questa è la profonda limitazione della famiglia mononucleare, prima le cose erano ben diverse, anche se il servizio pubblico non era così avanzato.

La protezione dei soggetti più deboli deve essere l'orgoglio della nostra società. Il misurare quanto pago in tasse e quanto ricevo in servizi mi pare la politica populista di un certo partito che auspica la divisione dell'Italia. Se penso, poi, ai costi che una famiglia numerosa deve sostenere direttamente e ai costi che deve sostenere la collettività per quei figlioli in più, il confronto mi pare assolutamente impari!

Un elemento che ti ostini a non vedere è che non sfavorire la natalità comporta un incremento di popolazione attiva e, quindi, di tassati (ci vogliono 20 anni, ma alla fine sto benedetto bambino le pagherà le tasse).

Ma del controllo demografico (ecco che anche in questo caso ho usato il termine controllo nella sua accezione di "regolazione", sembra strano?) stiamo parlando del caso italiano o dei paesi in via di sviluppo? Forse hai confuso i due casi e credi che l'assegno bebè sia elargito anche in Pakistan (o in Etiopia)... O forse credi che non esistano le nazioni e che il flusso migratorio possa presto livellare le densità abitative?

Non è un "esercizio da scolaretto" è piuttosto dare il significato corretto ai termini: la crescita esponenziale e la crescita aritmetica sono due concetti con una precisa connotazione, che se confondi generi confusione... E la crescita aritmetica a cui si riferiva Malthus non è quella del PIL, ma delle terre coltivate...

Bah... se penso a tutte le risorse economiche già destinate alla ricerca che poi sono state dirottate su altri obiettivi... (Qualcuno ha detto Alitalia?) La realtà è che la ricerca sta pagando per i fallimenti politici e amministrativi dell'attuale classe dirigente (maggioranza e opposizione). E se penso che nessuno ha avuto ancora il coraggio di fare una riforma dell'università (reclutamento dei ricercatori, professori che curano l'attività propria e a tempo perso insegnano e fanno ricerca, valutazione della didattica e della ricerca...). E la riforma è quasi a costo zero... (soprattutto se paragonata ai benefici). Forse è perché ai signori ministri e parlamentari piace tanto scrivere sul curriculum "Professore ordinario di Economia del Lavoro presso l’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata"? Forse perché è più facile trovare un ago in un pagliaio che un professore/economista o un professore/avvocato nel loro studio universitario?
11 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, per quanto ne so su Anemia Falciforme, Emofilia A e B, Fibrosi Cistica e Atrofia Muscolare Spinale l’attendibilità delle diagnosi è molto buona.
Ma, ripeto, la questione non è subordinare una scelta al dato scientifico, più o meno attendibile, poiché l’aspetto che prevale è il dato soggettivo. Dato soggettivo che, ribadisco, consente di ricorrere all’aborto e non comprendo perché non dovrebbe consentire di sospendere l’impianto.
L’unica logica che intravedo in questo divieto è l’aspetto punitivo che rasenta il cinismo.

Continui a insistere su certezza assoluta, ma la scienza non ci offre certezze assolute…
Evochi l’araba fenice della certezza pur sapendo che abbiamo pronostici.
Il fatto che un evento si sia sempre verificato non ci dà la certezza che sempre si verificherà, ma solo un probabile pronostico.

Tutto ciò, in ogni caso, lo ripeto, è irrilevante, tranne il caso in cui si auspichi una tecnocrazia, un sistema dove sono i “tecnici” a decidere quando come e perché si può adottare una determinata condotta. No, grazie.

Liberissimo di trincerarti nell’infondata ricerca della certezza assoluta, rimane il fatto che non può essere questo il criterio, valido per tutti, per autorizzare un comportamento o una scelta che è solo soggettiva.

Nessuno chiede che s’imponga la diagnosi pre-impianto; questa è una scelta solitamente suggerita quando esistono rischi reali in base all’anamnesi della coppia interessata. Sta al soggetto decidere se avvalersi o meno di queste tecniche, così come decide se effettuare una amniocentesi o altro esame diagnostico.

L’altro tuo argomento, l’effetto gravidanza, è altrettanto fragile e inconsistente. Non si comprende perché l’esame pre-natale possa essere la causa scatenante della scelta abortiva mentre la diagnosi pre-impianto non possa contribuire a determinare la scelta di non procedere all’impianto dell’ovulo fecondato.
Se questa diagnosi contribuisce a una scelta significa che quel soggetto ha una determinata aspettativa dal suo divenire genitore; a che serve imporgli un comportamento pre-definito?
Possiamo discutere all’infinito su quanto sia moralmente sbagliata questa scelta e potremmo persino trovarci d’accordo, ma rimango dell’idea che in quella situazione non può che valere la coscienza del soggetto che quella situazione vive in un determinato modo; il nostro giudizio diviene ininfluente.
Rispetto la tua alta considerazione dell’effetto gravidanza, ma non esiste una misurazione di questo effetto, un modo oggettivo e univoco per determinarlo. Mi sembrano argomenti che possono motivare la tua personale scelta ma non certo essere posti a base di una norma che deve valere per tutti.
In ogni caso, la gravidanza produce su ogni individuo comportamenti soggettivi e non certo in linea con la tua affermata ricerca di certezze. Basti osservare il modo diverso in cui reagiscono, per esempio, le donne con gravidanza a rischio.

Crescita economica e demografica.
Prendi in considerazione solo l’aspetto numerico e trascuri ogni altra considerazione delle mie argomentazioni. Ovvio che per bilanciare un tasso di crescita demografica annua (che assorbe entrate e uscite) del 3.93% (prendo il tuo calcolo per semplicità) serva una determinata crescita del PIL di tipo analogo (prendo sempre per semplicità i tuoi calcoli) ma questo aspetto numerico comporta anche lo stesso livello di qualità della vita iniziale; vale a dire consente di mantenere stabile una situazione: chi è povero resta povero, chi è ricco resta ricco.
Il tuo ragionamento, che ti dovrebbe portare alla auto-bocciatura, si riduce in uno sterile esercizietto da scolaretto. Il tuo sragionato ragionamento non considera l’effetto inflazione, non considera la necessità di offrire servizi sociali migliori per uscire da analfabetismo, precarie condizioni igienico-sanitarie…
Se vuoi assorbire l’effetto inflazione, dare servizi migliori, migliorare la qualità della vita… il tasso di crescita deve essere ben superiore di quanto tu ipotizzi, realizzando una banale quadratura numerica che assicura solo il mantenimento della povertà presente all’inizio del periodo temporale considerato.
La distinzione che si fa tra crescita aritmetica ed esponenziale serve proprio a rappresentare il diverso passo dei due tipi di crescita.
Mi spiace, ma mi sembra che sia tu che debba aggiornare la tua formazione.

Controllo evolutivo naturale.
Usi l’espressione “controllo naturale” come sinonimo di “regolazione naturale”, “legge naturale”.
Adesso comprendo il senso delle tue parole; ma se intendi riferirti a un meccanismo naturale, non c’è bisogno di affiancare il termine a “controllo”.
Ho specificato che il mio era solo una valutazione di carattere biologico; mi sembra innegabile che con l’evoluzione della medicina abbiamo garantito un’attenuazione dell’evoluzione naturale in forza della quale chi nasce svantaggiato ha meno probabilità di successo. Non ho detto che questo sia un male e nemmeno che dovremmo tornare ai metodi di Sparta: ciò è evidente nel mio discorso se solo lo si vuole comprendere.

Certo, più maestri, più tutto quel che vuoi… ma come paghiamo un sistema scolastico più oneroso se non attraverso una maggiore entrata di tasse… di qui la necessità di inseguire una costante crescita della produzione e dei consumi.

Chi ha mai detto che si debba procedere solo con la ricerca sulle staminali embrionali?
Si parla più spesso di queste solo perché è su queste che c’è una forma di ostruzionismo.
Non ci sono dubbi che la comunità scientifica è divisa sul tema come spesso è successo nel corso dei secoli…
Non ho elementi per poter dire che serve o non serve; e nessuno può dire con certezza che non serve la ricerca sulle staminali embrionali; chi afferma ciò esprime solo la propria discutibile valutazione.
Di fronte a questa constatazione, considerato che esistono embrioni destinati alla distruzione… mi chiedo perché non destinarli alla ricerca.

L’interesse economico dei privati? Certamente, condivido pienamente… e perché sui fronti da te indicati non c’è la ricerca pubblica?
Sempre una questione di mezzi… che potrebbero essere facilmente reperiti se non lievitassero costantemente le spese per i servizi ordinari…
Quanta parte della popolazione mondiale non ha disponibilità neanche di acqua potabile?
C’è anche una questione di priorità e di scelte politiche, non ci sono dubbi.
Se molti paesi spendessero meno in armamenti si potrebbero liberare risorse… ma anche quelli servono al PIL…
Ti sembra che l’Italia abbia bisogno di tutti gli ufficiali che ha nelle forze armate?
Ti sembra che siano necessari 3,5 milioni di dipendenti pubblici?
Ma se sfoltiamo… cosa succede?

Scelte individuali che hanno ricadute sulla collettività.
Non ho affermato che sia sbagliato aiutare le famiglie numerose, presta più attenzione a quel che ho scritto.
Ho solo constatato che la scelta di fare tanti figli ha un effetto sulla collettività. E’ una constatazione non una valutazione.
Esattamente come succede con altri comportamenti individuali: fumare, alimentarsi in modo scorretto…
Forse è giunto anche il momento di discutere su quanto siamo disposti ad assumerci come collettività il peso dell’irresponsabilità di determinati comportamenti.
Esattamente quel che facciamo quando imponiamo l’uso del casco e delle cinture di sicurezza: il non uso potrebbe provocare ricadute negative non solo per il soggetto interessato ma anche per la collettività; ecco che è sensato prevedere alcune norme di sicurezza obbligatorie. Perché non sono questioni private. Però mentre limitiamo la libertà di condotta del privato per tutelare un interesse collettivo, nulla facciamo per favorire una consapevolezza genitoriale. E per favore, non arrampicarti sugli specchi affermando che intervenire significa lasciare; un fico secco! Se intervieni non lasci! Non imbrogliamo con le parole affibbiando significati arbitrari.
Se si concede un premio a chi ha messo al mondo un figlio, e chi sostiene questa proposta la presenta come un incentivo, non si può affermare che si “lascia che si determini un equilibrio specifico” e negare che specifico sta per favorire una “determinata direzione”; e allora in cosa consisterebbe la specificità?
Nel lasciare che le cose vadano per il loro verso… intervenendo? Arrampicarsi sugli specchi è difficile.
I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive. A usufruirne sono i singoli cittadini in relazione ai bisogni. Chi ha tanti figli paga meno e usufruisce di più. E’ giusto perché c’è un interesse collettivo da tutelare.
L’istruzione, la salute… sono interessi collettivi. Ecco perché preferisco servizi efficienti a contributi economici diretti al soggetto.
Ma, mi ripeto: dovremmo forse interrogarci su fino a che punto siamo disposti ad assumerci il peso dell’irresponsabilità altrui.
Lavorare sul principio di responsabilità è quel che dovremmo fare per costruire una società migliore e più equilibrata.

