COMMENTI
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15 maggio 2009 0:00 - Harakiri

Ipsilon, ho sviluppato un ragionamento partendo dalla premessa di accettare come corrette alcune posizioni che ho riportato nel mio ragionamento.
Non sono io che faccio un uso distorto del termine eugenetica ma coloro che affermano quelle cose che critico.

Quando affermi che “non procedere con l'impianto in base a caratteristiche diagnosticate anzitempo è selezione eugenetica” fai un uso estensivo del termine eugenetica, se assumiamo come corretta la premessa che l’eugenetica è l’intervento di selezione o modifica delle linee germinali.
In realtà, non far nascere, per volontà individuale, una persona con una malattia non è un caso di selezione eugenetica ma si attua uno spostamento dell’attenzione da un soggetto a un altro. Ovvero, si passa dalla tutela dell’embrione alla tutela della salute del soggetto in cui l’embrione dovrebbe essere impiantato. Ciò ti potrà pure fare sorridere ma trovo disarmante la tua incapacità di cogliere il senso di un ragionamento, di non considerare i principi giuridici che regolano i rapporti tra i due soggetti coinvolti, di non considerare che è contrario a tutta la normativa vigente prevedere un livello di tutela nella fase pre-impianto superiore a quella data all’embrione impiantato. Poichè non esiste l’obbligo giuridico di portare a termine la gravidanza, non può essere previsto l’obbligo giuridico di iniziare la gravidanza. Nel processo naturale di fecondazione l’ambito di esercizio della volontà della donna inizia con la diagnosi di gravidanza; per analogia, nel caso della fecondazione artificiale l’ambito di esercizio della volontà deve essere anticipato al momento dell’impianto, valutando l’eventuale sussistenza dei fattori che si considerano a gravidanza iniziata, anche perchè tra il momento del consenso al trattamento di fecondazione assistita e l’impianto passa del tempo e le situazioni soggettive e oggettive possono mutare.
Questi sono i principi giuridici presenti nel nostro ordinamento.
Si può discutere e modificare la legislazione ma non si può ignorare e non si può con una legge ordinaria modificare la costituzione o intervenire su una materia così delicata, provocando situazioni di conflitto perchè le nuove norme non si coordinano con quelle pre-esistenti.

Le leggi che imponevano la sterilizzazione di determinati soggetti sono state definite eugenetiche non perchè modificavano le linee germinali di quei soggetti ma perchè impedivano la trasmissione di caratteri ritenuti negativi, violando l’integrità e la dignità della persona, cioè diritti universali riconosciuti a ogni persona; ma se eugenetica è favorire artificialmente il miglioramento della specie intervenendo sulle linee germinali, impedire che un carattere si possa diffondere non è propriamente eugenetica, tranne l’ipotesi di accettare l’uso del termine eugenetica secondo la logica dell’eugenetica positiva e negativa che ho descritto.
L’eugenetica si può infatti perseguire sia favorendo la diffusione dei caratteri positivi, sia impedendo la diffusione di quelli negativi limitando la trasmissione alle generazioni successive di malattie genetiche, riducendone così la frequenza nella popolazione.
In questa logica possono allora rientrare i divieti di matrimonio tra parenti stretti (intervento naturale eugenetico), gli esami pre-matrimoniali, le diagnosi pre-natali e pre-impianto, i metodi contraccettivi, il cosiddetto aborto terapeutico.
A questo punto va considerato che se la decisione assunta individualmente è finalizzata alla tutela della salute del soggetto inevitabilmente coinvolto nel processo procreativo, e non al miglioramento della specie, non si può più parlare di eugenetica ma di rispetto dei diritti dell’individuo; cosa che invece non avviene quando per legge si decide di sterilizzare tutti i soggetti “inadatti”. La finalità della legge che impone la sterilizzazione è di tipo eugenetico, la facoltà riconosciuta al singolo individuo non ha nulla a che vedere con l’eugenetica ma riguarda la sfera dei diritti civili, lasciando a ciascuno la decisione di avvalersi o no di una facoltà. Questo è il senso dell’affermazione contenuta nella carta di Nizza, come è facilmente desumibile dal dibattito che precedette l’approvazione.
Riduttivo affermare che con eugenetica si intenda oggi soltanto l’intervento sulle linee germinali, mentre da più parti si tende a estendere il termine eugenetica sino ad attribuire a questo termine significati del tutto estranei.
Ma sei d’accordo che un intervento strettamente terapeutico che si ponga come obiettivo la guarigione di diverse malattie, come quelle che riguardano le deficienze cromosomiche, possa essere considerato, in linea di principio, auspicabile, purchè tenda alla vera promozione del benessere personale dell'uomo, senza intaccare la sua integrità o deteriorare le sue condizioni di vita?

L’impatto psicologico tra il prima dell’impianto e il dopo impianto è variabile da soggetto a soggetto; può non esserci alcuna differenza poichè la donna reagisce a un’informazione e non c’è grande differenza tra il sapere che sta per essere impiantato un embrione con un problema di salute o sapere che l’embrione che si sta sviluppando in grembo ha un problema di salute. Se la differenza c’è, è soggettiva e non può essere il pre-requisito giuridico per prendere una decisione poichè si tratta, in relazione a un quadro complessivo soggettivo, di una reazione individuale a un evento pronosticato; evento che può determinare uno stato di malessere psichico e personale indipendentemente dallo stato fisico della donna. Anche questo è un aspetto che può essere discusso ma senza ignorare il quadro giuridico in cui ci muoviamo e il dato culturale complessivo (per esempio il concetto di salute che non può essere circoscritto alla dimensione fisica).

L’uso dell’avverbio “oltremodo” non modifica il senso della tua frase.
Se una donna in gravidanza, che dovrebbe stare a riposo, va invece sulle montagne russe e abortisce, sicuramente ha un comportamento che possiamo criticare anche aspramente ma non vorrei assolutamente che ciò possa essere punito per legge.
Gli effetti di un’impostazione giuridica simile sarebbero devastanti.
Come si stabiliscono i comportamenti oltremodo pericolosi: tantissime situazioni sono soggettive; ciò che può essere oltremodo pericoloso in una situazione può essere senza alcuna conseguenza in altre situazioni.
Il fumo in gravidanza sappiamo tutti che è dannoso. Se il bambino nasce e presenta nello sviluppo problemi respiratori che secondo i medici potrebbero essere ricondotti al comportamento della madre durante la gravidanza, cosa facciamo indaghiamo la madre per lesioni colpose? Affrontiamo pure il tema dell’ampliamento delle tutele valutando le strade percorribili ma se ti esprimi come ti sei espresso sembra che per te tutto si riduca a prevedere estensioni o nuove figure di reato senza interrogarti minimamente sulle conseguenze.

Cosa significa sindacare sulle motivazioni che hanno portato all’aborto e come si dovrebbe sviluppare questa azione di sindacato?
Quando parli di indagare e perseguire indichi un preciso percorso giudiziario. Dovremmo allora cominciare a prevedere che ogni aborto spontaneo sia comunicato all’autorità giudiziaria, che delega l’autorità sanitaria, investita di poteri di polizia giudiziaria, ad accertare le cause dell’aborto. Ma non basta; per consentire che ci possa essere una valutazione del comportamento dell’aspirante madre bisogna che ogni gravidanza sia notificata all’autorità, come per esempio si notifica preventivamente all’Asl l’inizio dei lavori in conseguenza di una DIA per la ristrutturazione di una casa. Lascio a te il compito di sviluppare questo percorso oppure indicane uno diverso; in caso contrario su questo tema fai aria fritta.
L’esempio che fai (sparare al vicino) prefigura infatti l’introduzione di nuove figure di reato o l’inclusione del nascituro tra i soggetti tutelati dalle norme che puniscono i reati contro la persona; cosa che possiamo fare ma bisogna partire da presupposti giuridici (per esempio la pari tutela tra nato e nascituro) che sono assenti nel nostro ordinamento.
Da come ti esprimi non si capisce nulla di cosa tu intenda e di come immagini che si possa ampliare la tutela dell’embrione mentre l’esempio che fai conduce direttamente al paragonare il comportamento pericoloso dannoso per il feto al reato compiuto da una persona contro un’altra persona.
Trovo francamente incomprensibile che tu ti lagni di essere scambiato per un “estremista” e poi affermi le stesse cose che sostengono coloro che affermano che la “capacità giuridica” deve essere anticipata al momento del concepimento.
In effetti, la domanda “che differenza c’è” suona come retorica se si considera quanto da te affermato prima di porre la domanda.
Alla domanda retorica l’unica risposta in linea col tuo ragionamento è nessuna differenza.
Se invece la domanda non è retorica, allora tutta la tua frase non ha senso perchè la differenza è proprio nella diversa tutela giuridica che hanno i due soggetti; perchè non ci sia differenza bisogna che abbiano la stessa tutela, cosa impossibile perchè siamo di fronte a diritti concorrenti.
O accettiamo che c’è una differenza o neghiamo che ci sia differenza.
Se tu ritieni che c’è differenza e che i due soggetti non hanno la stessa tutela allora perchè chiedi che differenza c’è? Non si tratta di differenze individuabili come nel giochetto della settimana enigmistica ma di differenze che devono trovare un quadro giuridico di riferimento.

Con molta franchezza, penso che anche l’altra tua frase “Non sono estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato ecc.” solo con un doppio salto mortale può essere interpretata come tu pretendi. Anch’io l’ho interpretata come “Non sono estremista quando difendo”.
Il dizionario usalo e un pizzico di umiltà non guasterebbe.

