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 ITALIA - ITALIA - Cie. Medici diritti umani: violati diritti umani e aumenta consumo psicofarmaci
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13 maggio 2013 18:27
 
Nei Cie viene violato il diritto alla salute delle persone recluse. E' una delle evidenze piu' gravi riscontrate da un team di Medici per i Diritti Umani che nel 2012 e nel 2013 hanno ispezionato tutti i centri di identificazione e di espulsione in funzione in Italia (vedi lanci precedenti). Questo accade a causa della chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione al mondo esterno e del prolungamento della detenzione a un anno e mezzo in strutture inizialmente costruite per un trattenimento di soli 30 giorni. In tutti i centri il personale sanitario e' contrattato e gestito direttamente dagli enti gestori. "Accade cosi' che i Cie si trovino in un'anomala condizione di extraterritorialita' sanitaria del tutto svincolata dalle aziende sanitarie locali e quindi dal servizio sanitario pubblico, al cui personale e' perfino interdetto l'accesso", denuncia l'Ong nel primo rapporto indipendente sul tema, dal titolo "Arcipelago Cie". Innanzitutto non c'e' un controllo sul livello dei servizi sanitari che possono essere erogati solo dalle cooperative che gestiscono i centri e che quindi dipende "eccessivamente dalla discrezionalita' e dall'efficienza dei singoli enti gestori". I problemi riscontrati in tutti i Cie sono: difficolta' di accesso alle cure e alle prestazioni diagnostiche presso le strutture ospedaliere; impossibilita' di accesso ai centri del personale delle Asl; carente comunicazione tra i singoli Ciee tra i Cie e le carceri nei casi di trasferimento di trattenuti malati; carenza di personale medico specialistico (ad esempio psichiatrico e ginecologico) che sarebbe particolarmente necessario dato il contesto dei centri, reciproca sfiducia tra i trattenuti ed il personale sanitario con conseguente compromissione del rapporto medico-paziente; notevole discrezionalita' tra i veri centri nella valutazione dell'idoneita' sanitaria al trattenimento. Quando un migrante soffre di una patologia grave, le cure arrivano in ritardo a causa di "un ostacolo logistico rilevante e oggettivo", cioe' della necessita' di organizzare una scorta di forze di polizia ogni volta che un trattenuto deve essere trasferito presso una struttura sanitaria esterna al Cie. Spesso queste scorte non sono disponibili per carenza di personale fra gli agenti.Un altro aspetto molto grave che secondo Medu compromette il diritto alla salute "e' il venir meno del rapporto di fiducia tra medico e paziente". Se da un lato i pazienti lamentano scarsa attenzione nei confronti dei loro problemi di salute da parte del personale sanitario, dall'altro i medici nutrono il sospetto di trovarsi di fronte a sintomi simulati da "finti pazienti" il cui unico scopo sarebbe il trasferimento presso strutture esterne al Cie da dove poi tentare la fuga. Questa dinamica provoca ritardi nella diagnosi tempestiva di malattie potenzialmente gravi. L'indagine riporta "casi sconcertanti" di migranti che continuavano a rimanere trattenuti nonostante le loro condizioni cliniche fossero chiaramente incompatibili con la permanenza nel CieE. Nei Cie si riscontra un profondo disagio psichico, che puo' diventare devastante soprattutto nel caso di trattenimenti prolungati, e l'autolesionismo come gesto estremo di protesta contro un trattenimento ritenuto ingiusto oppure attuato nella speranza di uscire in qualche modo dal Cie. In tutti i centri e' stato verificato un diffuso utilizzo di psicofarmaci, in particolare ansiolitici, che si attesterebbe nella maggior parte dei casi intorno al 40-50 per cento del totale dei trattenuti, con la punta massima presso il Cie di Milano (90 per cento) e il livello piu' basso a Caltanisetta (10 per cento). Secondo quanto riferito dai sanitari gli ex-detenuti che gia' facevano abuso di psicofarmaci prima dell'ingresso nei Cie, sono la categoria che fa maggior richiesta, oltre che delle piu' comuni benzodiazepine, di