Responsabilità nell’uso delle facoltà sessuali, per ridurre i rischi di gravidanze indesiderate, educazione sessuale (si fa a scuola?), affettiva, sentimentale…
Educazione matrimoniale, scrivi tu, e non è forse un aspetto di quella responsabilità di cui parlo io?
Ti sembra che si faccia abbastanza in questa direzione?
Ma non ha senso non responsabilizzare prima e punire dopo.
Se in un giorno posso sposarmi in un giorno devo poter divorziare.

Responsabilità, formazione, educazione… sono a mio avviso le paroline magiche sulle quali dovremmo lavorare di più. L’argomento potrebbe essere esteso a educazione alimentare, attività fisica… Strutture sportive accessibili a tutti, palestre di quartiere, parchi attrezzati per l’attività fisica…
Non credi che incentivare uno stile di vita più salutare possa aiutare a vivere meglio con notevoli risparmi per la spesa pubblica?
Quanto spendiamo per curare e quanto poco per prevenire?
Interveniamo quando la “frittata” è fatta. Così, mentre da un lato abbiamo milioni di individui che soffrono la fame, dall’altro lato abbiamo milioni di individui che muoiono di sazietà.
Mi sembra che dalla educazione sessuale a quella matrimoniale si faccia ben poco e si tenta di sopperire a queste carenze con i divieti.
A mio avviso è una strada sbagliata.
E a tutto ciò contribuisce anche la crescita demografica che non va frenata con interventi autoritari ma con l’educazione alla responsabilità.
In caso contrario rischiamo che anche l’aborto diventi un mezzo di pianificazione delle nascite.
E non dimentichiamoci che l’aborto è sempre stato ed è presente a ogni latitudine e longitudine anche laddove per abortire si rischiano pene severe e la vita stessa con l’aborto clandestino. L’OMS stima che il 40% degli aborti mondiali avviene nella clandestinità con la morte di 78.000 donne per aborto clandestino. Anche questo fenomeno rientra nel lasciare che si determini un equilibrio specifico?
Vorrei che tu riflettessi su un dato: l’alta incidenza abortiva tra le donne non-italiane in relazione alla popolazione non-italiana presente nel nostro Paese.
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Purtroppo le cose mi sovvengono a rate.

Non credo che far pagare meno tasse alle famiglie numerose o l'assegno pro-bebè possano essere considerati come una politica pro-natalità. Piuttosto li considero interventi che vanno a proteggere individui e famiglie in un momento in cui sono più fragili, ovvero quando si trovano a fronteggiare 5 o 6 bocche da sfamare con 1 o 2 stipendi.
Quindi ti rispondo dicendo che credo che tali interventi possano essere considerati come il "lasciare che si determini un equilibrio specifico", non che sia un modo per "procedere a favore di una direzione".
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Divorzio.
Appunto, non proponevo forse l'attuazione di politiche volte a favorire la consapevolezza pre-matrimoniale?
Caspita... facciamo educazione sessuale nelle scuole e lasciamo che i nostri giovani vadano incontro a un passo così importante come il matrimonio non-educati? "Educazione matrimoniale", ecco, ho appena inventato un nome che mi piace...
Annulla i divorzi? Assolutamente no! Ma del resto chi contesta l'educazione sessuale anche se gravidanze indesiderate e trasmissione di STD continuano ad avvenire?
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
A proposito. Perché la legge sulle cinture di sicurezza e sul casco in motorino (o in cantiere)? Perché lo stato dovrebbe regolamentare queste "faccende private"?

Sollevi la questione che la presenza di famiglie numerose (quindi la scelta del singolo) ha poi ricadute sulla collettività. E allora perché io, come cittadino italiano che paga le tasse, devo partecipare alla spesa sanitaria di chi, fumatore per decine di anni, ha un tumore ai polmoni? Non è stata forse una scelta del singolo, quella di perseverare con i fattori di rischio, di cui ci stiamo accollando le conseguenze?
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Sempre in tema staminali. Il Prof. Vescovi, che non è l'ultimo arrivato, ha più volte ribadito e dimostrato scientificamente con pubblicazioni su Nature che la ricerca sulle staminali potrebbe proseguire tranquillamente tramite le cellule staminali adulte. Perché questo concentrarsi su cellule embrionali? Che interessi ci sono? Eppure il professore è laico... (Vorrei far notare come una sua sperimentazione mediante cellule staminali adulte su pazienti affetti da SLA ha avuto problemi di finanziamento in Italia. Quindi il problema sono i soldi, non i presunti bavagli che si vogliono mettere alla ricerca.)
10 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Caro Sergio,
partiamo dalle diagnosi pre-impianto.
Non ho introdotto nessuna confusione riguardo la ricerca genetica e la diagnosi pre-impianto: da dove credi derivino i test diagnostici che vengono utilizzati ora se non dalla ricerca di qualche anno fa? La ricerca genetica odierna sta ridiscutendo il concetto stesso di gene alla luce delle scoperte più recenti (ad esempio lo splicing alternativo e il miRNA) che hanno messo in discussione alcuni principi considerati fondamentali anche solo pochi anni fa (uno su tutti il paradigma "1 gene=1 proteina"). Ed è proprio per questo che è difficile fare una diagnosi certa. Cosa che diventa ancora più difficile se la si cerca di compiere così precocemente. Questo è un dato di fatto accettato dalla comunità scientifica stessa. La stessa diagnosi pre-natale ha margini di errore non trascurabili e se consideriamo che essa si può avvalere di molti più dati del semplice test genetico (ad esempio l'ecografia stessa)...
Perché non mi fai un esempio specifico di patologia che può essere diagnosticata con certezza assoluta prima dell'impianto? Uno solo potrebbe bastare, ma se ne hai van bene anche due o tre...

Ti faccio un esempio di controllo evolutivo naturale di una crescita esponenziale. Si chiama "lo sviluppo dell'embrione" (tanto per rimanere in tema). Si parte dall'uovo fecondato e, miracolosamente, esso si replica fino a formare 2, 4, 8, 16 e così via... Una progressione esponenziale (o geometrica, se vuoi) con base 2... eppure, magicamente, a un certo punto si arresta e si raggiunge un equilibrio. Ecco che l'evoluzione, o la dinamica del fenomeno se preferisci (banalmente, senza prestare attenzione alla mia precisazione, hai confuso il termine evoluzione con "evoluzione darwiniana delle specie") viene naturalmente controllata.
La disponibilità di risorse è quello che favorisce il meccanismo di controllo del processo evolutivo (dove, mi ripeto, l'evoluzione è diversa dall'evoluzione delle specie ma dovrebbe esserti evidente perché stiamo parlando di soggetti e scale temporali differenti). Ma credi che ci sia, all'interno di questo meccanismo di controllo, una classe dirigente che attua "una politica per favorire la denatalità delle cellule"?
La verità è che il meccanismo di controllo che sta dietro allo sviluppo del feto (e dell'essere umano in generale) si è evoluto anch'esso (e questa volta in senso darwiniano) nel corso di milioni di anni, a partire da forme di vita molto semplici e raffinandosi via via con la comparsa di forme di vita sempre più complesse. Possiamo quindi noi aspirare a sviluppare un meccanismo di controllo delle nascite? Non credo. Il sistema è molto più complesso di quanto tu non voglia far credere e penso che chiunque voglia "metterci lo zampino", anche ammettendo la sua buona fede, otterrà dei risultati sul medio lungo periodo (100-200 anni) che non aveva progettato inizialmente. Il sistema che tu vorresti controllare è, nella sua accezione matematica, caotico, quindi imprevedibile, particolarmente complesso da gestire e indirizzare.

Dispiace notare, infine, una preoccupante lacuna matematica: l'evoluzione demografica è discreta ma naturalmente, questo non ci vieta di parlare di un aumento, su base annua, ad esempio, del 1,954232111% (e mettici pure quante cifre decimali vuoi). Quindi cosa c'entra il discorso "i 2 diventano 3 e non 3,5"? Entrambe le progressioni, quella della crescita demografica e quella della crescita economica, sono geometriche.
Un dato paese dell'Africa ha raddoppiato la popolazione di 18 anni? Lo sai cosa ti dico? Ipotizziamo che abbia avuto un tasso costante di crescita per tutti questi anni e, nello specifico, supponiamo che tale tasso sia del 3,93% e facciamo due calcoli (popolazione iniziale, per semplicità, pari a 1.000.000).
Anno Popolazione
0 1000000
1 1039300
2 1080144
3 1122593
4 1166710
5 1212561
6 1260214
7 1309740
8 1361212
9 1414707
10 1470304
11 1528086
12 1588139
13 1650552
14 1715418
15 1782833
16 1852898
17 1925716
18 2001396

Ecco, con un tasso di crescita annuale del 3,93% ottieni il raddoppio della popolazione in 18 anni. Sorpreso? E se riesci a mantenere un tale tasso di crescita anche sul piano economico la ricchezza media pro-capite non cambia con gli anni. Mi ripeto: 3,93%, alto... ma non impossibile.
Cosa comporta ciò? La crescita che si è avuta nei paesi che portavi come è esempio non è del tipo che dicevi "se 10 coppie hanno tutte 2 figli la popolazione raddoppia". Bensì, prese 100 persone, mediamente ogni anno, ne morivano x e ne nascevano x+3. Tre nati in più dei morti, ogni anno ogni 100 persone per 18 anni. Se ci pensi non è proprio sto gran procreare... Ah, per il raddoppio in 15 anni hai bisogno di un tasso del 4,73%. E per quadruplicare in 50 anni hai bisogno di un tasso di, appena, 2,812%.
Queste non sono idee mie, sono fatti inconfutabili anche piuttosto facili da calcolare (per chi ha studiato, almeno).
Provo quindi a farti un ripasso.
La trappola mentale in cui cadi è di considerare progressione aritmetica l'andamento x + 2%. Il primo anno va tutto bene... ma il secondo anno calcoli il 2% sul totale alla fine del primo anno e quindi non hai x + 2% + 2%= x + 4%. La seconda volta che calcoli il "2%" devi tenere in considerazione anche il "2%" che hai guadagnato l'anno precedente e, quindi, il tasso aritmetico equivalente che ottieni è (1,02*1,02)-1= 4,04% Reitera per 18 volte e ottieni un tasso aritmetico equivalente del 42%! (a differenza del 36% che otterresti con una vera progressione aritmetica, il 6% in più). Bocciato in sociologia, statistica e matematica! Io sceglierei con più attenzione i testi che studi.

Hai ragione. L'allungarsi dell'aspettativa di vita invecchia la popolazione. Aggiungi una politica di controllo delle nascite e otterrai, in 20 o 30 anni, che la popolazione attiva sarà ancor più in minoranza... Da quel punto di vista complichi il problema.

E poi come? Non dicevi che l'assegno pro-bebè non influenza la decisione di mettere al mondo un figlio? Non dicevi "tanto chi lo fa lo avrebbe già fatto?". Delle due l'una... o l'assegno pro-bebè non serve a favorire la procreazione o serve.