Per finire, sempre con molta franchezza, se avessi detto a me che è disonesto disinteressarsi delle motivazioni ufficiali della chiesa ecc. ti avrei inviato un vaffanculo formato famiglia. Ti è stato spiegato perchè è stata ricordata quella dottrina, ti è stato spiegato che non ritiene interessante quella dottrina dal momento che non considera l’uso della contraccezione artificiale incompatibile con la dignità dell’individuo, e allora cosa vai cercando?
Se il presupposto etico di quella dottrina non è pertinente con la discussione, non è condiviso e non è ritenuto interessante perchè approfondire?
Ma cosa c’è di disonesto in ciò.
Ma conosci il significato delle parole che usi?
13 maggio 2009 0:00 - Ipsilon
Riguardo l'uso del termine "eugenetica" sarei curioso di sapere in che occasione sono intervenuto utilizzando un significato "estensivo". Se ammettiamo che il significato del termine sia riconducibile a qualsiasi pratica di selezione in base a caratteristiche personali (sia in termini positivi, favorire la manifestazione, che in termini negativi, impedire la manifestazione) allora tutto, e niente, è eugenetica. Quindi utilizzare un significato non proprio del termine è confondere le acque. Sterilizzare significa intervenire "sulle linee germinali" perché ovviamente, tale operazione ha riflesso sulla diffusione delle caratteristiche del soggetto (in questo caso la non-diffusione delle caratteristiche negative).
Poi puoi usare il termine con il significato che vuoi, ma io mi riferisco al significato corretto e determinabile: non procedere con l'impianto in base a caratteristiche diagnosticate anzitempo è selezione eugenetica, che deve essere regolamentata con attenzione (e intendo permessa, a mio avviso, se pregiudizievole dell'incolumità materna). Intervenire con terapie geniche somatiche non lo vedo un problema.
Che la carta di Nizza non riporti la specifica di eugenetica è semplicemente la conseguenza del fatto che quando scrivi "automobile" intendi proprio "automobile" e, quindi, non devi stare a specificare "automobile, quella 'cosa' a 4 ruote". Gran cosa il dizionario... fondamentale per comunicare e comprendere.

Quando parli di paradosso che "l'embrione" sarebbe più tutelato del "feto stesso" mi viene da sorridere: è, secondo te, più facile sul piano psicologico "disfarsi" di un embrione non impiantato, di un embrione impiantato o di un feto? Questo non dovrebbe implicare una maggior tutela se crediamo che anche l'embrione, dopotutto, abbia un suo certo diritto di esistere e svilupparsi? Ed è per questo non trovo assurdo procedere con l'impianto (anche se poi si lascia la possibilità di abortire) quando non vi sono pericoli fisici per la madre. Se lo vorrà, nessuno glielo impedirà.
Riguardo ai limiti imposti alla donna dalla legge 194 nei primi 90 giorni che indicano l'ambito di applicazione della legge 40 in tema di interruzione dell'impianto a me risulta che, virtualmente, non ci sono limiti. E, di conseguenza non ci sarebbero limiti anche nella decisione di procedere o meno all'impianto. A cui aggiungiamo che, in questo caso, ci sono anche meno "remore"...

Riguardo a "perseguire" le gestanti dimentichi l'aggettivo "oltremodo". Se la donna a cui è stato consigliato assoluto riposo ha un aborto perché si è alzata dal letto per espletare le sue funzioni fisiologiche o perché ha deciso di salire sulle montagne russe, secondo me, c'è una bella differenza. Che sia difficile da dimostrare sono ben d'accordo, ma che per principio non si possa sindacare sulle motivazioni che hanno portato all'aborto... Dopotutto non solo le donne che cadono dalle scale per provocare un aborto sono dei "casi da curare"... anche sparare al vicino per questioni condominiali lo è... ma questo non esime dalla pena chi lo ha fatto...

Riguardo a quanto argomentato da Sergio.
Puoi considerarmi un estremista, se la cosa ti fa sentire meglio, ma non troverai nelle mie parole nulla che possa portare a quello. Dai, un'altra volta, un'interpretazione palesemente distorta delle mie parole. Ho chiesto "tuteliamo un bambino nel momento che strilla la prima volta e non lo tuteliamo 2 ore prima? O il giorno prima? Che differenza c'è?”. Ho forse invocato la pari tutela? No. Ho solo chiesto perché non dovrebbe esserci una tutela e non un'altra. Perché tutelare un bambino quando è nato e non tutelarlo quando non è ancora nato?. Poi fa' come vuoi e come ti fa' sentire meglio.

Ho sempre chiesto anch'io interventi in favore della responsabilizzazione. (Ad esempio ciò a portato al dibattito sui tempi del "responsabilizzare e liberalizzare", se ricordi.) Mai ho detto che gli interventi siano da considerare positivi se la Chiesa ne è la promotrice. Anche qui prendi atto pure di quello che vuoi... ma a quel punto la discussione la stai facendo solo nella tua testa.
Quando vedrò che la società laica abbia intrapreso iniziative altrettanto concrete sarò il primo a elogiarle (qualcuno a detto "consultori"?).

Il tuo giocare con le posizioni della Chiesa è disonesto nel momento in cui l'effetto di tali posizioni è tale solo come conseguenza tecnica. Come ti ho già detto la Chiesa accetta l'utilizzo della contraccezione naturale non perché inefficace ma perché è una pratica compatibile con la dignità dell'individuo. Se fosse efficace al 100% sarebbe, ugualmente, accettata.
In secondo luogo è disonesto chiamare in causa la Chiesa e non essere disposto a accettarla all'interno della discussione.

Anche nella comunità civile ci sono posizioni, spesso prese anche da esponenti autorevoli della comunità, in disaccordo con un principio che regola la vita della comunità stessa. Con il tuo ragionamento, cioè la liberalizzazione della posizione della Chiesa in tema di contraccezione perché qualcuno all'interno della comunità la pensa così, allora anche tutte le pratiche di lotta all'immigrazione clandestina che sono in discussione in questi giorni trovano fondamento. Dopotutto ci sono autorità che la pensano così...

Il fatto che a tuo avviso la legge morale sulla quale è fondata la posizione "di rigore" riguardo ai mezzi di contraccezione non ha riscontro nelle Sacre Scritture mi chiederei... sei veramente nella posizione di poterlo dire? Non è possibile giungere a conclusioni diverse in base ad interpretazioni diverse di testi millenari? C'è chi è in grado di predire il giorno esatto della fine del mondo in base a codeste Scritture ma io non ci credo molto... vuol dire che sbaglio? Certo... se ci fosse a pagina X il versetto "tu non utilizzerai il preservativo nei tuoi rapporti sessuali" sarebbe tutto più chiaro...

Non voglio demonizzare la ricerca ma, a un certo punto mi chiedo: se la ricerca zootecnica ha portato all'allevamento industriale del bestiame siamo disposti ad ammettere che lo stesso avvenga anche per l'uomo? Questa è chiaramente una provocazione che, però, spero abbia colto nel segno di interrogarci sui limiti che vogliamo darci nella ricerca, indipendentemente dalle risorse pubbliche che vengono impiegate. Non illudiamoci di avere piena consapevolezza degli effetti... altrimenti l'influenza aviaria, la mucca pazza, e la swine flu, come è chiamata qui, sarebbero solo ipotesi...

Infine, nella mia discussione con Harakiri, ho discusso sul significato del termine eugenetica e di come questo non porti a contraddizioni implicite, a meno di non snaturare ad arte il suo significato proprio. Speriamo, a questo punto, che la tua affermazione provocatoria abbia raggiunto il suo scopo, cioè che abbia permesso ad Harakiri di riflettere sull'uso distorto che ha fatto (sempre?) del termine.

E naturalmente indicami pure dove ho avuto paura di aprire una porta per scoperchiare un baratro...
12 maggio 2009 0:00 - Harakiri

Ipsilon ad essere rigorosi dovremmo considerare eugenetica l’intevento sulle linee germinali, siamo d’accordo, ma si fa sempre più spesso uso del termine eugenetica con un significato ben diverso. Nel mio intervento ho precisato che utilizzavo il termine eugenetica nel senso estensivo come spesso è utilizzato nel dibattito culturale e politico. Nessun tentativo di confondere le acque, con la dovuta attenzione all’interlocutore.
La stessa carta di Nizza che citi vieta le pratiche eugenetiche (senza distinguere tra somatiche e germinali) e in questo insieme sono incluse per esempio le leggi, definite eugenetiche, che imponevano la sterilizzazione degli individui considerati “inadatti”.
Si usa il termine eugenetica per riferirisi all’insieme delle tecniche o dei provvedimenti che favoriscono la diffusione dei caratteri ritenuti positivi e impediscono la diffusione dei caratteri ritenuti negativi.
Non è un caso che molti usano l’espresione “selezione eugenetica” quando fanno riferimento ai cosiddetti aborti terapeutici. Non è un caso che si parli di manipolazione eugenetica del DNA, non è un caso che il Dignitas Personae tratti della terapia genica somatica e della terapia genica germinale.
Bisogna allora che ci mettiamo d’accordo su come utilizzare e in quale ambito utilizzare il termine eugenetica.
Io ho utilizzato il termine, criticandone l’uso, nel senso più ampio che solitamente a esso si attribuisce e mi sembrava che anche tu quando parli di selezione eugenetica fai un uso estensivo del termine.
Ho affermato, come conseguenza di questo uso del termine, che se è eugenetica non far nascere un bambino con una patologia, è allora eugenetica intervenire con la manipolazione dell’embrione per non fare manifestare la malattia. Ho posto l’attenzione sul punto che se consideriamo lecito intervenire sull’embrione o sui gameti per impedire una patologia, non dobbiamo stupirci se poi di fronte alla previsione di un figlio con una patologia scatti il proposito di stoppare tutto e poichè c’è prima del’impianto la consapevolezza della fecondazione (cosa che nel processo naturale non è possibile) è ragionevole che possa essere anticipata la decisione senza provocare la gravidanza. La decisione spetterà ovviamente alla donna con l’ausilio del medico che potrà fornire tutte le informazioni necessarie per una decisione ponderata. L’ambito in cui la decisione può essere assunta è lo stesso previsto dalla 194, richiamata anche dalla legge 40. L’assurdo sta nel prevedere l’obbligo all’impianto per poi eventualmente abortire, senza la valutazione della salute della donna. Il tema del colore della pelle o degli occhi è escluso, tranne fare un uso fraudolento della legge con gravi rischi per il medico che si dovesse prestare a giochini di questo tipo (cosa ben diversa dal fare una legge ipocrita che afferma un divieto per poi fornire sul piatto d’argento le scappatoie senza alcun rischio per nessuno).
Un intervento strettamente terapeutico che si pone come obiettivo la guarigione di diverse malattie, come quelle che riguardano le deficienze cromosomiche, è considerato, in linea di principio, auspicabile, purchè tenda alla vera promozione del benessere personale dell'uomo, senza intaccare la sua integrità o deteriorare le sue condizioni di vita.