farmaci come il clonazepam e il biperidene. Sostanze, conosciute comunemente come "droghe di strada". "In caso di abuso - scrivono i Medu - entrambi i farmaci possono tra l'altro indurre un effetto che provoca ansieta', euforia, stati di eccitazione e disturbi del comportamento". Oltre a coloro che gia' facevano abuso di psicofarmaci in precedenza vi e' poi un gruppo di trattenuti che fa richiesta di ansiolitici per placare il profondo malessere provocato dall'internamento nel Cie. "Nel complesso destano preoccupazione le modalita' di gestione degli psicofarmaci all'interno dei centri - afferma il rapporto - in considerazione sia dell'alto numero e della complessita' dei casi sia del fatto che nessun ente gestore dispone di personale medico specialistico". A fronte di un quadro di questo tipo, destano grandi perplessita' le affermazioni degli operatori di alcuni enti gestori. A Milano, ad esempio, il personale sanitario intervistato ha asserito che in tredici anni non e' mai stata verificata all'interno del centro, la presenza di vittime di violenza, tortura o tratta. Le cause del disagio psichico sono l'inattivita' forzosa per prolungati periodo di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento. Per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, le disposizioni di molte Prefetture tendono ad inasprire le norme che regolano la vita all'interno dei Cie "contribuendo a rendere ancor piu' afflittive e degradanti le condizioni di trattenimento dei migranti". A Ponte Galeria, ad esempio, ai trattenuti non e' consentito disporre di pettini, penne, libri o giornali. Nello stesso centro a novembre 2011 scoppio' una protesta poiche' i trattenuti erano stati obbligati da una direttiva, poi ritirata, ad indossare esclusivamente ciabatte per evitare il pericolo di fughe. Nei centri di Gradisca d'Isonzo e Milano non e' consentito invece il possesso di telefoni cellulari. Anche la possibilita' di colloquio con persone provenienti dall'esterno non risulta essere garantita in modo adeguato ed e' eccessivamente affidata, nei modi e nei tempi, a criteri discrezionali delle singole Prefetture. In un quadro cosi' desolante, c'e' il caso delle donne cinesi trattenute al Cie di Ponte Galeria che rispondono al vuoto di attivita' del centro producendo borse con i pochi materiali che hanno a disposizione: lenzuola monouso, forchette di plastica e indumenti intimi. Un altro problema e' la promiscuita'. Gli ex detenuti rappresentano circa il 50 per cento del totale dei migranti trattenuti nell'intero sistema dei Cie italiani, con picchi del 90 per cento a Milano e Lamezia Terme. L'orientamento di molte Questure sembra essere proprio quello di dare priorita' alle richieste di trattenimento per i soggetti provenienti dal carcere o comunque con precedenti penali. Oltre ad un cospicuo numero di migranti provenienti dal carcere, l'indagine ha rilevato la presenza delle seguenti tipologie di persone: migranti appena giunti in Italia; richiedenti asilo; cittadini comunitari; stranieri presenti da molti anni in Italia, spesso con famiglia, ma senza un contratto di lavoro regolare; immigrati con il permesso di soggiorno scaduto. Per quanto riguarda le principali nazionalita' - dagli ultimi dati nazionali disponibili, relativi all'anno 2011 - risultava preponderante la presenza di migranti tunisini, per la quasi totalita' uomini, che rappresentavano il 49 per cento del totale dei trattenuti. Tra gli uomini le altre nazionalita' piu' frequentemente dichiarate erano nell'ordine la marocchina, la rumena e l'albanese. Per quanto concerne i paesi di provenienza delle donne, figurava al primo posto la Nigeria seguita dalla Cina, dall'Ucraina e dalla Romania. Un dato che sconcerta e' la presenza di un elevato numero di cittadini dell'Unione europea all'interno dei Cie. Nel 2011, infatti, sono transitati ben 494 migranti di origine rumena, terza nazionalita' in assoluto per numero di presenze. Nel solo Cie di Ponte Galeria a Roma sono stati trattenuti nel triennio 2010-2012 oltre mille rumeni.
 
 
 
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