Che visione ingenua del meccanismo di selezione naturale... Hai visto? Anche Sparta, con la sua selezione dei neonati più forti, è solo un ricordo sui libri di storia. La medicina moderna non è nient'altro che un altro ritrovato di una specie per garantirsi la diffusione. L'organizzazione in strutture sociali che riscontri in molti animali può essere assimilata alla medicina e al nostro sviluppo. Credi che tutte le formiche che sopravvivono lo fanno per meriti personali? La "società delle formiche" garantisce anche a soggetti più deboli di trasmettere il loro patrimonio genetico. E così facciamo noi, in un modo più sofisticato, ma la sostanza non cambia. Come giudicare realmente la fitness (è questo il termine utilizzato negli studi di settore) di un individuo? E, credimi, se tu impedissi a soggetti "deboli" di avere una loro chance di procreare avresti in pochissimo tempo (su scala evolutiva) una specie estremamente fragile, che non è in grado di adattarsi rapidamente al cambiamento, cioè votata all'estinzione. Dinosauri? Qualcuno ha parlato di dinosauri? E sì che sembravano così forti! Eppure tante specie di insetti, che sembrano così deboli, non si sono estinte, i dinosauri, invece, sono scomparsi. Non illuderti, la medicina non sta cambiando la dinamica evolutiva della nostra specie.

Ma non capisci che i costi dei servizi assistenziali riescono a tenere in piedi il settore terziario? Più bambini da educare significano anche più maestri e quindi più richiesta di servizi. Servizi che vengono pagati dalla collettività. Ma, fra aumento dell'aspettativa di vita e denatalità, la collettività attiva non rimane...

L'utilizzo delle risorse che stiamo facendo ora nelle società industrializzate non è sostenibile se dovesse diffondersi su scala globale. L'errore è di non considerare una riduzione del nostro ritmo di sfruttamento...

Il tema della ricerca mi è particolarmente caro perché ci lavoro e, non a caso, ora ti sto scrivendo dagli Stati Uniti. Credi che il problema che oggi i ricercatori italiani stanno affrontando è la mancanza di embrioni e cellule staminali? Ti rispondo io: no. La ricerca costa e deve essere finanziata. E si deve fare in modo che i finanziamenti siano bene impiegati. Questo è il problema che la politica deve affrontare nell'ambito della ricerca, non le staminali. La questione finanziamenti pubblici, poi, è particolarmente delicata. Ti faccio un esempio in ambito medico: la tubercolosi è la patologia che miete più vittime al mondo. Eppure la ricerca sulla malattia è praticamente ferma. La cura esiste e prende la forma di un bombardamento di 4 e poi 2 antibiotici per almeno 6 mesi. Ci sono due problemi: (1) se la cura ti guarisce devi sperare che il fegato e il sistema immunitario si riprendano presto e (2) c'è una diffusione sempre più crescente di ceppi resistenti agli antibiotici. Perché si sente parlare sempre di lotta al tumore X e Y e mai di lotta alla TBC? L'interesse economico di privati è la risposta a questa domanda...
10 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, nessuna confusione.
Mi sembra che tu introduci elementi confusivi quando stabilisci confronti tra le ricerche genetiche e le diagnosi genetiche pre-impianto. Queste ultime non sono finalizzate a individuare generici nessi di casualità tra geni e malattie, comportamenti o caratteri fenotipici (occhi azzurri, capelli neri…) ma esclusivamente ad accertare malattie ben definite e sulle quali non mi risulta esistano dubbi nella comunità scientifica.
Malattie per le quali sono stati identificati i geni coinvolti nell’insorgenza della malattia da diagnosticare.
La diagnosi pre-impianto è finalizzata ad accertare specifiche malattie che, in base alla anamnesi dei soggetti interessati, hanno alta probabilità di manifestarsi. Non c’entrano nulla, quindi, gli articoli di giornale cui fai riferimento.
Sulla questione divieto pre-impianto si è già espresso il TAR del Lazio che ha annullato le vecchie linee guida della legge 40 e sollevato questione di legittimità costituzionale; adesso, con la sentenza della Consulta anche l’obbligo di impianto contemporaneo di tutti gli ovuli decade.

Trovo singolare che tu non te la senta di commentare una norma di legge che “impone” una misura medica (massimo tre) e una procedura medica (impianto contemporaneo) mentre sulla questione pre-impianto sei così fermo nelle tue convinzioni insistendo sul tema “fattore gravidanza”, come se dall’essere in gravidanza o in attesa di poter iniziare una gravidanza possa derivare una risposta certa ed oggettiva al fine di prendere una decisione.
Forse, idealizzi un po’ troppo la gravidanza, sostituendo il rischio errore di diagnosi medica, comunque misurabile, con la ben più indefinita situazione, non misurabile, che scaturisce dall’ipotetico effetto gravidanza.
Lo stato in cui una persona prende una decisione ha influenza sulla decisione stessa, ma si tratta di effetti variabili da soggetto a soggetto e quindi irrilevanti rispetto alla finalità di una norma di legge.

Scorciatoia divorzista.
Avevo supposto questa tua analisi, ma avevo preferito non lanciarmi in interpretazioni.
Ribaltiamo il tema.
Perché due persone sono ritenute responsabili quando si sposano e diventano irresponsabili quando divorziano?
Perché due persone possono contrarre matrimonio dopo un colpo di fulmine (fatti salvi i tempi tecnici) mentre devono attendere anni per divorziare?
E’ forse il matrimonio che trasforma le persone da responsabili in irresponsabili?
Scusa il sarcasmo, ma allora rendiamo obbligatorio un periodo certo di “fidanzamento” prima di contrarre il matrimonio.
Non ha senso che non si richieda alcun requisito temporale per sposarsi mentre ci vuole che passino anni per divorziare. C’è la presunzione di responsabilità quando si contrae matrimonio, mentre c’è la presunzione di avventatezza quando si chiede il divorzio.
Non ti sembra una palese contraddizione?

Non mi interessa, in questa sede, discutere la posizione della Chiesa. Ritengo che sia legittima ogni posizione purché non si pretenda di trasformare un precetto etico in legge, in obbligo.
Dove c’è obbligo non c’è scelta etica.

Limite temporale per l’aborto: credo non ci sia necessità di allungare i tempi; basterebbe fare in modo che una facoltà prevista per legge sia effettivamente esercitabile. In troppe zone d’Italia, o per cattivo funzionamento delle strutture pubbliche o perché non si garantisce la prestazione sanitaria aldilà della lecita obiezione di coscienza, si rischia di superare i limiti temporali previsti dalle leggi; in questi casi credo che il problema non si risolva allungando i tempi.

Staminali: sono favorevole alla libera ricerca; va tenuto anche conto che gli embrioni crioconservati in soprannumero o “abbandonati” consentono di realizzare linee cellulari per un’intera generazione di ricercatori e l’alternativa a ciò è in ogni caso la distruzione di questi embrioni. Tra le due strade preferisco la prima; non mi pare esista la necessità o l’ipotesi di creare embrioni appositamente per effettuare tali ricerche.

Perché lo Stato deve impormi...
Il Parlamento può legiferare su ogni materia per il semplice fatto che “può”. Non è un gioco di parole, dal momento che non esiste la previsione di abuso del potere legislativo (neanche quando il Parlamento viola apertamente il responso referendario).
Detto ciò, va valutato se debba legiferare: valutazione squisitamente politica.
Quindi, va valutato come legifera. E qui sono dolori.
La maggioranza parlamentare negli ultimi anni ha strumentalmente legiferato su varie materie, impropriamente definite “etiche” (non sono le materie a essere etiche ma le azioni), per creare scompiglio nella parte politica avversaria.
Per finalità politiche ha capziosamente affermato ope legis una visione etica particolare.
L’etica è stata piegata a esigenze politiche, come dimostra la contraddittorietà degli atti legislativi e la perentorietà con cui è stata rappresentata una concezione etica assoluta, definita d’ispirazione cristiana. Il pensiero cattolico presenta invece una molteplicità di posizioni che mal s’accompagna con questo integralismo politico; se poi guardiamo al mondo cristiano nella sua totalità, le posizioni diventano ancora più varie.
L’attività legislativa è a mio avviso sempre deprecabile quando non tiene in considerazione il pluralismo, le molteplici concezioni della vita, le ragioni di coscienza altrui.
Non onora la coscienza propria chi non rispetta quella altrui, semplicemente dimostra di essere senza coscienza e porfondamente immorale: questo è il giudizio che, con molta serenità e pacarezza, esprimo nei confronti della stragrande maggioranza dei parlamentari italiani, che non sono nè i miei nè i tuoi parlamentari.
Non è moralmente credibile chi per far valere la propria coscienza calpesta quella altrui.
Oltre a essere deprecabile, sul piano squisitamente etico, è pure ai confini della legalità quando viola apertamente i principi costituzionali.

Controllo demografico.
L’invecchiamento della popolazione si genera anche a causa della maggiore aspettativa di vita, già questo è un fattore di crescita della popolazione ed è un fattore di costo per la collettività. Se nonostante l’allungamento della vita si dovesse incrementare o incentivare la natalità avremmo solo un incremento dei costi e non un beneficio.
Una grossa fetta della popolazione è a carico della collettività: per definizione gli over 65 e gli under 16; a questa fetta dobbiamo aggiungere un’altra quota di popolazione non produttiva, per effetto dell’allungamento dell’età formativa e dei sistemi previdenziali (gli studenti over 16 e i pensionati under 65); a tutto ciò aggiungi la popolazione non occupata (cosa diversa dai disoccupati)…
Ti rendi conto che ragioniamo ancora come se fossimo in una situazione da inizio dell’epoca industriale? Epoca in cui l’individuo non era un costo per la collettività dal momento che non esisteva alcun servizio previdenziale, assistenziale, sociale, educativo-formativo.
Ti rendi conto che i pochi che lavorano dovrebbero reggere tutto il sistema? Ti rendi conto che tra questi pochi che lavorano solo un terzo circa è impiegato in attività produttive in senso stretto (primario e secondario, agricoltura e industria) mentre i 2\3 circa della popolazione attiva è impiegata nel terziario? Non ti suggerisce nulla questa dinamica, questa terziarizzazione dell’economia?

Che significa “equilibrio specifico in ogni nazione”?
Perché esiste ancora il concetto di nazione sul piano demografico?
E incentivare la natalità con i bonus bebè significa lasciare che si determini un equilibrio specifico o significa intervenire specificatamente in una determinata direzione?
Far pagare poche tasse alle famiglie numerose significa favorire un equilibrio specifico o procedere a favore di una determinata direzione che pone in capo alla collettività la scelta di un singolo?
Non prendiamoci in giro: è sempre stata attuata una politica di incentivazione della natalità; ritengo sia ormai necessario cambiare rotta.

“Controllo naturale evolutivo”?
Mi sembra una bestialità e una contraddizione in termini.
Con la nostra capacità di intervenire sui fattori naturali abbiamo quasi cancellato ogni potere naturale ed evolutivo. Ciò che si controlla cessa di essere naturale; un processo naturale evolutivo non può essere “controllato”, tranne il caso di utilizzare il termine per intendere “osservato”, ma non mi sembra che tu stia intendendo ciò.
Non fraintendermi, ma non nascondiamoci che la medicina indebolisce sul piano biologico la specie umana: l’uomo è biologicamente stazionario con tendenza involutiva. Con la medicina riusciamo ad assicurare vita e procreazione ad elementi che nel recente passato non sarebbero sopravvissuti; riusciamo anche con i “pezzi di ricambio” a far vivere persone che sarebbero morte… Tutto ciò è contrario al concetto di evoluzione naturale.
Ripeto, sono considerazioni strettamente sul piano biologico; ovviamente, sono ben contento di quanto la scienza e la medicina ci mette a disposizione ma, per il potere che abbiamo di modificare il disegno naturale, abbiamo il dovere di interrogarci su quali siano le conseguenze del nostro agire.
Non capisco proprio cosa tu voglia intendere.