“E' per questo motivo che mi pare ragionevole che si perseguisse (o perlomeno indagasse su) una donna che induce un aborto assumendo consapevolmente comportamenti ritenuti oltremodo pericolosi per la salute del bambino”.
Forse diamo un significato diverso alle parole ma quando scrivi quel che ho riportato sopra, cosa dovrei intendere?
Indurre nel significato più letterale significa spingere o costringere qualcuno a fare qualcosa o ad assumere un determinato atteggiamento; non mi sembra dal contesto della frase che tu abbia usato il termine con questo significato; resta allora l’altro significato: provocare.
Provocare un aborto può essere il risultato di una azione volontaria o involontaria; poichè parli di perseguire o indagare (termini giuridici) chi assume consapevolmente comportamenti pericolosi e con ciò provoca un aborto, mi sembra che i miei esempi siano calzanti, con la dovuta attenzione all’interlocutore.
Se una donna ha una gravidanza a rischio, il medico le consiglia il massimo riposo e questa invece a riposo non sta e abortisce possiamo parlare di comportamento consapevole che ha provocato (indotto) l’aborto. La perseguiamo?
Questa era la mia interpretazione della tua affermazione e la conseguente domanda.
Se invece la tua frase si riferiva al gesto volontario di procurarsi un aborto (ipotizzi l’incidente stradale provocato per raggiungere lo scopo), allora ti ricordo che la legge 194 punisce l’aborto provocato al di fuori delle previsioni della legge stessa; in questi casi sarà molto difficile dimostrare che un determinato comportamento è stato assunto deliberatamente per provocare a se stessa un aborto, tanto più se da questo comportamento derivano lesioni a se stessa. Se una donna si lasciasse cadere per le scale per provocare un aborto, mi sembrerebbe più un caso disperato da curare che non da perseguire. Però, non ho alcuna voglia di iniziare una nuova polemica sulla scia di quella già intavolata in questa discussione.

La differenza tra quando strilla la prima volta e due ore prima (anche se non è esattamente così sul piano legale) è che con l‘evento della nascita c’è la persona che ha acquisito capacità giuridica e prima c’è un nascituro che non ha ancora capacità giuridica ma altre tutele; è la differenza che passa (e che passava anche prima della 194) tra infanticidio e aborto clandestino.
12 maggio 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, riprendo da dove ci siamo lasciati, se non sei disposto a riconoscere che la mia interpretazione della tua frase “Non sono estremista nel difendere…” fosse lecita, se non sei disposto a riconoscere l’evidenza che da questa mia interpretazione della tua frase non è derivata alcuna critica rivolta a te ma solo una riflessione generale nella quale ho esplicitamente scritto che non era rivolta a te… non so che farci. Non so, vuoi che nominiamo una giuria di esperti?
Devo ancora comprendere dove tu ti collochi rispetto a coloro che definisci “estremisti”; non per iscriverti a un club, ma solo per comprendere: alcune tue affermazioni sembrano dire cose che poi puntualmente smentisci. E’ difficile capire se fai domande tipo “Tuteliamo un bambino nel momento che strilla la prima volta e non lo tuteliamo 2 ore prima? O il giorno prima? Che differenza c'è?” E’ esattamente la tesi di coloro che definisci estremisti: nessuna differenza tra concepito e nato.

La cautela è d’obbligo, ma non si deve tradurre in divieti o ostracismi. Anche perché noi interveniamo ogni giorno sull’ecologia di un ambiente, per riprendere le tue parole. Non possiamo comportarci come se l’uomo fosse un qualsiasi “animale” che vive nell’ambiente naturale. L’uomo non si adatta all’ambiente limitandosi a costruire piccole tane, ma modifica l’ambiente.
Sulle tecnologie avanzate per la produzione alimentare non vedo tra noi alcun elemento di contrasto. Non sono d’accordo sul resto del tuo ragionamento. La storia dimostra che a ogni aumento delle disponibilità alimentari ha sempre corrisposto un aumento demografico. Alle fasi espansive hanno spesso fatto seguito decrementi demografici a causa di carestie e malattie quando le risorse alimentari diventavano insufficienti.
Nel mondo industrializzato si è verificato un rallentamento nella crescita demografica in coincidenza con l’affermazione del nuovo stile di vita consumistico, più oneroso, in parte più consapevole e più “edonistico”, come direbbe qualcuno; non c’entra nulla a mio avviso la regolazione naturale, mentre se questo stile di vita divenisse il modello per tutto il mondo, molto probabilmente ciò produrrebbe un freno nella crescita demografica ma avremmo altri problemi immensi da affrontare. Motivo per cui rifletto sulla necessità di riconsiderare il nostro modello di sviluppo.
Grazie alle nostre tecnologie e alla nostra cultura (zoppicante) solidaristica non è molto efficace la “naturale regolazione del fenomeno demografico”. Anzi, se alle parole corrispondessero i fatti potremmo a breve eliminare dalla faccia della terra i milioni di morte per fame e per determinate malattie, con una brusca crescita della popolazione mondiale…

Quando hai scritto di “consapevolezza matrimoniale” non mi sembra di aver deriso questa tua affermazione o sollecitazione anzi l’ho presa in positiva considerazione inserendola nel mio più ampio discorso su educazione, prevenzione, sensibilizzazione… in una parola cultura della responsabilità.
Non capisco quindi perché mi “rimproveri” di non aver esaltato come “caso positivo” il corso pre-matrimoniale organizzato dalla Chiesa… Se è per questo non ho e non abbiamo parlato di tante cose positive che pur si fanno, ma mi sembra di aver dichiarato l’importanza della consapevolezza e della responsabilità, di aver su questi punti insistito sino a sollecitare e auspicare un maggior impegno della società su questi fronti a qualsiasi livello.
Prendo atto che, evidentemente, per te quando a occuparsi di consapevolezza e responsabilizzazione è la Chiesa si tratta di iniziative efficaci, meritevoli e concrete; quando si sollecita un maggior impegno su queste strade da parte delle istituzioni civili e pubbliche diventa un discorso vago e fumoso.
A me non sta bene lasciare alle istituzioni religiose il monopolio della cultura della responsabilità. Ben venga l’impegno di chiunque su questa strada e vorrei vedere in prima fila lo Stato con le sue istituzioni.

Mi sembri un tantino eccessivo quando scrivi che è “disonesto” non considerare le motivazioni che animano la dottrina della Chiesa.
Innanzitutto non c’è nulla di disonesto nel considerare “l’effetto” di una posizione dottrinale; più correttamente, bisognerebbe dire che non c’è nulla di disonesto nel considerare un precetto comportamentale in sé prescindendo dalle motivazioni che animano il precetto. Di fronte a una indicazione pratica di comportamento, non sono le motivazioni a fare la differenza ma gli effetti prodotti da quella indicazione perché dovremo misurarci con questi effetti e non con le motivazioni, che al massimo potranno fornire al singolo individuo la forza necessaria per resistere alla tentazione di violare il precetto, restando da valutare se seguire il precetto sia un bene.
In secondo luogo, le motivazioni di un precetto religioso non possono essere indagate con i normali criteri della logica e della razionalità essendo fondate su un atto di fede (le stesse Sacre Scritture sono un atto di fede) e non sono solito discutere la fede. Ho già affermato che ogni posizione religiosa è lecita, quindi non è in discussione il diritto della Chiesa di esprimere le proprie posizioni.
Infine, il dichiarare che non sono interessato a discutere sulle motivazioni di una dottrina religiosa può esprimere la non disponibilità ad allargare la discussione a nuovi fronti, può esprimere un disinteresse verso quella dottrina per tutte le ragioni che possono motivare un qualsiasi atteggiamento di non interesse verso qualcosa.
Quindi se ti fa piacere definire disonesta una scelta che può avere molte spiegazioni, ma nessuna di queste può essere definita disonesta, accomodati pure; il tuo giudizio mi rimbalza…

Riguardo al disaccordo non ho scritto solo di cattolici che non seguono l’insegnamento della Chiesa, ma di autorità ecclesiastiche che contestano la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica e di discussione aperta all’interno della Chiesa sul valore da attribuire alla Humanae Vitae. Hai preso un pezzettino della mia osservazione e ignorato tutto il resto. Chiesa significa comunità e se all’interno di una comunità non c’è consenso intorno a una dottrina ritenuta fondamentale e questo dissenso si manifesta nel comportamneto quotidiano di una moltitudine di fedeli ma anche nelle parole di teologi e autorità ecclesiastiche c’è da chiedersi cosa significhi “dottrina ufficiale”: quella espressa dal Papa? Senza scomodare la dottrina liberale e democratica, mi sembra che la Chiesa in questo modo da comunità si riduca a monarchia assoluta.

“In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita”.
Quelle riportate tra virgolette sono parole tratte dalla Humanae Vitae. Come vedi, la dottrina della Chiesa prevede anche la possibilità a tempo indeterminato di evitare una nuova nascita; il rigore sta solo nei mezzi: sono esclusi i mezzi artificiali, nel rispetto di una legge morale che a mio avviso non ha alcun fondamento nelle Scritture ma chiede solo obbedienza all’autorità ecclesiastica (altre chiese cristiane giungono ad altre conclusioni pur muovendo dalle stesse Scritture).
“Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell’autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell’autorità ecclesiastica”: Joseph Ratzinger, 1969.

La Chiesa stessa riconosce che il valore all’atto sessuale travalica la volontà di procreare; infatti, non considera illecito il rapporto sessuale nei giorni infecondi. Se una persona decide di non procreare e di affidarsi solo all’astinenza o ai metodi naturali, questa è una scelta individuale che non discuto. Mi limito a osservare che non vedo perché la società civile non debba promuovere la cultura della contraccezione. Un precetto religioso non può e non deve inibire un’azione educativa e informativa pubblica.

