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Dinieghi di visto di ingresso: le ambasciate italiane non possono agire arbitrariamente. Recente sentenza del Tar Lazio
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Articolo di Emmanuela Bertucci
16 aprile 2007 0:00
 
Diverse volte ci siamo occupati delle prassi illegittime delle rappresentanze diplomatiche italiane in giro per il mondo, dalle quali ottenere un visto di ingresso per motivi di turismo e' difficilissimo, quando non impossibile.
La normativa italiana consente alle ambasciate di chiedere all'istante documentazione integrativa, ulteriore rispetto a quella prevista dalla legge, a supporto della propria domanda di rilascio del visto nei casi in cui vi siano "particolari situazioni locali" che rendano necessaria tale integrazione; prevede inoltre che se non sussistono i requisiti per il rilascio del visto, le ambasciate, in deroga alle normali norme sul procedimento amministrativo, possano emettere un provvedimento di diniego non motivato. Tale deroga all'obbligo generale di motivare i provvedimenti amministrativi e' pero' possibile solo qualora vi siano particolari motivi di sicurezza o di ordine pubblico.
Le ambasciate hanno interpretato a loro modo la legislazione, rendendo questo "settore" della pubblica amministrazione "terra di nessuno", un far west dove fare il bello ed il cattivo tempo, complice la difficolta' di contrastare i dinieghi, che devono essere impugnati avanti al Tar Lazio, un tribunale lontano a volte migliaia e migliaia di chilometri dal luogo in cui si vive, cui puo' ricorrere solo chi ha la fortuna di avere in Italia un parente, un amico o un fidanzato che puo' aiutarlo a trovare un avvocato e presentare il ricorso. Queste violazioni della normativa ci sono state segnalate da molti utenti e formano un elenco lungo e scandaloso:

- requisiti integrativi illegittimi, come presentare il proprio contratto di lavoro nel Paese di provenienza, le buste paga, i propri redditi, in modo da dar la certezza all'ambasciata che si ha un radicamento sociale forte nel proprio Paese, e che non si utilizzera' il visto di ingresso turistico per eludere le norme sull'ingresso per motivi di lavoro;
- molto spesso i richiedenti vengono "liquidati" oralmente sulla porta d'ingresso dell'ambasciata con un laconico: "Il visto non te lo hanno rilasciato";
- i dinieghi, quando sono scritti, quasi mai vengono motivati.

A fronte di queste prassi illegittime, quei pochi dinieghi che vengono impugnati davanti al giudice trovano qualche soddisfazione. Come nel caso della recente sentenza del Tar Lazio (n. 1886/07) che il 15 febbraio scorso ha condannato il Consolato Generale d'Italia a Lagos e il Ministero degli Affari Esteri, annullando un diniego di visto turistico non motivato. Il Tribunale ha ribadito e puntualizzato la normativa in modo forte e deciso, ricordando che sebbene esista la possibilità' per le ambasciate di non motivare il diniego, cio' non vuol dire che tale norma "abbia legittimato l'Amministrazione ad agire arbitrariamente", e pertanto quest'ultima non ha "la potesta' di negare il visto anche nel caso in cui non vi sia alcuna legittima ragione per farlo".
Il visto di ingresso va negato, quindi, solo qualora manchino i requisiti di legge per l'ottenimento (che, ricordiamo sono la prova dei mezzi di sussistenza, le finalita' del viaggio, la prova della disponibilita' dell'alloggio), ed ogni ulteriore richiesta documentale deve essere finalizzata alla verifica di tale sussistenza, non gia' a trarre ulteriori conclusioni su cosa accadra' dopo il rilascio: non si puo' fare una prognosi di colpevolezza dando per scontato che una volta in Italia, il turista si "dara' alla macchia". Cosi' facendo, le ambasciate si attribuiscono illegittimamente, poiche' in contrasto con la separazione dei poteri dello Stato, compiti di contrasto dell'immigrazione clandestina che la legge non riconosce loro. Si puo' discutere sull'emergenza clandestinita' e sui modi per contrastarla, ma le soluzioni al problema devono essere legislative, devono venire dal Parlamento e non si puo' consentire che le Ambasciate svolgano il ruolo dello sceriffo.
Continua, infine, la sentenza, precisando che seppur la pubblica amministrazione possa emettere un diniego non motivato, cio' non puo' chiaramente essere opposto al giudice davanti al quale il diniego viene impugnato, e "l'amministrazione non puo' esimersi dal fornire a quest'ultimo spiegazioni in merito alle ragioni che hanno condotto all'adozione del provvedimento"; se tali spiegazioni non vengono fornite, "deve desumersi che delle due l'una: o esse non esistono o non sono legittime".
Riteniamo dunque molto importante questa sentenza, che' e' peraltro l'unico tribunale competente in Italia a decidere sui dinieghi di visto per motivi di turismo, ma dobbiamo rilevare come il Tar Lazio non abbia, nonostante se ne sia presentata l'opportunita', approfondito un altro tema da grande rilievo, anch'esso "sfuggito" all'interpretazione che le ambasciate danno della normativa vigente: il fatto cioe' che la legge consente alle ambasciate di emettere dinieghi non motivati solo qualora vi siano motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale e non, come accade, sempre e comunque.
Un ultimo rilievo. Afferma correttamente il Tar: l'ambasciata puo' non comunicare i motivi del diniego all'utente, ma dovra' farlo davanti al giudice. In questo modo, solo chi ha la possibilità' economica e geografica di rivolgersi al Tar del Lazio avra' la possibilità' di conoscere i motivi del diniego. E tutti gli altri?
 
 
 
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