Densità abitativa.
Ci vai a vivere tu nel deserto?
Guarda caso anche nelle nostre tante diverse città, la migliore qualità della vita coincide con bassa densità abitativa.
La gestione del territorio è certamente legata alla cultura di chi vive quel territorio, ma è inevitabile che col crescere della popolazione la pressione sul territorio possa raggiungere livelli insostenibili e nocivi.
Più persone significa maggior terreno dedicato all’agricoltura, per esempio. Ciò comporta la necessità di stressare i cicli naturali col conseguente impoverimento della terra che dovrà essere “nutrita” con concimi chimici per renderla produttiva... Più agricoltura significa meno boschi, deforestazione… così è iniziata la prima grande tragedia ambientale.
Il pianeta ha conosciuto un solo grande scontro di civiltà: lo scontro tra la civiltà nomade e quella stanziale.
La prima è stata sconfitta dalla seconda. L’affermazione della civiltà stanziale ha portato alla nascita delle città; la rivoluzione industriale ha dato nuovo impulso all’accentramento della popolazione laddove c’erano i luoghi di produzione (non li ho inventati io gli stabilimenti industriali e i relativi agglomerati urbani)…
Il tema diventa impossibile da affrontare su questo “canale”… se difettano le basi necessarie per affrontare questi temi. Non voglio essere offensivo, però se poni le domande in questo modo vuol dire che non ti sei mai preoccupato di approfondire i temi dello sviluppo urbano e della antropizzazione.
Idem se non comprendi la differenza tra crescita aritmetica ed esponenziale (non è una mia invenzione); ti suggerisco se il tema ti interessa di leggere qualche testo di sociologia, di statistica…
Ti faccio anch’io un piccolo esempio.
Da un uomo e una donna, cioè due persone, si passa a 3 (il come mi sembra inutile spiegarlo). Da cinque coppie che mettono al mondo ciascuna 2 figli si passa in breve da 10 a 20 cioè al raddoppio; e così via… con la conseguenza che abbiamo Paesi che raddoppiano la loro popolazione ogni 15\18 anni (Kenya, Etiopia…). L’intero continente africano ha quadruplicato la popolazione in circa mezzo secolo, nonostante guerre, carestie, aids…
Quale il tasso di crescita economica per assicurare un pro-capite più elevato, per migliore le condizioni di vita, con un simile tasso di crescita demografica?
Di quanto deve crescere questo pro-capite per poter assicurare i servizi sociali indispensabili?
In demografia l’effetto moltiplicatore è molto più veloce di quello aritmetico dove si passa da 2 a 2+x%. In economia esistono i centesimi, in demografia esistono le unità e due unità diventano 3 e mai 2,1.
Certo, se una economia cresce a ritmi sostenuti può permettersi ottime crescite demografiche, ammesso che poi riesca a gestire i problemi connessi…
Ma quale economia può crescere a ritmi sostenuti se non sposa il sistema consumistico-produttivo?
L’agricoltura, la pastorizia, la zootecnia non assicurano alti tassi di crescita economica se siamo in presenza di molte più bocche da sfamare…
Ecco allora che intere parti del mondo si trasformano in squallidi villaggi turistici per il consumismo itinerante, ecco che si accolgono senza andare tanto per il sottile gli stabilimenti industriali di aziende estere…le famigerate multinazionali del profitto.
Ecco che le bio-diversità e la molteplicità culturale, le culture particolaristiche, le diverse socialità… tutto viene fagocitato dall’enorme slot machine che è diventato il Pianeta.
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Cosa è ora l'Italia, con i suoi 60milioni di abitanti? E cosa sarà domani (magari ancora con i suoi, suppergiù, 60 milioni di abitanti)? Credi che l'impatto sul territorio dipenda unicamente dalla densità abitativa? O dipende anche in buona parte dalla cultura del territorio che la popolazione possiede?
Altrimenti perché esisterebbero le profonde differenze che oggi vediamo nelle diverse nostre città?
Perché, inoltre, hai considerato il tasso di crescita dei vari stati che hai elencato ma non hai riportato la densità abitativa di quei luoghi?
Etiopia: 70ab/km2
Egitto: 77
...
Brasile: 22
Italia: 199
USA: 31

Sinceramente non ho capito la tua distinzione fra crescita esponenziale della popolazione e crescita aritmetica dell'economia.
Facciamo un esempio (inventato):
Anno Popolazione
2000 1.000.000
2001 1.020.000
2002 1.040.400
2003 1.061.208
....
2000+t 1.000.000 * (1,02)^t
Conclusione: crescita esponenziale con tasso annuo costante del 2%

Ma non misuriamo così anche la crescita del PIL? (E anche interessi a debito o credito, se è per quello (e, by the way, i premi di Chi vuol essere milionario, un motivo ci sarà, no?)). Avrei potuto scrivere PIL invece che Popolazione e avresti tratto le stesse conclusioni... crescita con tasso costante del 2%.
Sono tutti andamenti esponenziali, è la differenza del tasso che fa la differenza, ma la velocità di crescita, in termini analitici, è comparabile.
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Vogliamo rimanere sull'esempio Cina? La politica di controllo delle nascite a cosa sta portando? Da una parte si è calmierata la crescita demografica, ma dall'altra? Com'è la composizione della popolazione? Il rischio è che si generi un'invecchiamento della popolazione, con tutti i costi sociali che esso comporta.
Cercare di controllare un fenomeno complesso è assolutamente rischioso. Dobbiamo attuare politiche di denatalità o lasciare che si raggiunga un'equilibrio specifico in ogni nazione (una sorta di controllo naturale evolutivo, mediato dala società, non dai processi darwiniani)?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Il mio "usare la sentenza" era solo per dimostrare come sia stato considerato importante il fatto che l'uomo abbia nascosto alla moglie che non potesse procreare. Infatti è stato giudicato sufficiente a richiedere una rivalutazione del caso. Non voglio far dire che una finalità del matrimonio è la procreazione, ma che, per alcune persone, la procreazione è un elemento di realizzazione. Se così non fosse, la cassazione non avrebbe valutato come venuto meno la lealtà dei coniugi, o mi sbaglio? Se poi una coppia sposata decide di non aver figli senza tradire le aspettative di entrambi la questione diventa "privata" (non del tutto, ma in buona parte).
Quello che volevo ribadire è la differenza tra procreazione e produzione di forza lavoro, ma su questo siamo d'accordo e, quindi, possiamo concludere qui. No?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Il noccciolo dell'articolo, secondo me, è evidenziato dalla domanda "... ma perche' lo Stato deve impormi qualcosa in questo ambito tutto mio?".
A questo proposito ribadisco che lo stato può e deve legiferare su questioni che hanno risvolti sociali. Si può discutere dei contenuti di tali leggi, di cosa ha un'effettiva rilevanza sociale, ma non si può discutere sul fatto che questa debba essere una sua prerogativa. Non trovi, Sergio?
9 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Provo a commentare per punti (e a puntate), visto che non ho molto tempo.

Mi sembra che tu vada a confondere due tipi di diagnostica: la diagnostica per immagini e la diagnosi di malattie genetiche. Nel primo caso è, ovvio, la frattura (ma anche la presenza di masse tumorali ecc) è immediatamente riscontrabile. La risposta è discreta. Il test genetico, invece, si scontra con la nostra limitata comprensione dei processi che, a partire dal nostro patrimonio genetico, danno vita al sistema uomo. Nel test genetico si determina una deviazione nella sequenza nucleotidica che è fortemente (e statisticamente) correlata alla presenza di una malattia. C'è una effettiva relazione di causalità? Nella maggioranza dei casi non ci è dato saperlo. Non ti sei mai chiesto cosa c'è dietro ai tanti articoli di giornale che affermano "scoperto il gene X che è coinvolto nella malattia Y (o nel comportamento Z)"? Di certo, se sfogli la letteratura scientifica da cui l'articolo è tratto, noti che l'analisi realmente compiuta non va a esplicitare come la variazione presente sul gene influenza i processi biologici che portano poi alla malattia (o alla comparsa di un tratto fenotipico particolare). La verità è che a questo proposito ne sappiamo ancora così poco... I protocolli nella pratica diagnostica sono "solo" un modo (fondamentale) per avere una linea di condotta comune e scientificamente fondata: non danno un responso certo (sto, naturalmente, considerando il caso generale, determinate patologie, ad esempio la sindrome di Down, hanno percentuali trascurabili di errore).
Ed è per questo che chiedo: il margine di errore nella predizione della malattia, se non è trascurabile, come si combina con il fattore "essere in gravidanza"? Abbiamo entrambi concluso che, in generale, la propensione al rischio (anche se questo termine di teoria delle decisioni non mi piace molto) si abbassa nel caso di diagnosi pre-impianto e, di conseguenza, questo comporta l'insorgenza di un processo selettivo. Mi ripeto perché, evidentemente, il mio messaggio non appare chiaro: sono assolutamente convinto che la scelta debba rimanere soggettiva sulla base del dato e del parere clinico, tuttavia ritengo più opportuno che tale scelta venga fatta durante la gravidanza. E il rischio derivante dall'aborto terapeutico, che si sarebbe potuto evitare con una diagnosi pre-impianto, mi sembra una motivazione che non può giustificare da sola la diagnosi pre-impianto: perché allora una coppia sana (ma, magari, un po' su con l'età e quindi, con un più alto rischio di problemi di natura genetica e fisiologica) non dovrebbe poter accedere alla fecondazione artificiale e evitare così il rischio di un aborto "terapeutico" in caso l'embrione presentasse malformazioni? La logica che hai spesso invocato ci porterebbe su questa strada.

La "scorciatoia divorzista" si riferiva a una parte dell'articolo in cui si auspica una sostanziale semplificazione del divorzio, al fine di accogliere nel più breve tempo possibile il volere dei coniugi di non essere più tali. Non credo che questa semplificazione possa portare a un beneficio alla società sul medio-lungo periodo. Che società è una società in cui la costruzione e il disfacimento delle famiglie avviene su due piedi? Lo dico sul piano della stabilità ma anche sul piano economico. Divorziare, anche ammettendo che la parte legale venga alleggerita, lascia il segno sulla società ma anche sulle finanze degli individui. Non è meglio attuare politiche per l'aumento della "consapevolezza del matrimonio"? Non tutto si può prevedere ma, come facciamo fare un esame di guida prima di rilasciare la patente (permettimi la banalizzazione), non dovremmo "accertarci" che una coppia sia realmente consapevole di cosa comporti una tale scelta?