Tornando alla dottrina della Chiesa, non ritengo che fare uso di contraccettivi sia una forma di svilimento della dignità umana. E ritengo che affermare la necessità della paternità e maternità responsabile debba portare a dare maggior peso all’efficacia dei mezzi utilizzati. Trovo sia una posizione poco responsabile e poco meritevole di attenzione sotto qualsiasi profilo che in presenza di gravi motivi, per ossequio a una legge morale opinabile, bisogna utilizzare mezzi scarsamente efficaci, fermo restando il diritto della Chiesa di predicare quel che ritiene più giusto.
Infine, ricordo che ho menzionato la posizione ufficiale della Chiesa sulla pianificazione familiare per sottolineare che nessuno considera egoista o cinica la riflessione della Chiesa che invita a ponderare la formazione di una famiglia numerosa e a valutare le condizioni che possono consigliare di non procreare; non comprendo perché i gravi motivi che possono valere per l’individuo debbano invece non essere considerati a livello collettivo al fine di favorire una maggiore consapevolezza genitoriale, tra l’altro con la finalità di evitare che l’aborto diventi una forma di pianificazione delle nascite e di evitare che si mettano al mondo vite delle quali non si è in grado di assumersi gli oneri del mantenimento.
La responsabilità è un valore esclusivamente individuale o può e deve essere un terreno d’impegno per l’intera collettività?
12 maggio 2009 0:00 - Sergio
Caro Harakiri scusa se rispondo con tanto ritardo ma ho avuto un periodo abbastanza frenetico.
In ogni caso, vedo che hai svolto egregiamente la tua intuizione.
Ci sarebbero ancora tante cose da aggiungere, ma mi sembra che ci sia già abbastanza su cui riflettere.

Lo scopo della mia affermazione provocatoria era stimolare una riflessione sul senso del termine eugenetica, sulla nostra cultura della malattia e della salute, sul concetto di normalità.
Troppo spesso si utilizzano determinati termini senza interrogarsi a sufficienza sul loro effettivo significato e sulle implicazioni dirette e immediate di talune affermazioni costruite intorno a quei termini.

Mi fa piacere tu abbia citato il Dignitas Personae; un testo molto denso e complesso che lascia aperte molte questioni, a partire dall’affermazione di esordio (“Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di persona”), per giungere alle esplicite valutazioni di illiceità etica di taluni interventi genetici anche in considerazione dello “stato attuale della ricerca”.

Ritengo che spesso si agitino battaglie ideali in termini perentori e assoluti per paura di aprire una porta e guardare il baratro. Oggi è di moda parlare di “rischio deriva”; io preferisco guardare il baratro, valutare e gestire il rischio perché così crescerà la consapevolezza di ciò che siamo e dell’immenso potere che abbiamo.

Ho sperimentato che assumere una posizione estrema crea sconcerto, quasi un pugno allo stomaco, ma poi alcuni di coloro che assumono determinate posizioni, spesso con facilità e approssimazione, spesso in buona fede, spesso soggiogati da una rappresentazione etica che vivono come una bella utopia, cominciano ad avere disponibilità a riflettere senza pregiudizi.

Tornando alla mia affermazione provocatoria, una volta che la questione è posta in termini radicali (mi riferisco al senso etimologico del termine e non all’accezione politica) tutto appare sotto una luce diversa.
L’esperienza mi ha dimostrato che posti di fronte a questo modo diverso di guardare le cose si comincia a comprendere che non va demonizzata la ricerca, la genetica, la capacità dell’uomo di intervenire e interferire con le leggi della natura ma, giunti ormai a questo punto delle nostre conoscenze e capacità, consapevoli degli enormi rischi che corriamo con le tecnologie di cui disponiamo e disporremo, occorre promuovere consapevolezza e sviluppare sistemi di controllo sull’operato di chi decide le priorità, l’uso e l’entità delle risorse pubbliche.
Cerco di promuovere un approccio diverso ai problemi e questo risultato non lo otteniamo se ogni volta che ci troviamo di fronte a un problema nuovo, o semplicemente di fronte a una dimensione nuova di un problema antico, diveniamo schiavi del rischio deriva che guarda caso è subito avvertito da qualcuno… che puntualmente non ha soluzioni a questo rischio o, a sua volta, opera secondo logiche che indica come rischio di deriva. Deriva eutanasica, deriva eugenetica, deriva autoritaria, deriva plebiscitaria… tutto è sempre e solo deriva.
Impariamo a mettere tutto in discussione e le cose assumeranno un altro aspetto.
11 maggio 2009 0:00 - Ipsilon
Comincio dalle risposte breve e semplici perché ho poco tempo:
1- Che la limitazione alle linee germinali sia un'idea tutta mia è un'affermazione infondata. Cfr. la definizione del dizionario De Mauro Paravia (che non so se ho il diritto di riportare). In entrambi le accezioni indicate si ritrova il significato che ho usato (nel caso 1, uomo è da intendersi come razza umana, altrimenti si sarebbe impiegato "individuo"). Quindi il fatto che la terapia genetica è una pratica eugenetica è una posizione tutta tua (e di chi vuole confondere le acque). Confronta pure con tutte le fonti che preferisci e cita, eventualmente, dove viene detto il contrario. Inoltre il termine eugenetica è nato in somiglianza al processo di stockbreeding (Galton 1883), applicato all'essere umano. Anche il significato originario è del tutto equivalente al significato con cui ho usato io il termine. Se ammetti che il termine eugenetica sia utilizzato anche per pratiche non volte alla selezione di caratteri trasmissibili, allora anche l'istruzione (di ogni ordine e grado) è eugenetica: selezioni (=promuovi) gli studenti in base alle loro caratteristiche di profitto.

2- Van bene gli esempi ma che siano collegati con uno scenario plausibile. Le limitazioni di carattere tecnologico sono e, saranno, rilevanti per tutto il prossimo futuro. Non ci sono, infatti, neanche proposte di studi in fase I. E tali studi dovrebbero escludere, secondo il protocollo di ricerca clinica, tossicità anche nei discendenti. Ti lascio immaginare la lunghezza di tali studi. Per approfondire leggi le linee guida della FDA.

3- I dubbi etici, dal punto di vista scientifico, si fondano sulla certezza di non saper controllare e prevedere le conseguenze derivanti dalla trasmissione delle modifiche genetiche artificiali. Oggi stiamo a criticare gli effetti sull'uomo dell'allevamento intensivo di animali. Quando dovremo criticare gli scienziati per l'introduzione di caratteri genetici trasmissibili che si sono rilevati nocivi? Metteremo un'etichetta di qualità genetica anche sull'uomo?

3- Assumendo il significato di dizionario del termine "Eugenetica", la carta di Nizza proibisce tali pratiche e, di conseguenza, anche terapie genetiche su linee germinali.

4- Se i malati di HIV, perché la gente normale no? Perché io non posso accedere alla fecondazione artificiale e al vantaggio di poter scartare preventivamente l'embrione che ha caratteristiche che "non mi piacciono" (uso questo shortcut per la più lunga locuzione "che possiede caratteristiche che, in previsione, inducono un malessere alla madre")? Perché le donne normali devono passare attraverso i rischi annessi e connessi all'aborto?

5- Chi, infine, definisce le motivazioni ragionevoli per cui sarebbe consentito il non-impianto? Lo lasciamo alla responsabilità del medico? Uso la tecnica di dimostrazione per assurdo e vediamo dove il ragionamento ci porta. Una coppia, europea lei, africano lui, vanno da un medico perché vogliono avere un figlio. Lei sostiene che suo figlio dovrà essere bianco perché il compagno ha vissuto sulla sua pelle la discriminazione che la pelle nera comporta. Cosa dovrà rispondere il medico?

6- Non ho mai scritto di proibire tutti gli atteggiamenti che descrivi. Bensì, se leggi con il rispetto dovuto all'interlocutore che Sergio invoca, ho scritto "induce un aborto assumendo consapevolmente comportamenti ritenuti oltremodo pericolosi per la salute del bambino." Tuteliamo un bambino nel momento che strilla la prima volta e non lo tuteliamo 2 ore prima? O il giorno prima? Che differenza c'è? Perché non indagare una donna che è andata a sbattere, in macchina, volontariamente per indurre un aborto (indipendentemente dal fatto che sia riuscita o meno)? E allora perché mi devono multare se non porto le cinture?

7- Qual'è lo scopo della terapia medica della "fecondazione artificiale"?

11 maggio 2009 0:00 - Harakiri

Ipsilon, in breve:

1)da cosa trai la conclusione che la manipolazione sulle linee germinali sia per legge proibita? Che esistano limiti tecnici siamo d’accordo (infatti la mia era una ipotesi), che esistano dubbi etici siamo altrettanto d’accordo;

2)il tuo limitare l’uso del termine eugenetica ai soli interventi sulle linee germinali escludendo le somatiche è per quel che mi risulta una limitazione tutta tua;

3)fai riferimento al rischio di incolumità fisica ma il concetto di salute è inteso in senso più ampio e comprende anche la salute e il benessere psichico; questo è quanto prevede il nostro ordinamento costituzionale che non si può modificare con legge ordinaria; questa impostazione è stata riconfermata dalla corte costituzionale con la sentenza sulla legge 40;

4)se la previsione di avere un figlio con una malattia può consentire a una donna di accedere all’aborto, poichè si tratta di un malessere causato da una previsione, non si comprende perchè la stessa previsione non possa essere assunta come base per rifiutare l’impianto: siamo sempre in presenza di un malessere causato da una previsione (ancora uan volta la corte costituzionale ha riconfermato questo principio, conclusione ovvia della diversa tutela che compete a ciascuno dei due soggetti coinvolti);

5)in caso di fecondazione artificiale la consapevolezza precede il momento canonico in cui viene accertata la gravidanza stessa poichè c’è la certezza dell’avvenuta fecondazione prima dell’impianto nell’utero; ovvio che ogni decisione possa essere presa prima della diagnosi di gravidanza in essere;

