Il 24 dicembre 2010 e' scaduto il termine entro il quale l'Italia e gli altri Paesi europei avrebbero dovuto recepire la direttiva rimpatri (n. 2008/115/CE riguardante le norme e le procedure comuni applicabili negli Stati membri per il rimpatrio di extracomunitari in caso di soggiorno irregolare) e il nostro Paese non ha provveduto al recepimento. La direttiva rimpatri e' stata da molti rinominata direttiva della vergogna, e invero tanti sono gli elementi che fanno discutere, primo fra tutti la possibilita' di detenzione amministrativa per i migranti irregolari fino a 18 mesi, seguito dalla possibilità di espulsione e trattenimento dei minori non accompagnati, così come delle famiglie con minori in violazione delle convenzioni internazionali. Tuttavia se paragonata alle norme del testo unico, diversi sono gli aspetti migliorativi, soprattutto nell'ottica della gradualita' dell'intervento dell'amministrazione nei procedimenti di espulsione. La direttiva disciplina infatti le modalita' e i tempi di rimpatrio degli stranieri clandestini imponendo una serie di azioni amministrative graduali, privilegiando la partenza volontaria dello straniero irregolare e concependo il trattenimento come extrema ratio.
Le difformita' fra norme comunitaria e legge italiana sono molte, ci limitiamo qui ad evidenziare le piu' rilevanti:
- la legge italiana prevede l’
accompagnamento coattivo alla frontiera come modalità ordinaria di espulsione mentre la direttiva dispone che la modalita' ordinaria sia il rimpatrio volontario entro un termine compreso tra sette e trenta giorni;
- in caso di impossibilità di eseguire l’accompagnamento coattivo, la legge italiana prevede che sia disposto il
trattenimento, mentre la direttiva impone che prima siano adottate misure coercitive meno lesive della libertà personale;
- per l'Italia il trattenimento nei CIE è consentito
in presenza di difficolta' di esecuzione dell’accompagnamento coattivo; per l'Unione Europea eventuali difficolta' possono essere presupposto per la sola proroga del trattenimento;
- infine
“il T.U nel prevedere che in caso di impossibilità del trattenimento sia notificato un ordine di allontanamento entro cinque giorni, la cui inottemperanza determina l’applicazione della sanzione penale della reclusione prevista dalle norme incriminatrici di cui agli art. 14/5 ter e quater, elude le garanzie alla libertà personale dello straniero stabilite dalla direttiva. Emerge infatti la radicale diversità di un sistema, quello vigente nell’ordinamento italiano, in cui si commina la pena detentiva della reclusione (fino a cinque anni) in conseguenza di una condotta - la mancata partenza volontaria nonostante la notifica di un ordine di allontanamento – che, secondo la direttiva può giustificare al più, e solo come estrema ratio, la detenzione amministrativa attraverso la misura del trattenimento per un periodo non superiore a diciotto mesi” (Procura della Repubblica di Firenze, provvedimento di liberazione del 16 gennaio 2011).
Il mancato recepimento non e' una svista. Dubitiamo che il Governo e il Parlamento si siano “dimenticati” di provvedere ma hanno piuttosto cercato “il cavillo” cui attaccarsi per eludere gli obblighi comunitari. Secondo quanto prevede l'art. 2 della direttiva, gli Stati possono decidere di non applicarla nei confronti dei cittadini di Paesi terzi
“sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale”. Ed ecco allora che l'Italia con il pacchetto sicurezza del 2009 introduce il reato di immigrazione clandestina. Se tutti i clandestini commettono reato e la direttiva si puo' non applicare a chi commette reato, il gioco sembrerebbe fatto!
Ovviamente cosi' non e', e si esclude che l'art. 2 della norma comunitaria si riferisca al reato di immigrazione clandestina quale presupposto per consentire la disapplicazione della direttiva stessa;
non e' questa un'interpretazione possibile della direttiva, che in questo modo negherebbe –essa stessa– tutto il suo impianto, diventando inutile.
Un cavillo, dunque, che non ha retto. Il mancato recepimento delle norme da parte dell'Italia ci fa precipitare in una situazione paradossale: le norme italiane illegittime sono tecnicamente ancora in vigore, ma i giudici –che sono tenuti ad applicare il diritto comunitario– quando si troveranno a dover decidere su espulsioni e arresti di stranieri clandestini extracomunitari per motivi inerenti alla irregolarita' del soggiorno, disapplicheranno il diritto nazionale e applicheranno quello comunitario.
E difatti iniziano gia' a comparire le prime pronunce giudiziali, che disapplicano le norme italiane in favore di quelle comunitarie.