Sono pienamente concorde con la tua analisi del fenomeno consumistico. Prova, però, a traslare tale analisi all'attuale dibattito politico italiano (e, per certi versi, ma non ne sono particolarmente titolato, del mondo occidentale). Non siamo di fronte allo stesso fenomeno? L'attuale mondo politico (in tutti gli schieramenti) cerca di indurre nuovi bisogni nell'elettorato, bisogni a cui può/sa rispondere e sui quali, poi, riscuote consensi. La questione sicurezza (o, meglio, la sua manipolazione) mi sembra l'esempio più lampante. O sbaglio? Non sono i temi discussi nell'articolo parte di questa scorciatoia? La classe dirigente non sa come rispondere (o, per valutazioni economiche, non vuole rispondere) efficacemente e concretamente a determinati problemi e, tramite scorciatoie, cerca di dare altre risposte. Rimaniamo sulla questione sicurezza: una politica per l'integrazione non potrebbe essere più efficace sul lungo periodo? Ma, senza andare "fuori tema", anche la questione "facilitazione del divorzio" va nella direzione di una resa delle politiche della famiglia. E allo stesso modo la questione della fecondazione artificiale e il "volere assolutamente un figlio con il minimo rischio, ma non di salute, bensì di averlo differente da come lo si vuole/lo si immagina."

Ritengo che, spesso, si confonde la posizione della chiesa cattolica con "oscurantismo". Invece penso che le sue posizioni, controverse, derivino dalla constatazione che è l'accettazione dei limiti che ciascuno di noi ha (e il saper vivere all'interno di essi) a portare a una vita serena. Esasperare i bisogni della gente (ed è questa la tendenza consumistica) favorisce chi può rispondere a questi bisogni, non il soggetto dell'esasperazione stessa. Ciò vale sul piano materiale come tu stesso hai ben spiegato... ma vale anche sul piano etico e morale. Il discorso "la mia libertà finisce dove inizia quella dell'altro" è un po' banale perché, a mio avviso, l'esercizio della propria libertà deve considerare sì la libertà dell'altro, ma anche la responsabilità sociale del mio gesto. Ed è qui che, secondo me, il processo legislativo dovrebbe intervenire, nell'indicare la responsabilità sociale che l'esercizio dei propri diritti comportà. Secondo me, concludendo, nello specifico, il divieto della diagnosi pre-impianto (non sto parlando dei tre embrioni, che sono un discorso diverso), la legislazione relativa al divorzio e, in parte, quella relativa al matrimonio e alle unioni di fatto vanno nella direzione di delineare una responsabilità sociale delle proprie azioni e, così, di migliorare la convivenza civile.

Mi piacerebbe conoscere, inoltre, il tuo parere su due questioni che ha evidenziato l'articolo: (1) il limite temporale sull'interruzione volontaria della gravidanza (in cui si dice che non ha senso perché tanto può essere fatto clandestinamente) e (2) le differenze legislative tra il nostro paese e l'estero, con particolare riferimento alle staminali.
8 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, a quale norma fai riferimento?
I giudici hanno come riferimento i diritti costituzionali e le norme di legge.
Riguardo al matrimonio, l’art. 147 c.c. recita:
“Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.”

Non esiste un obbligo a fare figli, mentre esiste l’obbligo di lealtà che è disatteso nel momento in cui si nasconde al coniuge una situazione di fatto che è d’impedimento a una eventuale naturale attesa dell’altro coniuge.
In discussione non è il ruolo della procreazione, ma il diritto di essere informato su situazioni che possono incidere sulla soggettiva e autonoma determinazione di contrarre matrimonio.

Pienamente d’accordo che la procreazione non sia produrre braccia per i campi.
La frase incriminata, a mio avviso, ma ripeto è una mia interpretazione (forse sbagliata, ma in me quella frase ha rievocato una tendenza culturale che ha caratterizzato la nostra storia recente), racchiude un intero mondo culturale e politico, ancora monoliticamente incentrato sulla famiglia uomo-donna con funzione procreativa.
Mi sembra una visione riduttiva che non trova riscontro nelle norme di legge che, pur tutelando la famiglia e il diritto procreativo, non vincolano mai la costituzione della famiglia e il contrarre matrimonio alla procreazione.
L’autore dell’intervento di apertura chiede infatti “Perche' la famiglia legale deve essere solo uomo/donna, forse c'e' ancora bisogno che sia tale perche' occorre procreare braccia per i campi e per le fabbriche e per lo Stato…”
In questi “forse” io ho letto la rievocazione di una cultura che ha dominato in Italia.

Poiché un’unione è valida, legalmente e socialmente tutelata, prescindendo dalla procreazione, perché non deve avere valore legale anche un’unione che non sia composta da uomo+donna? La procreazione è forse l’unica ragione che sostanzia e legittima un’unione?
Non vedo alcun attacco all’aspetto procreativo, ma una legittima aspettativa che ci sia riconoscimento sociale e legale per altre forme di famiglia che si affiancano a quella tradizionale.

La popolazione mondiale cresce a ritmi sostenuti; è un fatto che in mezzo secolo è quasi triplicata.
Non ti sembra che ci sia un po’ di pelosità nei tanti discorsi che si fanno ufficialmente per la lotta alla miseria, alle epidemie… e i pochi fatti che seguono a queste dichiarazioni altisonanti?
Io credo che faccia terrore alla classe dirigente internazionale che si sconfigga la fame nel mondo e la miseria; dovrebbe confrontarsi con un problema enorme che nessuno sembra voler affrontare: la crescita demografica.
Come c’è molta pelosità nell’affrontare i problemi dei diritti fondamentali in vaste aree del mondo.
Prendiamo la Cina, visto che la citi.
Quel sistema politico fa molto comodo al mondo intero. Se la Cina comincerà a investire al proprio interno, per lo sviluppo della qualità della vita e il riconoscimento dei diritti fondamentali, saranno dolori: chi comprerà i titoli di Stato statunitensi? Chi finanzierà il debito pubblico?

Sinora la Cina ha frenato il rischio di rivolte popolari con il sogno americano in salsa cinese; vale a dire, se vuoi stare bene basta rimboccarsi le maniche… I milioni di cinesi migrati verso le città in cerca di fortuna costituiranno un bel problema se la crescita economica dovesse scendere sotto il 7-8%.
Se lì i lavoratori dovessero avere gli stessi diritti e le stesse tutele che hanno i nostri lavoratori (e noi ci lamentiamo), allora lo Stato cinese non potrà fare più lo shopping nel mondo che fa da oltre dieci anni… e il sistema economico mondiale ne soffrirà.
D’altra parte, è esportabile il sistema “americano” basato sul produrre 5 e consumare 40?

Non si tratta di un popolo cinese che non ha il “bisogno consumistico”, ma di un popolo che è imbrigliato in un sistema politico-economico rigido, dittatoriale. A me sembra che faccia paura una Cina che dovesse imboccare la strada della democrazia.
E la storia ci insegna che autoritarismo politico-sociale e liberismo dirigistico di Stato è una miscela esplosiva.

Il controllo delle nascite è ineludibile se vogliamo sconfiggere fame e miseria.

I Paesi da dove provengono una massa di immigrati hanno alle spalle ottime crescite economiche ma nonostante ciò la miseria dilaga.
Senza dubbio le cause sono tante, ma tra queste c’è anche da considerare che la crescita economica è aritmetica mentre quella demografica è esponenziale.
Non auspico che si imponga un modello di sviluppo (sbagliato) a tutto il mondo, ma poiché il mondo sembra orientato a fare proprio il modello (fallimentare) consumistico-produttivo, allora il problema demografico è ineludibile.
E non è in discussione l'idea di negare ai popoli emergenti i nostri stessi agi, ma la necessità di ripensare i modelli di produzione accompagnando questo processo con una politica che incentivi la denatalità.

Non credo assolutamente che la procreazione sia un bisogno indotto; credo semplicemente che esista un modus vivendi che tanti fanno proprio perché così si è sempre fatto. Ciò vale, talvolta, quando si mette su famiglia, quando si prendono i sacramenti… si tratta di adesione conformistica a uno stile di vita senza interrogarsi se quelle scelte rispondano esattamente ai propri bisogni.

Agli assegni a sostegno della maternità preferisco servizi efficienti.
Proposte stile bonus bebè o assegno se rinunci all’aborto, più che incentivi mi sembrano sbandierate demagogiche che non spostano di una virgola le questioni reali… un po’ come regalare la pasta in campagna elettorale.
Certo, meglio avere mille euro che non averli, ma stai pur certo che nessuno è così fesso (spero) da fare un figlio perché avrà in regalo mille euro; quindi, quel qualcuno avrebbe comunque fatto un figlio; ok, regaliamogli mille euro, ma non sarebbe meglio sviluppare i servizi sociali?

I bambini generano domanda, non c’è dubbio; generano anche costi: assistenza medica, scuola, inquinamento…
Le bocche vanno sfamate e la capacità del pianeta di produrre risorse alimentari non è infinita.
In mezzo secolo il consumo di carne è quadruplicato. La Cina è passata da 9 chili di consumo pro-capite a 55.
Lo stesso discorso vale per i consumi di cereali, con la piccola considerazione che oggi un terzo della produzione cerealicola mondiale serve a sfamare gli animali destinati alla nutrizione umana.
Se pensiamo che il benessere dipenda dalla crescita del PIL (ovvero degli scambi di merci e servizi), proseguiamo su questa strada, ma non dimentichiamoci che una maggiore popolazione richiede case, servizi, cibo, territorio… e le risorse del pianeta non sono infinite.
A proposito, il terremoto fa crescere il PIL.

Non credo sia difficile immaginare cosa sarebbe l’Italia se fossimo 150milioni. Pensa solo all’impatto sul territorio; cosa sarebbe Napoli con una popolazione tre volte quella attuale?
Pensa ai problemi del traffico e dell’inquinamento.
Cosa sarebbe l’Italia se producessimo tre volte i rifiuti attuali?

Sistema pensionistico più bilanciato?
Ma neanche per sogno. Se il sistema pensionistico non è bilanciato ciò è dovuto esclusivamente al fatto che la crescita dell’attesa di vita non è stata accompagnata da un allungamento della vita lavorativa, per non parlare del pessimo sistema che consentiva di andare in pensione con appena 15 anni di lavoro (anzi, 14anni, 6mesi e 1giorno).

Se pensiamo che l’economia sia in dipendenza anche della crescita demografica, ci poniamo in una logica consumistico-produttiva o, se preferisci, produzione di braccia per i campi, l’industria, lo Stato… ma dovremo fare i conti anche con i milioni di persone che si affacceranno sull’italico suolo.

Maggiore occupazione?
E a che servirebbe se non crescono gli stipendi per poter sfamare più bocche? Quale occupazione se tantissimi tipi di lavoro ormai non li vuole fare più nessun italiano.
Pensi che esistano ancora gli italiani disposti a fare i braccianti agricoli, a raccogliere i pomodori?
Costo del lavoro più alto significa prodotti più cari…

Il sintema consumistico induce bisogni e rende obsoleto ciò che appena ieri sembrava l’ultimo ritrovato della tecnica.
Bisogna consumare per far posto ai nuovi prodotti… Il sistema consumistico-produttivo genera insoddisfazione: solo se sarai costantemente insoddisfatto sarai un buon consumatore.

Un sistema economico è come un organismo: ha bisogno di assumere alimento per svolgere le funzioni del metabolismo e le attività lavorative, ma non ha senso assumere più di quel che serve… tanto poi con una corsetta si smaltisce l’eccesso di cibo.