6)indagare o perseguire una donna per aver assunto comportamenti pericolosi per la salute e lo sviluppo del bambino che porta in grembo? Posizione integralista rispettabile ma dalle conseguenze devastanti. Proibiamo a una donna in gravidanza di fumare, bere, svolgere attività sportiva? La leghiamo al letto quando il medico certifica che ha bisogno di assoluto riposo diversamente rischia un aborto? No, preferisco la responsabilità del singolo accettando il rischio dell’irresponsabilità;

7)non si tratta di legge aggirabile ma di legge ipocrita scritta per imporre divieti anche dove dovrebbe essere competenza del medico suggerire la soluzione migliore e i termini dell’intervento. Chi è portatore di AIDS correrrebbe rischi immensi con la fecondazione naturale: le nuove linee guida consentono in questo caso il ricorso alla fecondazione assistita. Chi ha malattie genetiche ma è sterile può ricorrere alla fecondazione assistita e chi invece ha le stesse malattie ma non è sterile invece no? Il ricorso a una tecnica medica deve essere valutato dal medico e dal paziente non imposto da una legge. Anche su questo la corte costituzionale mi sembra sia stata chiarissima, ancora una volta.
9 maggio 2009 0:00 - Ipsilon
Caro Harakiri,
il discorso mi è (come mi era) chiaro ma non lo trovo corretto. E in particolare sulle questioni seguenti.
- Non possiamo equiparare una cura genetica attuale a un intervento di selezione eugenetica. Infatti la terapia genica si attua, sull'uomo, solo su cellule somatiche e, di conseguenza, gli effetti della terapia ricadono solo sull'individuo sulla quale è praticata, non sui suoi discendenti. Inserzione di materiale genetico su cellule germinali (o su embrioni nei primissimi stadi di sviluppo) non sono consentite per l'uomo, sia per motivazione tecnologiche, che etiche. Dal punto di vista etico, infatti, non si è in grado di predire l'effetto a lungo termine (cioè durante le varie generazioni) dell'inserzione di materiale genetico trasmissibile, effetti che potrebbero essere molto pericolosi. Per questo motivo, cioè essendo solo terapia somatica, non possiamo equiparare tale terapia a selezione eugenetica: il carattere infatti non scompare dalla storia evolutiva della specie (nella linea rappresentata dall'individuo in questione). Il discorso è differente, invece, se si consente di non procedere all'impianto senza, virtualmente, alcun limite. In quel caso, non procedendo all'impianto, il carattere (o i caratteri) in questione si estingue in quella linea di sviluppo. E' solo in questo ramo che puoi operare la distinzione fra eugenetica positiva o eugenetica negativa, perché nel caso delle terapie non vi è alcun tipo di selezione. L'errore che compi è racchiuso nella frase
"Chi si occupa di eugenetica distingue tra eugenetica positiva (favorire un miglioramento della specie attraverso la diffusione di caratteri ritenuti positivi) e eugenetica negativa (impedire, attraverso selezione, modifica o terapia genica, che possano manifestarsi e quindi diffondersi i caratteri ritenuti negativi)."
Infatti dici "che possano manifestarsi e quindi diffondersi". L'implicazione logica sottesa in quel "quindi" è scorretta. La terapia genetica impedisce la manifestazione di processi patologici ma non la sua diffusione (che chiaramente è da intendersi mediante riproduzione).
E' per questo che ci si riferisce a "eugenetica" come un insieme di pratiche che operano su linee germinali, non su linee somatiche. Ed è ancora per questo motivo che ciò che consideriamo "malattia" o "normalità" non influisce sul discorso della selezione eugenetica se parliamo di terapia.
- Il compromesso, di cui il limite temporale all'IGV è un'istanza, è, come dici, una misura convenzionale che, tradotto nel nostro mondo, significa "regolamentato da una legge", che risponde in una determinata direzione alla domanda proposta dall'articolo.
- Una visione ideale può, secondo me, tenere in considerazione il compromesso. E' quanto affermo quando dico di credere nella gradualità dell'applicazione dei due diversi ambiti di diritto. Infatti ritengo che l'autodeterminazione dell'individuo non può essere assunto a principio prioritario ma che deve sottostare all'applicazione, nelle varie misure, degli altri diritti fondamentali degli altri individui. Nel momento in cui una donna è consapevole di essere in gravidanza e decide di portarla avanti si assume anche il dovere di "farlo fino in fondo" a meno che questo ne comprometta, in un modo impredicibile a priori, l'incolumità fisica. E' per questo motivo che mi pare ragionevole che si perseguisse (o perlomeno indagasse su) una donna che induce un aborto assumendo consapevolmente comportamenti ritenuti oltremodo pericolosi per la salute del bambino.

Nel caso di fecondazione naturale il limite dei 90 giorni mi pare adeguato perché la donna si possa considerare consapevole della gravidanza in corso. Nel caso di fecondazione artificiale dove possiamo mettere questo limite di consapevolezza?
Con questo mi pare di sviluppare un discorso che nel contempo è ideale e pragmatico.

- "Legge fatta per i furbi..." Questo è un discorso pericoloso. Se una legge è facile da aggirare, non per questo perde significato. Il significato di questa norma è di garantire l'accesso alla fecondazione artificiale a tutte le coppie sterili. Il fatto che sia sufficiente una dichiarazione è un semplice riconoscere che la nostra conoscenza scientifica dell'infertilità è lungi dall'essere completa e, di conseguenza, se pretendessimo una dimostrazione oggettiva dell'infertilità di tutte le coppie che accedono alla fecondazione assistita andremmo a violare i diritti personali di chi è effettivamente in stato di bisogno ma non può dimostrarlo. Se tu credessi veramente che questa è una legge fatta per i furbi e per essere aggirata allora, a maggior ragione, lo stesso ragionamento lo dovresti applicare alla scelta individuale che tanto invochi per preservare le condizioni soggettive di salute della madre se, ad esempio, viene diagnosticata la sindrome di down al feto. Dico "a maggior ragione" perché, nonostante la soggettività della reazione sia innegabile, la componente oggettiva che la scatena è sicuramente più chiara che nella diagnosi di infertilità. Ci troveremmo, infatti, nella situazione paradossale di consentire il non-impianto per una non-meglio-precisata componente soggettiva e criticare la non-misurabilità di una dichiarazione di infertilità.
Naturalmente il tuo discorso avrebbe interessanti sviluppi anche su dichiarazione dei redditi e così via...
7 maggio 2009 0:00 - Harakiri

Il ragionamento che ho sviluppato parte da alcune premesse assunte come buone e corrette. Accetto alcune premesse, le sviluppo, considero le conseguenze e assumo la posizione più estrema possibile per soddisfare ogni premessa.
E’ un esercizio dialettico che aiuta a cogliere le conseguenze di una impostazione di pensiero evitando un muro contro muro su una specifica posizione o un principio, per favorire il confronto sul come realizzare il principio affermato.
Per esempio, se si afferma che il feto ha la stessa dignità di chi è già nato e si anticipa la tutela giuridica al momento del concepimento, ne deriva che se una donna in gravidanza assume comportamenti pericolosi (droga, alcol, guida pericolosa) e a causa di ciò perde il bambino, dovremmo perseguire la donna per omicidio colposo.

Il ragionamento sviluppato, partendo da una posizione affermata, rende evidente una delle conseguenze possibili implicite nell’affermazione stessa. Conseguenze che rimangono in ombra finchè discutiamo in astratto sul principio della pari dignità tra nato e nascituro, mentre diventano evidenti se assumiamo questo principio come corretto e, conseguentemente, analizziamo come applicarlo nella vita reale.
Il dibattito ruota spesso in astratto intorno a un principio, mentre se passiamo al piano concreto ci rendiamo conto che il problema non è discutere del principio ma di “come” realizzarlo; sul principio potremmo trovarci in teoria anche tutti d’accordo ma sono gli effetti dell’applicazione del principio che determinano il disaccordo mettendo in evidenza la necessità del compromesso per bilanciare i diversi interessi.
Il compromesso è una misura convenzionale, equitativa, talvolta arbitraria, fondata su criteri discutibili, relativi e non assoluti (e con questo rispondo anche alla tua domanda sul limite dei 90 giorni per la IVG). Ne consegue che possiamo interrogarci su questi criteri (o limiti), sia in senso più restrittivo sia in senso più permissivo, ma evitando lo scontro a livello ideale perché l’ideale appare irrealizzabile. Chiamalo se vuoi pragmatismo.

Nell’affermazione di Sergio sulle malattie genetiche avevo letto un intento di questo genere e mi sono cimentato in un esercizio che cerca di individuare le premesse di quella conclusione. Potrei essermi sbagliato.
Tornando al ragionamento, la questione centrale è cosa intendere per eugenetica e per selezione eugenetica.

Se abortire o non impiantare un embrione con una malattia genetica o una malformazione è selezione eugenetica, ne deriva che anche “curare” una malattia genetica (cioè impedirne la manifestazione) è selezione eugenetica.
Tutto diviene una questione di tecniche mediche. Per questo motivo faccio l’esempio della malattia Y: se con un intervento medico eliminassimo il fattore X responsabile della malattia Y, sarebbe selezione eugenetica. E questa selezione è prevista dalla legge che consente la manipolazione a scopo terapeutico.
Chi si occupa di eugenetica distingue tra eugenetica positiva (favorire un miglioramento della specie attraverso la diffusione di caratteri ritenuti positivi) e eugenetica negativa (impedire, attraverso selezione, modifica o terapia genica, che possano manifestarsi e quindi diffondersi i caratteri ritenuti negativi).
Se consideriamo immorale l’eugenetica, l’unica soluzione efficace è cambiare la nostra concezione e definizione di ciò che consideriamo malattia.
Non mi riferivo con questo discorso alle tue posizioni ma in generale a posizioni presenti nella nostra società.
La terapia genica è ammessa anche dalla Chiesa cattolica (vedi Dignitas personae) quando è finalizzata a evitare le patologie, è prevista anche dalla legge, ma c’è chi sostiene che la vera finalità della diagnosi pre-impianto è la selezione dell’embrione e quindi si dice è selezione eugenetica. C’è chi sostiene che non può essere bloccato l’iter dell’impianto salvo poi ammettere il ricorso all’aborto se c’è pericolo per la salute fisica e psichica della madre, anche questo prevede la legge 40 che non modifica quanto previsto dalla 194.
La previsione di un bambino down arreca rischio alla salute della madre? Probabilmente no se ci limitiamo al solo livello fisico, probabilmente sì se consideriamo anche l’aspetto psichico e le condizioni soggettive della madre.
Una risposta univoca diviene impossibile e l’unica scelta è affidarci alla scelta individuale, possibilmente mettendo a disposizione dell’individuo tutti i mezzi possibili di sostegno.
Rimane il fatto che la nostra concezione di malattia e di normalità ci porta a considerare malato il bambino down e come cosa “giusta” il riuscire tramite tecniche mediche a impedire il manifestarsi della malattia. Si torna così all’idea di eugenetica positiva.
C’è una eccessiva disinvoltura nell’uso del termine eugenetica e nell’agitare il rischio della deriva eugenetica senza però mettere mai in discussione la nostra idea di salute e di malattia.