Il Tribunale di Torino assolve uno straniero imputato per essersi trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in ‘violazione’ dell'ordine del questore, ed essendo inottemperante a un precedente ordine di allontanamento. L'assoluzione e' motivata sul presupposto della prevalenza delle norme comunitarie sul diritto nazionale: l'applicazione delle norme penali in materia di clandestinita' viola le garanzie imposte dalla direttiva a tutela della libertà personale. In conclusione non si puo' punire con una norma penale e con la detenzione la clandestinita', poiche' la direttiva comunitaria prevede una sanzione qualitativamente diversa (amministrativa e non penale) e temporalmente meno estesa di quella prevista dalla legge italiana.
La Procura della Repubblica di Firenze con un provvedimento del 16 gennaio 2011 ordina la rimessione in liberta' di uno straniero clandestino arrestato per non aver ottemperato all'ordine del Questore di lasciare il territorio: “L’effetto diretto prodotto dalla direttiva inattuata deve comportare conseguentemente la non applicazione della norma incriminatrice che comprime la libertà personale dello straniero in modo palesemente contrastante con gli obblighi inattuati posti a carico dello stato dal diritto comunitario”. Ancora,
la Procura della Repubblica di Pinerolo (13 gennaio 2011) ha chiesto al Gip l'archiviazione di un procedimento in caso simile perche' le norme italiane essendo incompatibili con quelle comunitarie devono essere disapplicate.
Il clamoroso vuoto normativo viene colmato dalle indicazioni fornite dagli operatori del settore. Primo fra tutti il
Ministero dell'Interno, che con una circolare del 17 dicembre 2010 (Dipartimento della Pubblica Sicurezza) prova a fare il punto della situazione, suggerendo alle forze dell'ordine di operare nel rispetto della Direttiva –per neutralizzare gli effetti delle scontate impugnazioni giudiziali (sigh!)-
e dunque di:
- motivare i provvedimenti di rimpatrio in maniera articolata, facendo emergere la conformita’ dell’azione di rimpatrio rispetto ai contenuti della normativa comunitaria;
- prima del rimpatrio, valutare attentamente la posizione di ogni straniero che soggiorna illegalmente sul territorio nazionale, verificando se sussistono le condizioni affinche’ allo stesso sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno umanitario o ad altro titolo;
- qualora sia esclusa tale possibilita’, si dovra’ accertare se sussistano motivi che impediscono di concedere allo straniero un termine per la partenza volontaria, presentazione di domanda di soggiorno respinta perche' manifestamente infondata o fraudolenta; pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale; rischio di fuga;
- in caso di trattenimento, dal provvedimento stesso deve emergere l'impossibilita' di applicare altre misure meno coercitive, proprio a causa della particolare situazione che caratterizza la posizione dello straniero;
- la durata del divieto di ingresso deve essere sempre motivata, tenuto conto di tutte le circostanze pertinenti ciascun caso.
A queste indicazioni fa eco una
circolare della Procura della Repubblica di Firenze, inviata dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi, che ha dato ordine di bloccare gli arresti di clandestini, eccetto singole situazioni da valutarsi caso per caso, uniformando cosi' l'azione delle forze dell'ordine e della Procura della Repubblica alla normativa comunitaria e tentando, nel suo piccolo, di colmare e gestire la grave inadempienza del Governo italiano. Stesso ordine e' stato impartito il 26 gennaio 2011 dalla
Procura della Repubblica di Brescia.
Il quadro che ne emerge e' estremamente caotico e grave. La condizione giuridica dello straniero e i provvedimenti restrittivi della liberta' personale, secondo la Costituzione italiana (artt. 10 e 13) devono essere disciplinate dalla legge, e non da circolari varie e dai piu' diversi provvedimenti che i giudici italiani si troveranno ad emettere. Il rischio, piu' che attuale, e' quello di una elevata discrezionalita' amministrativa (soprattutto nell'interpretare la “gradualita' crescente delle misure prese nei confronti dello straniero”) e quindi di una difformita' di trattamento e diverse interpretazioni sul territorio nazionale.
Urge una modifica normativa che uniformi la disciplina italiana delle espulsioni alla direttiva rimpatri, ma Governo e Parlamento restano immobili, mentre le istituzioni comunitarie si stanno gia' attivando: e' di oggi 27 gennaio la notizia della pubblicazione di un rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa con cui si chiede ai governi degli Stati membri di rispettare l'ordine della Corte europea dei diritti dell'uomo di sospendere un'espulsione o l'estradizione di cittadini di Paesi terzi se cio' li mettesse a rischio di essere torturati o sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. L'inerzia del Governo potrebbe costare molto cara alle tasche degli italiani: l'Italia potrebbe a breve subire una procedura di infrazione, per non aver ottemperato all'obbligo di recepimento della direttiva, con costi elevatissimi in caso di condanna: la sanzione minima per l'Italia è di euro 9.920.000, cui aggiungere una somma che oscilla tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo.
Nelle more di una modifica normativa i giudici italiani probabilmente solleveranno una questione di legittimita' alla Corte Costituzionale e un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. Agli stranieri non resta che rivolgersi ai giudici italiani e alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.