Il nostro sistema economico è basato su una capacità produttiva superiore alle necessità; quindi bisogna indurre i consumi per mantenere la produzione, e con essa l’occupazione, in una corsa senza fine dove ciascuno di noi diventa un “prodotto”: cogito ergo sum è divenuto consumo ergo sum.

Riguardo alla questione della diagnosi pre-impianto, ho affermato che ci sono delle probabilità; che il momento in cui si effettua una diagnosi può avere un peso in una direzione come in un’altra.
Ho ipotizzato che una diagnosi di malformazione possa portare alla decisione di non procedere con l’impianto, come a una decisione di procedere comunque. In questa seconda ipotesi può anche capitare che ci sia un ripensamento; ovvero, quel che prima era stato valutato come ininfluente rispetto alla volontà di avere un figlio, adesso, nel corso della gravidanza, potrebbe determinare uno stato di sofferenza, inadeguatezza, angoscia… che induce all’aborto.
Ritengo, pertanto, che la valutazione debba essere effettuata dal soggetto interessato, poiché non esistono criteri oggettivi ma solo condizioni soggettive.

Inutile esporre al rischio di un aborto, se c’è la possibilità di anticipare il momento della valutazione.
Anche l’effetto gravidanza è relativo e dipende dal soggetto, come dimostra il fatto che non tutte le donne vivono con la stessa sofferenza e intensità l’evento abortivo (spontaneo o provocato).
Se è una questione di coscienza e responsabilità individuale, come anche tu mi sembra affermi, allora il prima o il dopo è scarsamente rilevante e sarà il soggetto interessato a dare rilevanza al momento.
Perché provocare il momento della gravidanza, per poi ritenerlo idoneo per una decisione?
Esiste forse un modo univoco di vivere la gravidanza?
Esistono dei criteri oggettivi per misurare “l’effetto gravidanza”? O questo effetto, se esiste, è squisitamente personale?

La “scorciatoia divorzista” non l’ho capita.

Certo esiste il margine di errore (il riferimento al software era solo un esempio, evidentemente infelice, per rappresentare l’infondata attesa di “esattezza” che talvolta abbiamo) ma non possiamo stabilire aprioristicamente processi combinatori… Non siamo macchine e non c’è una “risposta” attesa che ci consenta di stabilire chi ha risposto bene e chi male.
Ciascuno di noi, posto di fronte a una diagnosi, a una valutazione di probabilità di successo di un intervento, a una valutazione di rischio… valuta con la propria cultura e sensibilità, con la propria propensione al rischio cosa è più opportuno fare.

L’esempio di una probabilità di malformazione del 10% non regge se siamo di fronte a una gravidanza in atto; in tale ipotesi vale quanto previsto per legge: o c’è una previsione di patologia (nei primi tre mesi) o c’è l’accertamento di processi patologici (dopo i primi tre mesi); in entrambi i casi deve esserci pericolo per la salute fisica o psichica della donna. La previsione o l’accertamento dei processi patologici è certificato dal personale medico, con le modalità previste dalla legge e dai protocolli sanitari.
Se invece siamo nel campo della diagnosi pre-impianto sarà la donna a valutare, con l’ausilio del personale medico, con la propria cultura, sensibilità…

Le valutazioni e le decisioni non possono che essere soggettive e personali.

Comunque, non vanno confusi i test o le analisi quantitative con gli accertamenti diagnostici.
L’analisi quantitativa procede per approssimazione e stabilisce se siamo all’interno di una determinata forchetta considerata nella norma.
L’accertamento diagnostico invece individua se c’è o non c’è una determinata patologia. In questo caso l’errore non è più di tipo quantitativo ma qualitativo; non c’è più il rischio dell’errore statistico, il margine di errore intrinseco in ogni rilevamento e proprio di ogni macchinario, ma il rischio di lettura e interpretazione sbagliata.
Posso sbagliare a leggere o a eseguire una TAC, una radiografia… ma questo tipo di accertamento non mi restituisce una probabilità di presenza di una frattura, per fare un esempio, ma la rappresentazione di una realtà oggettiva che va interpretata.
L’errore dovuto a una interpretazione sbagliata è in stretta relazione alla professionalità e perizia del medico.

Le diagnosi pre-impianto sono analisi che consentono di accertare la presenza di alcune malattie genetiche o alterazioni cromosomiche riscontrabili in una fase prematura dello sviluppo embrionale (al massimo pochi giorni di vita); queste diagnosi non si esprimono in termini probabilistici così vaghi come tu prospetti, ma determinano se c’è o non c’è presenza di “errori” genetici o di alterazioni. Se poi l'errore genetico c’è e non è stato visto o non c’è ed è stato individuato, siamo nel campo dell’errore tout court.

La diagnosi genetica pre-impianto è un’alternativa al rischio di ricorrere a quello che impropriamente è definito aborto terapeutico.
Personalmente preferisco che sia data al soggetto interessato la possibilità di stoppare tutto a una fase prematura dello sviluppo piuttosto che rischiare un aborto in una fase decisamente più avanzata dello sviluppo.
8 aprile 2009 0:00 - alfonso scala lombardo
Dall'intervento di Donvito da quelli tuoi,Sergio,e da quelli di Ipsilon, traggo molti motivi di riflessione.Sono argomenti complessi e densi che dimostrano come l'intelligenza sia ancora viva e vigorosa da qualche parte.E'attraverso una dialettica simileche tutto il forum si solleva dal marasma nel quale versano tanti blog dove si perde tempo a inseguire il sesso degli angeli, nel migliore dei casi. Complimenti e grazie. Un cordiale saluto.
8 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Un sacco di carne al fuoco su cui riflettere.

Sentenza. Riflettiamo sul principio che genera la norma. La realizzazione di una persona avviene anche attraverso la procreazione. Ok? (da cui parte la motivazione della sentenza, o sbaglio? Da cui poi si dipana il discorso sulla lealtà e che porta a riconsiderare le colpe della separazione.) Quindi la procreazione non è solo produrre braccia per i campi. E la tua interpretazione che deriva da mussoliniana memoria non regge. Altrimenti la questione immigrazione sarebbe stata toccata. Si stava "attaccando" l'aspetto procreativo e il valore umano che esso comporta, e questo non lo accetto.

Questione famiglia. Non sono un sostenitore del "nazionalismo", eppure vedo pericoloso il tuo modo di intendere la questione. In particolare mi fa un certo effetto una tua frase ("ma la popolazione mondiale cresce a ritmi notevoli vanificando ogni positività che la crescita economica può determinare nel miglioramento delle condizioni di vita"). Ritieni quindi che una politica di controllo delle nascite, ancche se non autoritaria come l'esempio cinese, possa configurarsi come un intervento lecito a favore dello sviluppo economico di realtà, evinco dai tuoi esempi successivi, del cosiddetto terzo mondo? Credo che questo sia decisamente pericoloso. La trasformazione sociale che ci ha portato al modello di famiglia mononucleare è, senza dubbio storico, il boom economico, che ci ha traghettati a uno stile di vita consumistico. Siamo sicuri che indirizzare i paesi emergenti a codesto stile di vita sia la strada per il loro progresso economico o è anche un modo di "aprire nuovi mercati" alle potenze odierne? Il tema è particolarmente delicato in questa fase di recessione della domanda. Leggevo un paio di mesi fa su un giornale britannico un'inchiesta riguardante lo stile di vita cinese e la sua influenza sul ritmo di crescita di questa economia. Il risultato, riassumo, è che il popolo cinese non ha (ancora?) il "bisogno consumistico" che ha modellato la società occidentale.

Mi preoccupa, inoltre, la tua lettura delle forme di sostegno delle maternità. Credi che il procreare sia unicamente un bisogno indotto? Leggi l'assegno in sostegno ai nuovi nati come un *incentivo* alla procreazione o come un modo per permettere di avere uno o più figli alle famiglie che ne sentissero il bisogno?
Lo trovo quanto mai importante soprattutto se consideriamo come l'innalzarsi del livello di istruzione ha portato a un generale innalzamento dell'età della prima maternità/paternità. Ora il divenire madre e/o padre è compresso, per motivi biologici, in uno spazio temporale ristretto rispetto agli anni '80. E in questi anni le spese si sommano, prima fra tutte il mutuo... Una qualsiasi forma di sussidio è bene accetta e, a mio parere, va incoraggiata, senza cadere nell'errore che tu hai fatto di giudicarla come un incentivo...
Non c'è un "rischio pochi figli", c'è il rischio che una delle aspirazioni di un essere umano venga repressa per motivi economici, portando a una non-realizzazione dello stesso.

E non credo che le motivazioni "contro" le unioni di fatto (perché è questo a cui si riferiva nell'articolo) si possano ricondurre a un mancato aumento demografico. Piuttosto esse comportano un cambiamento sociale che non comprendiamo, che deve essere attentamente soppesato e valutato... non dovrebbe essere un tema sfruttato da una parte politica (in un senso o nell'altro) per riscuotere consensi elettorali.

"Cosa sarebbe l’Italia se la popolazione nazionale fosse cresciuta con il ritmo del resto del mondo?"
Credo che non ci sia dato saperlo. Avere 60 milioni di abitanti invece che 140-160? Ringiovanimento della popolazione? Un sistema pensionistico più bilanciato? Maggiore occupazione (tutti 'sti bambini genereranno pure un po' di domanda...)? Come vedi le risposte potrebbero essere molte, alcune porterebbero a uno scenario di povertà, alcune a uno scenario di sostanziale benessere... Comprendere l'evoluzione di un sistema complesso nell'arco di molti anni è sicuramente una cosa che NON possiamo fare (vedi butterfly effect). E quindi non speculare su uno scenario che ti fa comodo, è assolutamente arbitrario.

Riguardo all'impianto di 3 embrioni per legge non mi sento di poter rispondere (non conosco la situazione a sufficienza e credo che a riguardo ci si stia ponendo delle domande "ai piani alti").
Ma non leggo la diagnosi post-impianto come una versione moderna del partorirai con dolore. Ribadisco: l'essere in gravidanza è un fattore determinante (come hai detto anche tu) nella scelta di proseguire o interrompere. Questo per tutti i motivi che ho già esposto. Nella tua esposizione confondi due piani. Dici che "e' probabile che sia più facile assumere una decisione drastica in fase pre impianto... gravidanza;" e, di conseguenza affermi come, nella maggioranza dei casi, la decisione drastica sia più facile con la diagnosi pre-impianto. Ma poi continui dicendo "allo stesso modo può verificarsi ... angoscia", cioè che può succedere anche il contrario. Ma questo è implicito in quanto avevi detto prima! Non sono ipotesi irrilevanti: essa, inquanto è una sola, va a fotografare una plausibile e consistente deviazione del comportamento (anche qui, in psicologia sociale, non solo in medicina, la statistica ci aiuta) e, di conseguenza, implica il meccanismo di selezione eugenetica. Credo che anche l'autodeterminazione dovrebbe avere dei limiti (non imposti per legge) derivanti dalla coscienza e dalla valutazione personale dell'individuo. Trovo quindi giusto che la decisione di non portare a termine una gravidanza possa venire presa, ma non trovo corretto il poterla prendere PRIMA di essere in gravidanza. E allo stesso modo e per lo stesso motivo reputo sbagliata la "scorciatoia divorzista" che l'articolo auspica.