Se non c’è la possibilità di eliminare a monte il manifestarsi di una malattia, è evidente che l’idea di un figlio malato può determinare un malessere fisico e psichico nella madre, che il medico dovrà accertare su eventuale richiesta della madre. L’alternativa sarebbe proibire l’aborto (non sarebbe sufficiente ammetterlo in caso di rischio per la salute fisica della madre dal momento che anche il malessere psichico ha effetti sul fisico: le due cose non sono separabili e indipendenti); in questo caso, dovremmo cambiare la Costituzione, le leggi e soprattutto affermare che la donna quando è in gravidanza si riduce a puro corpo, a “macchina riproduttiva”.
Il mio ragionamento per assurdo ha la finalità di evidenziare che l’idea di eugenetica è presente nella nostra cultura e concezione della salute. Per eliminare l’idea dell’eugenetica dal nostro orizzonte culturale dovremmo cambiare la nostra cultura e concezione della salute. Per esempio, dovremmo affermare che gli “errori genetici” non sono malattie. E’ chiaro adesso il discorso?

Riguardo al dubbio “legge fatta per i furbi e per salvare le apparenze”, mi riferisco alla norma di legge che prevede il ricorso alla fecondazione assistita per le coppie con casi di infertilità o sterilità certificata e non risolvibile con altre tecniche e per le coppie con sterilità o infertilità “inspiegabile”. Questa seconda ipotesi rende possibile il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita praticamente a tutti: è sufficiente che una coppia dichiari che da anni tenta di iniziare una gravidanza senza riuscirvi. In questi casi, il medico effettua delle verifiche mediche, riscontra che non c’è alcuna causa diagnosticabile di sterilità e quindi che si tratta di una causa inspiegabile.
1 maggio 2009 0:00 - Ipsilon
Purtroppo, sinceramente, l'intervento di Harakiri non mi ha chiarito le idee sul significato dell'intervento di Sergio riguardante malattie genetiche e caratteri statisticamente maggioritari. Credevo, da quanto indicato in prima istanza, che fosse una posizione e un pensiero personale dell'autore, non un qualche strumento per innescare un ragionamento per assurdo.

Rimanendo sull'intervento di Harakiri vorrei capire meglio che cosa intendesse con la frase "Legge fatta per i furbi e per salvare le apparenze?". Dato che sono stato indicato come uno che cerca la polemica fine a se stessa, mi limito a chiedere ulteriori spiegazioni, se hai la cortesia di fornirle, Harakiri, prima di cercare di interpretarne il senso.

Credevo di aver già spiegato in cosa vedo il preconcetto. Come già detto, il preconcetto nei miei confronti si è verificato in come l'interpretazione della frase sia stata guidata, in prima istanza, dal fatto che già Sergio mi aveva ascritto a tale categoria. E su questo punto ha aperto un dibattito totalmente immotivato. Sembrerebbe, quasi, che le mie interpretazioni di quanto ha scritto Sergio siano sempre errate e maliziose, mentre le sue siano meritevoli di attenzione.

Riguardo alla necessità di legiferare. Mi sembra di poter dire che la risposta alla domanda dell'articolo sia condivisa, e provo a riassumerla. Una legge è necessaria per definire gli ambiti di tutela e gli aspetti pratici di tali ambiti. Questo nella fecondazione artificiale, per l'IGV, e via di seguito.

Seguendo il vostro ragionamento dei diversi ambiti di tutela di madre e nascituro, mi potreste spiegare dove trova fondamento il limite dei 90 giorni all'IGV?

"Non mi sembra produttivo, ogni volta che ci troviamo di fronte a un problema, restare immobili perché diveniamo schiavi del “rischio deriva”.". Non ti sembra produttivo, ma la storia insegna che intervenire sull'ecologia di un ambiente provoca spesso effetti devastanti. Questo, secondo me, dovrebbe suggerirci una maggiore cautela.
Ho suggerito l'introduzione di tecnologie avanzate di produzione alimentare non per mettere una pezza sul problema di mancanza di cibo, ma per la precisa convinzione, già esternata e che non hai ripreso, che questo provochi una naturale regolazione del fenomeno demografico. Paradossale, ma è quanto è avvenuto nel resto del mondo.

Purtroppo sono in molti che parlano di responsabilizzazione e sensibilizzazione, ma mi sembra di riscontrare, sempre, una certa vaghezza di idee su come ciò si va a concretizzare.

Riguardo alla dottrina della Chiesa mi pare disonesto limitarsi a considerare gli effetti di tali posizioni senza considerare le motivazioni che le animano. Soprattutto quando queste stesse motivazioni fanno la differenza del "va tutto bene" e del "tacciare di egoismo". Per come la vedo io la Chiesa non ha posizioni aperte o rigide sui vari temi. Piuttosto ha posizioni chiare e ferme su tutti i suoi principi. Non essendo uno stato, ma una religione, se lo può/deve permettere. Non è mia intenzione aprire nuovi fronti di discussione su tale tema, piuttosto, dato che hai giudicato "molto personale" quanto ho scritto, ho ritenuto che parlassi da una posizione di maggiore conoscenza delle sue posizioni. Non mi interessano le tue interpretazioni o giudizi a riguardo, mi interessa conoscere più a fondo le posizioni dottrinali che sembra che tu conosca così a fondo da giudicare personale quanto ho scritto.
Ritengo che abbia banalizzato quanto scritto, ad esempio:
"Sembrerebbe dalle tue parole che la Chiesa affermi che non è un bene avere rapporti sessuali senza scopo procreativo ma se proprio vuoi averli allora sei autorizzato a fare uso solo di metodi scarsamente efficaci. Insomma, o sei casto e continente oppure devi accettare il rischio del “tavolo verde”."
Escludere artificialmente la procreazione è un atto che manifesta il controllo che il bisogno sessuale ha sull'individuo, un controllo tale da sopraffarne la sua volontà. E in tal senso non è in relazione con l'efficacia del metodo naturale. Ritengo che le posizioni della Chiesa sarebbero immutate se l'astinenza nei periodi fecondi fosse una tecnica di contraccezione efficace al pari di altre tecniche artificiali. Infatti essa si configura come un atto di controllo del proprio essere, di riflessione sui propri bisogni.
Un altro esempio: la tua domanda "Non è più responsabile, se non voglio ricorrere all’astinenza e valuto le mie condizioni non idonee per affrontare il compito di genitore, utilizzare metodi efficaci?", nasconde un vizio di forma. Considerando che la Chiesa ritiene la contraccezione artificiale un'espressione che va contro la dignità dell'individuo e dell'atto sessuale (in quanto carico di altri significati), sarebbe in contraddizione nel suggerire tali strumenti che negano la dignità dell'individuo per recuperare la dignità dello stesso, non trovi?
Può piacere o meno, ma questo non nega la sua esistenza.
Moreover, il disaccordo che è presente nel popolo cattolico non cambia la questione: non è una democrazia e, di conseguenza, l'opinione è quasi irrilevante. E non potrebbe essere altrimenti, perché si tratta di religione rivelata: attribuire peso concreto al popolo dei fedeli sull'insegnamento che essa propone significherebbe disconoscere la rilevazione divina e, di conseguenza, si trasformerebbe in una filosofia di vita. Non sto difendendo il contenuto delle sue posizioni perché mi trovano in disaccordo (e non queste specifiche), ma mi trovo nella posizione di difendere il suo diritto/dovere di averle.
Mi ha stupito, invece, che tu non abbia presentato come "caso positivo" il corso prematrimoniale che la Chiesa organizza (e obbliga a frequentare). Lo trovo un esempio virtuoso in cui, riconoscendo un alto significato al matrimonio, si promuove la consapevolezza e la responsabilizzazione dell'individuo. Questa è una realtà importante che con poco rumore fa molto per l'individuo e l'istituzione (o sacramento). A quando un corso prematrimoniale laico?

Infine concludo dicendo che, a mio avviso, avere un'idea di riferimento di "uomo" non è sbagliato. E' quello che la legge rinforza: un'idea di uomo in salute, che sa leggere e scrivere, che è libero di comunicare idee e di professare fedi... Dire che l'uomo normale non è down, non è talassemico, non è cieco, non è obeso, ecc non è una forma di discriminazione o di selezione eugenetica. Discriminazione è, piuttosto, agire contro un down perché è un down, contro un obeso perché è un obeso e così via. Impedire l'impianto perché un embrione è down, quando ciò non pregiudica la salute della madre, mi sembra una forma di discriminazione perché, pur riconoscendo due ambiti di tutela differenti per i due soggetti, credo in una gradualità nell'applicazione di questi diritti. E, dato che al compromesso si deve arrivare, sono favorevole a normare un determinato compromesso, che non ripresento di nuovo perché già chiaro da quanto ho scritto.
30 aprile 2009 0:00 - Harakiri

Non ti scomodare, Sergio. Credo di aver compreso il ragionamento ab absurdo che hai proposto.
Una tecnica simile l'ho utilizzata anch'io ai tempi di "Il mio voto a Berlusconi".