Non credo che la procreazione medicalmente assistita sia da intendersi come una risposta al diritto alla salute. Piuttosto come una risposta a un bisogno legittimo di una persona. E credo che chi decide di percorrere tale difficile strada non lo faccia solo per un capriccio (per lo meno, nella maggioranza dei casi).

Temo di non aver capito il tuo capoverso conclusivo. Io sono partito dal presupposto che tutti i test diagnostici hanno un margine di errore. E credo che sia un presupposto che condividiamo. (Perché tirare in ballo il software? I casi sono ben diversi: da una parte abbiamo un oggetto complesso, il software, che, per questioni economiche, accettiamo sia impreciso, che sia un'approssimazione del comportamento atteso. Comunque comprendiamo e possiamo gestire senza problemi il modello computazionale sottostante. Cioè possiamo fare inferenze certe sulle proprietà esibite dal sistema. Dall'altra parte abbiamo un modello computazionale, perché no? alla fine i processi biologici che stanno alla base del nostro funzionamento non sono processi di trasformazione dell'informazione?, che cerchiamo di capire in base alle risposte che fornisce ai nostri stimoli. In questo caso, ogni inferenza è, per forza di cose, probabilistica.) Partendo da questo presupposto, cioè dall'errore intrinseco del testo diagnostico, mi chiedo: come si combina tale errore, nelle valutazioni personali e soggettive dell'aspirante madre, con il momento temporale in cui la diagnosi è stata fatta? Cioè, se ci sono 10 probabilità su 100 che il nasciuturo sia affetto da una data malformazione, ovviamente supponendo che questa comporti rischi di salute, qual'è la scelta della madre se (1) l'embrione non è stato impiantato o (2) l'embrione è stato impiantato? E non sto parlando di proibirne l'eventuale aborto successivo...
7 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, le sentenze non andrebbero mai piegate su una convinzione etica o ideologica, ma assunte per quel che rappresentano: l’applicazione concreta delle leggi e dei valori giuridici in esse espressi.

La sentenza di cui discutiamo ha riconfermato che ciascun individuo può avere una aspirazione alla genitorialità e quindi non è leale nascondere al coniuge la propria condizione di infertilità, come non è leale tradire il coniuge.
Poiché entrambi i coniugi sono venuti meno al dovere di lealtà e di fedeltà, un nuovo processo dovrà accertare il livello di responsabilità di ciascun coniuge nella separazione.

La procreazione è una delle finalità del matrimonio, ma non è necessario il matrimonio per procreare; né è essenziale la procreazione per la validità del matrimonio: il matrimonio non viene meno se non si mettono al mondo figli, nemmeno per il diritto canonico. Anche il diritto canonico considera la impotentia coeundi una causa di nullità del matrimonio mentre così non è per la impotentia generandi.
Quel che la sentenza giustamente mette in risalto è il dovere di rispettare le aspirazioni e il diritto di realizzazione del coniuge.
I giudici sono intervenuti sul concetto di colpa nella separazione: il tradimento può essere causa di colpa ma se anche l’altro coniuge ha violato il principio di lealtà, che dovrebbe caratterizzare l’unione coniugale, allora le responsabilità vanno accertate.

La frase “procreare braccia per i campi”, che tu contesti, va a mio avviso (ma non sono nella testa dell’autore che ha scelto queste parole) interpretata come una semplificazione polemica per mettere in risalto un atteggiamento culturale, ancora diffuso, che sembra ignorare le trasformazioni sociali degli ultimi decenni e una dimensione planetaria dei problemi demografici.
L’espressione “braccia per i campi” rievoca la politica d’incremento demografico di mussoliniana memoria.
Politica che è cambiata nei toni ma non nella sostanza. Facile a chiunque constatarlo ascoltando sul tema i tanti interventi di esponenti politici che sembrano non essersi accorti che gli italiani mettono al mondo pochi figli ma la popolazione mondiale cresce a ritmi notevoli vanificando ogni positività che la crescita economica può determinare nel miglioramento delle condizioni di vita. Basti osservare come, soprattutto in Italia ma anche altrove non si scherza, il tema del controllo delle nascite sia ancora un tabù; e laddove non lo è viene affrontato in modi autoritari e discriminatori (penso alla Cina e all’India).

Dalla famiglia patriarcale, tipica di una società agricola, siamo passati in breve tempo alla famiglia mono-nucleare tipica della società industriale e post-industriale; il costo della vita è cambiato e spesso per vivere una famiglia ha bisogno di due stipendi; lo stile di vita è profondamente mutato, così come i bisogni individuali.
Eppure ancora oggi si presenta come un pericolo per il futuro il fatto che gli italiani facciano pochi figli, come se il mondo non fosse pieno di figli e come se non esistessero i milioni di disperati che premono alle nostre frontiere.

Dalla metà del secolo scorso l’Italia è passata da circa 48milioni agli attuali circa 60milioni.
Dal 1950 a oggi il Kenya è passato da 6milioni a 40.
L’Etiopia da 20 a 88.
L’Egitto da 21 a 85.
Il Marocco da 9 a 35.
La Nigeria da 31 a 150.
Il Senegal da 3 a 13.
Il Sudan da 8 a 41.
Il Brasile da 53 a 200.
Il Messico da 28 a 112.
L’Indonesia da 82 a 242.
L’Iran da 16 a 64.
L’Iraq da 5 a 29.
L’Africa da 230 a oltre 1000, nonostante le guerre, le carestie, le epidemie. Nello stesso periodo tutto il continente americano è passato da 330milioni a 935 (e gli USA da 152 a 308).
Il mondo da 2550 a 6800.

Cosa sarebbe l’Italia se la popolazione nazionale fosse cresciuta con il ritmo del resto del mondo?

Con questi numeri, e i problemi che portano con sé, vogliamo ancora ragionare secondo i vetusti criteri della nazionalità?
Siamo sicuri che l’incremento delle nascite sia un fattore di crescita (come si continua a ripetere)?

Ecco, credo che quella frase polemica (infelice ma efficace, che contesti, giustamente) “braccia per i campi” racchiuda l’enormità di un problema che è tabù affrontare…

Passando dalla dimensione planetaria alla più modesta situazione nazionale, a quale logica risponde disciplinare per legge l’impianto contemporaneo, in misura non superiore a tre, degli ovuli fecondati?
A quale logica risponde il divieto di analisi pre-impianto?
Ha tutta l’aria di essere una disposizione punitiva: vuoi a tutti i costi un figlio? allora accetta il rischio di una gravidanza multipla e beccati quel che viene; se poi c’è qualche problema ricorrerai dopo all’aborto.
Una versione moderna del partorirai con dolore?

Il criterio quantitativo diffuso in passato è stato in buona parte superato dalla consapevolezza genitoriale: più attenzione nel mettere al mondo i figli, più consapevolezza dei diritti dei nuovi nati (cosa impensabile appena pochi anni fa).
L’alta mortalità infantile, ma non solo questa, induceva a elevata procreazione e quest’ultima rispondeva anche a criteri economici di aiuto nei lavori domestici e nei campi.
Anche questa lettura di un decorso storico del costume sociale è contenuto in quella frase “braccia per i campi”.

Il nostro stile di vita, il moltiplicarsi delle “forme famiglia”, il superamento della cultura “proprietaria” dei figli… hanno prodotto un nuovo modo d’intendere la genitorialità.
Ieri si disciplinava, o meglio si proibiva, l’utilizzo di pratiche contro la procreazione (gli anticoncezionali erano proibiti); oggi, considerato tutto ciò, ha ancora senso parlare insistentemente di un “rischio pochi figli”?
E così dobbiamo sorbirci le ideuzze dei bonus bebè o gli assegni per i neonati purchè siano italiani doc.

Ho ben presenti i problemi etici della tutela dell’embrione, ma bisogna bilanciare queste esigenze con quelle dei già nati, credo che la cosa più “giusta” da fare sia lasciare la scelta a ogni singola coscienza, come a ogni singola coscienza lasciamo l’utilizzo della facoltà naturale di procreare.
Credo sia necessario far leva sul principio di responsabilità; poco efficace, invece, ricorrere alle imposizioni di legge.

“La valutazione delle criticità di una malformazione” compete al medico sul piano tecnico-scientifico, ai genitori, e in particolar modo alla madre, sul piano umano e individuale.
E’ una valutazione che parte da un dato oggettivo (un responso clinico), ma è nella dimensione soggettiva che acquista tutta la sua portata umana.

Il momento in cui si verifica la diagnosi può avere un’influenza sul soggetto?
E’ probabile che sia più facile assumere una decisione drastica in fase pre-impianto rispetto a una fase avanzata di gravidanza; allo stesso modo può verificarsi che si decida di dare seguito all’impianto dell’ovulo fecondato accettando quel che “Dio ci ha donato”… ma poi subentri uno stato d’ansia e di angoscia…
Tutte le ipotesi sono possibili, ma sono irrilevanti: non possiamo stabilire criteri oggettivi di valutazione, aldilà del dato clinico.
E dal momento che proibendo la diagnosi pre-impianto non si può allo stesso tempo vietare l’accesso a quanto disposto per legge in materia di interruzione volontaria d gravidanza, trovo più umano e più rispettoso del diritto di auto-determinazione lasciare alla donna e alla coppia la decisione di verificare lo “stato” dell’embrione, assumendo le decisioni che ritengono più adeguate.

Se vuoi un mio punto di vista, ma vale solo per me e non mi sognerei mai d’imporlo ad altri, sono contrario a ogni tecnica di fecondazione assistita e a ogni terapia invasiva contro l’infertilità, poiché non considero l’infertilità una “malattia” ma un dato naturale. Non mi appartiene la cultura che considera “malattia” ciò che devia da un dato statisticamente maggioritario.
Se un individuo vive con malessere e sofferenza la condizione d’infertilità, potrà essere giusto (per lui) percorrere le strade offerte dalla scienza e dalla tecnica; personalmente, mi chiederei quanto questa sofferenza sia il frutto di un condizionamento socio-culturale e quanto rifletta pienamente un bisogno personale. Ma qui, come vedi, sconfiniamo nella filosofia e nella concezione personale della vita.

Infine, la medicina non ci offre sicurezza al 100%; la medicina si basa su un dato statistico; il cuore non si trova in un determinato posto, ma solitamente si trova in una determinata posizione; la mano solitamente ha 5 dita, gli occhi solitamente sono due, i reni solitamente sono due…
Il concetto stesso di normalità esprime una rilevanza statistica.
Nessun esame diagnostico è preciso al 100%. Come non esiste un software perfetto, ma solo un software che ha risposto in modo corretto a “n” input. Bisogna stare attenti a non trasformare le semplificazioni linguistiche e concettuali (dovute a un biologico “risparmio di energia”) in “verità”.
Inutile cercare nella scienza e nella tecnica certezze assolute: probabilmente non esistono.
6 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Assolutamente. La mia "semplificazione" non voleva porsi come base per ulteriori speculazioni a riguardo. Tuttavia, mi pare che la stessa sentenza si possa considerare come un esempio attuale del riconoscimento dell'importanza dell'aspetto procreativo del matrimonio. L'articolo in questione, invece, rigetta l'importanza di questo elemento all'interno dell'unione matrimoniale. Ed è questo che volevo/ho voluto contestare.
Condividi con me il fatto che tale sentenza ribadisce l'importanza della procreazione all'interno del matrimonio per un fine diverso dal produrre forza lavoro per la società?