Vediamo un po’.
Affermi
“sono contrario a ogni tecnica di fecondazione assistita e a ogni terapia invasiva contro l’infertilità, poichè non considero l’infertilità una “malattia” ma un dato naturale. Non mi appartiene la cultura che considera “malattia” ciò che devia da un dato statisticamente maggioritario.”

Come dire, nascere con due teste è un dato statisticamente poco ricorrente, non una malformazione; è politically corect definire un individuo “malformato”?
Un bambino down non è un malato ma un soggetto con una bio-diversità.
Per affermare che esistono “malformati” e “malattie genetiche” bisogna definire uno standard “umano”.
Chi si allontana da questo standard è affetto da una malattia.
Dicesi malattia, l’alterazione fisica o psichica che limita o impedisce lo svolgimento delle funzioni tipiche dell’organismo umano.
C’è accordo sul punto che le malattie vadano curate.
C’è accordo sulla utilità della prevenzione, ovvero impedire o rendere più improbabile l’insorgere di uno stato patologico.
In questo quadro si riconoscono tutte le persone di buon senso.

Però, nonostante questo comune sentire, c’è chi sostiene che abortire quando c’è una malattia del feto o una malformazione, che arreca danno alla salute della madre, è una forma di selezione eugenetica. Qualcuno vorrebbe limitare questa possibilità con un elenco preciso di patologie per le quali ammettere l’aborto; ma non sarebbe anche questa eugenetica?
C’è chi sostiene che rifiutare l’impianto di un embrione malato è una forma di selezione eugenetica.
Per la legge le diagnosi pre-impianto sono finalizzate alla tutela dell’embrione. Se lo scopo “vero” dell’analisi pre-impianto è la selezione dell’embrione, come molti sostengono, è forse diverso lo scopo delle analisi pre-natali? La finalità dell’analisi pre-impianto si colloca per legge rispetto al nascituro a un livello di tutela superiore rispetto all’analisi pre-natale. Nel primo caso si tutela l’embrione, nel secondo caso si tutela la donna accettando di sacrificare il feto. Però la legge afferma il principio che la previsione di una “malformazione” può essere causa di danno per la salute della madre e quindi si autorizza l’aborto. Sostenere per legge che il concepito può “non nascere” non significa affermare l'esistenza di un principio di eugenetica o di eutanasia prenatale? Con l’aborto si può non far nascere i “sani” ma non si può fare la stessa cosa prima dell’impianto. Si configura una diversa disciplina di tutela tra embrione e feto dove, paradossalmente, è più tutelato il primo rispetto al secondo; una sorta di regressione in pejus.
Ho utilizzato il termine eugenetica nel senso estensivo, com’è utilizzato nel dibattito politico e culturale.

Si condanna la manipolazione genetica ma la legge consente le analisi pre-impianto con finalità diagnostiche e terapeutiche.
Se un intervento manipolativo di micro-ingegneria genetica potesse eliminare il fattore X responsabile della malattia Y, sarebbe consentito intervenire? La legge lo consente, è solo una questione di tecniche mediche. Sarebbe un intervento eugenetico o terapeutico? Secondo alcuni è selezione eugenetica; secondo altri è terapia. In effetti, se abortire o rifiutare l’embrione con la malattia Y è eugenetica negativa, eliminare la malattia Y è eugenetica positiva.
Qualsiasi cosa facciamo pre-impianto o post-impianto nei confronti di malformazioni e malattie genetiche ci porta inevitabilmente all’eugenetica, se accettiamo la definizione ampia che si da al termine.

La legge limita ai casi di infertilità e sterilità il ricorso alla procreazione artificiale. Dimenticando che ci sono casi in cui la procreazione naturale espone a rischi notevoli che con le tecniche artificiali si potrebbero superare (per esempio il rischio di trasmissione di HIV). Le nuove linee guida superano alcuni di questi problemi e c’è chi sostiene che devono essere abolite perchè è stata aggirata la legge. Perchè limitare in un tassativo ambito la procreazione assistita? Questa valutazione “terapeutica” non dovrebbe competere alla coppia e ai medici?
La procreazione assistita in effetti è consentita solo nei casi di sterilità e infertilità accertata o inspiegata. Nel primo caso va certificata dal medico, nel secondo caso (quella inspiegata) va documentata dal medico. Ma cos’è l’infertilità o la sterilità inspiegata? E’ il fatto che una coppia apparentemente fertile, pur avendo da tempo rapporti sessuali non protetti, non riesce a concepire. Sufficiente quindi che una coppia dichiari che da anni tenta senza successo di iniziare una gravidanza; il medico assumerà questa dichiarazione non verificabile, effettuerà i controlli di rito e concluderà che c’è una causa inspiegata d’infertilità. Legge fatta per i furbi e per salvare le apparenze?
Per concludere questo quadretto, c’è anche una proposta in Parlamento per la modifica dell’art. 1 del Cod. Civ. al fine di riconoscere “capacità giuridica” a decorrere dal concepimento e non dalla nascita. Sul punto quasi nessuno s’interroga su cosa succederebbe se passasse questa formulazione giuridica.

Immagino che tu, Sergio, parti da queste tesi sostenute da tanti chiedendoti: come soddisfare tutte queste tesi?
In effetti, solo negando che il bambino down sia malato, solo negando che avere due teste sia una “malformazione” e non un fatto statisticamente poco ricorrente, solo negando che sia un problema l’eventuale rischio di trasmissione per via sessuale di determinate malattie, come l’Hiv, a madre e nascituro (dove sta il problema, basta non fare sesso e il problema è risolto), solo negando che sterilità e infertilità siano malattie, solo negando tutto ciò si possono soddisfare tutte le tesi di partenza. Qualsiasi apertura ci porta a conflitti insanabili.
Niente più malattie genetiche, niente più malformazioni, solo eventi statisticamente rari, solo il mistero della vita e, come direbbe qualcuno dei sostenitori delle tesi di cui sopra, sia fatta la volontà di Dio.
C’è una strada alternativa per soddisfare tutte le tesi indicate?
Credo sia questo il senso del tuo ragioanmento ab absurdo.
Capovolgere la realtà comunemente accettata per renderla decifrabile. Sottrarsi allo scontro tra opposti schieramenti per rappresentare l’evidenza che la ricerca non va demonizzata, che non esistono risposte assolute.

Tanto per chiudere con un po’ d’ilarità, perchè tanti si ostinano a definire “nano” (e in più malefico) il nostro caro signor B., dovremmo al massimo definirlo “verticalmente svantaggiato”. Sarebbe politically correct, o no?
29 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ciao Harakiri, intanto anticipo che hai visto bene.
Appena trovo un attimo spiegherò il senso di quanto affermato sul tema delle malattie genetiche.

29 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, non ho commentato l’uso del termine “estremista” ma il senso compiuto della tua frase, per come l’ho intesa.

In ogni caso, alla tua frase non ho risposto con critiche ma con un auspicio e dichiarando apertamente che non rivolgo alcuna critica a te.
Ho, infatti, scritto:
<<“…difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato”, scrivi.
Vorrei che su questo punto si andasse oltre la semplice affermazione di principio e si iniziasse a discutere sul come realizzare questa pari dignità. Affermare la pari dignità, affermazione impegnativa che richiama immediatamente l’idea della “sacralità della vita sin dal concepimento” e l’affermazione dei “diritti del nascituro”, porta con sé l’obbligo morale e intellettuale di analizzare come possano concretizzarsi dignità e sacralità, come possano essere affermati, e quindi tutelati, i diritti del nascituro.
Porre sullo stesso piano nato e nascituro è un’impresa riuscita solo a livello verbale, ma da intellettuali, leader politici o spirituali non è giunto ancora un messaggio chiaro, una indicazione precisa di come tutto ciò possa realizzarsi, di quali siano le implicazioni sulla vita quotidiana e sull’organizzazione sociale. Se ci si ostina a proseguire su questo livello puramente verbale, non si farà alcun passo in avanti.
Questa non è una critica rivolta a te (come potrei dal momento che non abbiamo affrontato questo aspetto), ma la constatazione di quel che avviene a qualsiasi livello.>>

Ho quindi riportato l’atteggiamento frequente su questo tema dichiarando:
1) sono disposto e interessato a sviluppare questo tema purché non ci si ostini al puro livello declamatorio
2) non critico questa tua posizione perché non so nulla di come tu intenda realizzare questo obiettivo.

Perché allora scrivere di indebite deduzioni e preconcetti immotivati?
E' evidente che non ho alcun preconcetto verso chi sostiene la tesi della “pari dignità”, anzi ho disponibilità a discuterne (a una sola condizione che mi sembra ovvia: come realizzare il principio che si vuole affermare), e non esprimo alcuna critica nei tuoi confronti perché non so come intendi realizzare quel che ho inteso.
In altre parole, se non fosse ancora chiaro, non ho criticato un pensiero ma un atteggiamento ricorrente in chi sostiene quel pensiero, escludendo te da questa critica.
Ammesso che la tua frase fosse comprensibilissima e io ho preso lucciole per lanterne, non vedo proprio cosa nella mia replica, che ho riportato sopra, possa dare adito ad accuse di preconcetti.
Non ti ho iscritto in una categoria “prima di conoscere la tua posizione”; dal momento che avevo dato una specifica (e per me corretta) lettura alla tua frase eri tu che ti eri iscritto in quella categoria (e comunque ti ho escluso da ogni critica).