La mia domanda sulla diagnosi pre-impianto non è malposta, bensi' ha ottenuto lo scopo per cui era stata scritta. La valutazione delle criticità di una malformazione, come tu stesso hai detto, prende in considerazione lo stato psico-fisico della donna. Credi che la valutazione dello stesso stato possa essere influenzata dal fatto che l'embrione sia stato già impiantato o meno? Cerco di spiegarmi meglio. Supponiamo che a un dato embrione sia possibile diagnosticare una data malformazione, grave ma che comporta un aggravio contenuto al rischio di salute dell'aspirante madre. Ora immaginiamo due scenari differenti: (a) la diagnosi è stata fatta prima dell'impianto o (b) la diagnosi è stata fatta dopo l'impianto in utero. Personalmente penso che, sia più probabile incontrare una madre che decide di continuare la gravidanza (scenario (b)) piuttosto che trovare un'aspirante madre disposta ad accettare l'impianto dell'embrione (scenario (a)). Questo, naturalmente, nella già esplicitata ipotesi di un contenuto aggravvio del rischio di salute della madre. E' a questo punto che sorge una forma di selezione eugenetica: date patologie risulterebbero più rare se la loro diagnosi viene fatta pre-impianto rispetto al caso di concepimento naturale. Sarebbe solo una forma blanda di selezione? Ciò non ne cambia la sostanza. Ritengo quindi non-illogico impedire la diagnosi pre-impianto in quanto l'essere in gravidanza è un fattore fondamentale nella valutazione clinica.
Inoltre le mie ultime due domande si riferiscono al potere predittivo di suddetti test diagnostici. Non è scientificamente possibile aspettarsi un potere predittivo del 100% in senso positivo e in senso negativo (nemmeno per test ripetuti) soprattutto compiendo tali test in uno stadio così "anticipato". Come possono influenzare il giudizio della donna e dei medici questi margini di errore? Non risulterebbe determinante la variabile "essere in gravidanza/decidere di iniziarne una nuova"? Io credo di sì... E siamo sicuri che, alla fine, quello che si è andato a tutelare è la salute della donna? O ci stiamo avvicinando a tutelare il desiderio di un figlio sano? (Non che non sia legittimo, ma tutelarlo per legge esporrebbe a dei rischi).

Concludo ringraziandoti, a margine, per la pacata e piacevole discussione.
6 aprile 2009 0:00 - Sergio

Ipsilon, ho espresso alcune precisazioni sula sentenza (e mi riferisco al testo e non a notizie di agenzia; se vuoi leggere le motivazioni della sentenza, trovi il testo a questo indirizzo http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88 022&idCat=75) perché da quanto tu scrivi sembrerebbe che la Cassazione abbia respinto la responsabilità della separazione a carico delal moglie solo perché "il marito non era in grado di procreare" (così tu scrivi).
La sentenza di cassazione è, meno male, un tantino più complessa e di questa complessità ho voluto dare informazione per evitare semplificazioni pericolose.

Riguardo alle diagnosi pre-impianto, ho precisato che è assurdo proibirle dal momento che a gravidanza in atto (quindi a trasferimento dell'ovulo fecondato avvenuto) nulla vieta alla donna di procedere con tutte le analisi che dovesse ritenere opportune e nel caso dovesse appurare che ci sono delle malformazioni (o semplicemente il rischio di malformazioni) avvalersi di quanto previsto dalla 184.

Riguardo alle tue ulteriori domande ("tutte le malformazioni del feto che possono essere pregiudizievoli della salute della madre sono diagnosticabili prima dell'impianto? Che ruolo ha lo svolgimento della gravidanza? Che sensibilità e che specificità hanno i predetti test pre-impianto?"), riguardo alla prima rispondo dicendoti che è mal posta.
Non esiste un elenco di malformazioni che sono pregiudizievoli per la salute della madre ma ciò che conta è lo stato fisico e\o psichico della donna, ovvero il suo atteggiamento, equilibrio, la sua disponibilità o possibilità o qualsiasi altro fattore soggettivo che determina nella donna uno stato di malessere, di disagio nell'affrontare una situazione alla quale non è o non si sente preparata. Ovviamente, questo stato di sofferenza è accertato nei modi previsti dalla legge.
Aggiungo, meno male che non c'è un elenco di malformazioni per le quali è consentito a priori l'aborto. In questa ipotesi si configurerebbe una vera e propria "selezione eugenetica" per dispositivo di legge.
Se una legge consentisse, per esempio, l'aborto in caso di sindrome di down e una donna decidesse di portare a termine la gravidanza, ci troveremmo di fronte a un cittadino di serie "B", cioè un cittadino che per disposizione di legge poteva essere soppresso. Nel nostro ordinamento non rileva invece la malformazione in sè ma lo stato pschico\fisico della donna.

Alle altre due domande, non rispondo perché non le ho comprese.
5 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Credo che la citazione della sentenza che hai fatto (o, meglio, della solita notizia di agenzia) vada nella mia stessa linea di pensiero: infatti viene precisamente affermato "aspettative di armonica vita sessuale nella sua proiezione verso la procreazione che costituisce una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità del matrimonio". L'articolo, invece, *banalizzava* ampiamente l'aspetto relativo alla procreazione (affermando che è necessario per fornire "forza lavoro"), ed è questo che contesto.
Riguardo la questione della diagnosi pre-impianto. Il rischio che ravvedo è sempre quello di una manipolazione della regolamentazione. Sono assolutamente d'accordo alla difesa del diritto alla salute di ogni persona (e, per lo stesso motivo, ritengo completamente insensato, come detto nei miei interventi, riferirsi all'esempio derivante dall'estero per legiferare). Mi piacerebbe capire una cosa: tutte le malformazioni del feto che possono essere pregiudizievoli della salute della madre sono diagnosticabili prima dell'impianto? Che ruolo ha lo svolgimento della gravidanza? Che sensibilità e che specificità hanno i predetti test pre-impianto?
4 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, con le sentenze bisogna andarci cauti e soprattutto prima di citarle bisogna leggerle.

La recente sentenza 6697 di Cassazione ha accolto il ricorso della donna, evidenziando che la donna "ha denunciato l'omessa informazione da parte del marito, prima delle nozze" dell'incapacità ad avere figli. Un'omissione che per i giudici costituisce "violazione dell'obbligo di lealtà" che provoca "una lesione del diritto della donna all'autonoma determinazione al matrimonio e alle aspettative di armonica vita sessuale nella sua proiezione verso la procreazione che costituisce una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità del matrimonio".
Perciò la Cassazione ha rinviato la causa alla Corte d'Appello fiorentina con il compito di "accertare se è stato leso il diritto della moglie di realizzarsi pienamente nella famiglia e nella società come donna e come madre, e quindi procedere ad una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi" prima di stabilire di chi è la colpa della separazione.

Non trovo nulla di sconcertante o di innovativo in questa sentenza che riconferma che al dovere di fedeltà si affianca il dovere di lealtà.
Che la procreazione sia un aspetto fondante del contratto matrimoniale è una cosa ovvia sia nel rito civile sia in quello religioso come testimonia l'art. 147 cc, insieme ad altri articoli, letto durante la cerimonia: "Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli".
I coniugi si impegnano a rispettare gli articoli che regolano il matrimonio.

La diagnosi delle malattie embrionali non è appannaggio della procreazione medicalmente assistita.
Nulla vieta ai coniugi di procedere a tutti gli esami diagnostici che dovessero ritenere opportuni nel corso della gravidanza o prima per accertare eventuali rischi; al contrario, la legge 40 vieta gli esami pre-impianto.
E ciò viola il diritto alla salute della donna dal momento che la nostra legislazione prevede la possibilità di ricorrere all'interuzione volontaria di gravidanza nel caso una eventuale malformazione del feto dovesse pregiudicare la salute fisica e\o psichica della madre.
Che senso ha procedere per imperio di legge al'impianto di un ovulo fecondato con malformazioni se poi a quella madre può essere concesso di abortire?
Non è più logico fermarsi alla prima fase dello sviluppo embrionale piuttosto che interrompere una gravidanza magari al sesto mese?

Attenzione poi a non cadere in un equivoco: la legge non prevede la possibilità di abortire perché il feto è malformato ma perché questa malformazione è, per valutazione medica su richiesta della persona interessata, considerata pregiudizievole per la salute della madre.
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Un'operazione di appendicite ha un risvolto sociale? E un'operazione al fegato? E la nascita di un figlio? La morte assistita di una persona? Ecco perché le ultime due NECESSITANO di una legislazione mentre le prime due no... Il motivo è molto semplice, e non può essere ignorato. Se poi alcuni vogliono avvantaggiarsi di legislazioni differenti in paesi differenti, che si spostino in tali paesi. Io, come italiano, posso solo contribuire al dibattito in Italia non in Svizzera, Thailandia o le isole Cayman.
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Vorrei anche sottolineare come, recentemente, la cassazione ha ribadito l'elemento procreativo come elemento fondamentale di un matrimonio, rigettando l'attribuzione di responsabilità del divorzio alla moglie infedele in quanto il marito non era in grado di procreare. Come vedete la procreazione per la famiglia non è solo questione di produrre braccia... Che tristezza comparare la procreazione alla "coltivazione" di prodotti utili come futura forza lavoro... Dove è lo spessore di questo articolo (se tale si può chiamare)? Mi pare solo un'inneggiare al "io faccio quel che voglio se non danneggio gli altri!!". Siamo sicuri che sia la cosa migliore?
3 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Quale coppia che non ricorre alla fecondazione artificiale vorrebbe il proprio figlio malato? Perché la diagnosi delle malattie embrionali deve essere appannaggio della fecondazione artificiale?
Inoltre che senso ha riferirsi alle legislazioni estere? Negli USA è permessa la brevettabilità del software (con distorsioni enormi del mercato): solo perché è possibile negli USA dovremmo permettere la brevettabilità del software anche in Italia? Perché allora, sempre sull'esempio statunitense, non aboliamo il servizio sanitario pubblico e anche l'istruzione universitaria pubblica? Cerchiamo di essere seri e cerchiamo di fare un percorso di regolamentazione che abbia come riferimento un insieme di valori (anche etici, perché no? la dignita della persona si può ascrivere a questa categoria) e non l'esempio dell'estero.
2 aprile 2009 0:00 - Avosso Raffaella
come al solito il governo sostiene di poter legiferare anche su questioni delicate, come possono essere quelle con le quali anche un esperto in materia (un medico appunto!!!) trova difficoltà. perchè ogni persona è unica sul piano personale e sanitario e, fin quando l'esercizio della propria libertà non arreca danno ad altri, allora ciascuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di decidere per sè stesso, per la propria vita, la propria morte, la propria maternità e paternità. metter vincoli inutili è un'offfesa alla professionalità del medico, una umiliazione alle opportunità di chi è già stato meno fotunato... un'attacco alla stabilità psicologica dell'italiano medio, al quale viene spesso chiesto di "pensare positivo". Ma come si fa, quando si ha un governo che si intrufola nella tua vita e ti lascia sempre meno libero di fare, di pensare, di informarsi correttamente..??
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