Riguardo all’utilità di una legge ho spiegato più volte che non è per me importante discutere sull’utilità o meno di una legge ma sul come si legifera.
Dal momento che è stato già sancito che nascituro e nato hanno diritto a un diverso grado di tutele, una legge che interviene su questa materia deve tener conto dell’insieme delle norme e raccordarsi con i principi giuridici già sanciti (oppure deve modificare questi principi). Se una legge non s’incardina con il sistema giuridico esistente, ma lo viola, allora è preferibile che non si legiferi perché una legge che cerca surrettiziamente di imporre a tutti una visione etica particolare è più dannosa di nessuna legge.
Con la legge 40, come con quella in discussione sul testamento biologico, si cerca di imporre a tutti una concezione particolare e determinata, che appartiene ad alcuni, violando l’ambito di auto-determinazione sancito da altre leggi e dalla Costituzione.
La legge tutela anche l’interesse collettivo e può, per questa finalità, limitare la libertà dell’individuo ma senza violarne i diritti fondamentali. Per esempio, per diritto naturale, un figlio è sotto la tutela dei genitori ma quel figlio è anche un soggetto giuridico titolare di diritti e quindi la legge impone alcuni obblighi (per esempio quello scolastico) nell’interesse del minore, che non potrebbe diversamente far valere i propri diritti, e impone limiti all’esercizio dell’autorità e dei mezzi “educativi”.
La questione si complica quando i due soggetti, meritevoli entrambi di tutela, sono titolari di diversi ambiti di tutela. Siamo in questo caso di fronte a diritti concorrenti e, semplificando, chi ha una tutela di grado inferiore deve essere tutelato finché questa tutela non lede o pregiudica i diritti di un terzo che ha una tutela superiore.
Imporre l’impianto dell’embrione solo perché in un determinato momento è stata fatta la scelta di accedere alla procreazione medicalmente assistita è pacificamente una violazione dei principi costituzionali (come hanno sempre sostenuto i “detrattori” della legge 40 e come ha sancito la Corte Costituzionale) e non c’era bisogno di essere un esperto giurista per rendersene conto.
Così come le linee guida che andavano ben oltre le disposizioni di legge fino ad introdurre “l’indagine osservazionale” è pacificamente contro la legge stessa.
Allora, e questo è il senso che io do al “meglio nessuna legge”, se si legifera allo scopo non di regolare l’ambito del lecito e dell’illecito ma allo scopo di affermare un valore etico determinato, non rispettoso delle tutele costituzionali, meglio persino astenersi dal legiferare. Personalmente ho inteso in questo senso la riflessione proposta dall’autore dell’intervento di apertura. Per una interpretazione “autentica” dovremmo chiedere lumi all’autore stesso.

Personalmente, riconfermo che a una politica che prevede bonus e riconoscimenti economici diretti preferisco servizi efficienti, impegno sul fronte educativo e preventivo.
Ho citato più volte la legge 194.
Ebbene questa legge è disattesa (dopo tre decenni) proprio riguardo a prevenzione e servizi (i consultori sono, per esempio, in numero inferiore rispetto a quello previsto per legge; e sul fronte della prevenzione delle gravidanze indesiderate si fa ben poco).
Propongo poi una riflessione su fino a che punto siamo disposti come collettività a farci carico delle scelte e dei comportamenti individuali.
Verissimo che talvolta non si mette al mondo un figlio per le problematiche che si farebbe fatica ad affrontare. Questo per me richiama la riflessione che propongo e che riporta alla scelta di come utilizzare (e determinare) le risorse.
Se vogliamo dare risposte adeguate a queste difficoltà dobbiamo necessariamente interrogarci su servizi, risorse e utilizzo delle risorse. Senza dimenticarci che c’è anche un problema terza e quarta età che spesso pesa su giovani famiglie in condizioni economiche non floride.
Non vedo la contrapposizione tra crescita demografica italiana e mondiale perché l’intersecazione dei due aspetti è strettissima e servono risorse anche per favorire lo sviluppo dei servizi nei paesi in via di sviluppo e il superamento delle condizioni che condannano a morte per fame milioni di individui.
La regolazione naturale del fenomeno demografico è alterato dalle nostre capacità tecniche e scientifiche va quindi affiancata da politiche che sviluppino la consapevolezza individuale: educazione contraccettiva, azioni mirate finalizzate al superamento delle discriminazioni di genere, programmi di educazione sanitaria e alimentare, campagne di sensibilizzazione… giusto per fare qualche esempio.
Non mi sembra produttivo, ogni volta che ci troviamo di fronte a un problema, restare immobili perché diveniamo schiavi del “rischio deriva”.
I modelli e le tecnologie avanzate di produzione vanno benissimo, purché ci si renda conto che c’è un limite anche a questo perché il pianeta è limitato e la crescita della popolazione mondiale deve essere accompagnata da una crescita della capacità di produrre beni alimentari. Non mi ripeto sulle conseguenze del nostro modello economico che si sta esportando in tutto il mondo; mi rifaccio a quanto già esposto.

Riguardo al tema della sensibilizzazione, della prevenzione e dell’educazione (anche alimentare) non ho ricette in tasca e non auspico sistemi basati sul “te la sei cercata”.
Propongo una riflessione ancora una volta sul come utilizzare le risorse. Spendere per prevenire è meglio di spendere per curare. Curare si deve ma cerchiamo di compiere ogni sforzo per prevenire.
Le risorse pubbliche sono limitate e non possono che derivare dalla tassazione diretta e indiretta. Non è assolutamente certo che queste entrate possano costantemente crescere senza depauperare la popolazione (ovvero, non è certo che il reddito pro-capite possa sempre crescere e quindi anche le entrate fiscali), mentre è certo che i costi dei servizi aumenteranno: per effetto del prolungamento dell’attesa di vita, per le patologie in stretta dipendenza del nostro sistema di vita…
A me sembra che su questi punti ci sia poca consapevolezza e discussione, rischiando di lasciare alle future generazioni una situazione insostenibile.

Ipsilon, hai una formidabile tendenza ad attivare polemiche inutili.
Chi promuove la procreazione come fattore di crescita economica si comporta allo stesso modo di quando considera la produzione di una qualsiasi merce come fattore in sé di crescita economica. Chi promuove la procreazione come fattore di crescita economica equipara il fare i figli alla produzione di una merce. Rileggi con attenzione quel che ho scritto e comprenderai che critico una affermazione (procreazione come fattore di crescita economica) proprio perché ho un’altra visione della crescita economica e non mi appartiene la cultura del fare figli per il “bene della nazione” o per dare “braccia ai campi”; chi invece considera la procreazione un fattore di crescita economica… compie a mio avviso un aggiornamento linguistico di queste vecchie logiche.
Ho la sensazione che per te la comprensione delle mie posizioni risulti complesa e difficile per la tendenza che mostri di avere per la polemica fine a se stessa e per la scarsa attenzione (o considerazione, non so) che riservi a quanto scrivo.
Della mutevolezza delle mie posizioni non ne ho ancora traccia.

Riguardo alla dottrina della Chiesa non mi pare il caso di aprire un altro fronte di discussione. Non mi interessa discutere le “motivazioni ufficiali” della Chiesa, mi basta ricordare che anche la Chiesa sul tema pianificazione familiare non ha una posizione di chiusura mentre è molto rigida sui mezzi da utilizzare. Mi interessa evidenziare che finché si parla di controllo delle nascite con riferimento a castità e giorni fecondi va tutto bene; appena si fa riferimento a mezzi e politiche più efficaci si è subito tacciati di egoismo.
Per quanto riguarda l’interpretazione che tu dai della dottrina della Chiesa ho già esposto le mie ragioni di critica. Se mi poni domande specifiche cercherò di rispondere.
29 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Scusate, nel mio precedente intervento manca un punto interrogativo al termine del quarto paragrafo. La frase corretta termina con "...prerogativa."?
29 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Riguardo alla tua interpretazione di "estremista", mi dispiace, ma ribadisco che hai interpretato male. Tant'è che la riformulazione della frase in "Non sono una persona che ha una posizione radicale rispetto alla difesa dei diritti di chi non è ancora nato al pari di un già-nato" è il risultato di una mera sostituzione sintattica della definizione derivante dal dizionario nella frase originale. Quindi qualsiasi altra interpretazione è, per forza di cose, errata.
Che tu abbia seguito, pacatamente, l'interpretazione errata dipende dal fatto che sei a conoscenza di persone "che non si considerano estremiste nel difendere i diritti del non-nato al pari del già-nato" e all'interno di questa categoria mi avevi iscritto prima ancora di conoscere la mia posizione (in altre parole, questo era un tuo preconcetto). Puoi averlo fatto in buona fede, ma ciò non cambia il fatto che il tuo errore è stato indotto dal credere, a priori, che io facessi parte di una categoria che già conoscevi, e in quelle parole ne hai voluto trovare conferma. Interpretare "non sono" come "non mi considero" richiede una certa «licenza poetica», altro che «interpretazione letterale».

"Queste posizioni esistono e quindi non sono preconcetti immotivati". Questa frase mi lascia del tutto perplesso... Anche il razzismo esiste, ma sei io pensassi che tu fossi razzista, avrei un preconcetto immotivato.

Sono in accordo con te quando dici che "illecito non può corrispondere a peccato o immorale", ma lo stesso uso che fai della parola illecito va nella direzione di sostenere la presenza di una legge che regoli la fecondazione assistita. E questo risponde in un modo specifico alla domanda posta dall'articolo "Fecondazione assistita. Ma perché occorre una legge?", risposta che è sempre stata anche la mia. Potremmo essere in disaccordo sui contenuti specifici della legge, ma credo che possiamo essere d'accordo sulla risposta da dare a questa domanda. O sto forzando le tue posizioni dicendo questo?

Infatti: attenzione agli scarti logici.
L'ambito del procreare è mio E è anche collettivo.
Dopotutto anche tu hai scritto:
"l’ambito” del procreare è “tutto mio”, ma, come per ogni esercizio di libertà e diritto, c’è un ambito collettivo dove interviene il diritto anche per affermare un valore sociale e un interesse sociale che va oltre il diritto individuale, limitando quello che una volta era l’indiscussa “patria potestà”, quasi un principio proprietario dei frutti della procreazione."
Questo non vuol dire che l'ambito "tutto mio" del procreare interseca anche l'ambito collettivo? Questo non è la stessa cosa che scrivevo il 3 aprile (3o intervento)
"Un'operazione di appendicite ha un risvolto sociale? E un'operazione al fegato? E la nascita di un figlio? La morte assistita di una persona? Ecco perché le ultime due NECESSITANO di una legislazione mentre le prime due no..."
e che riprendevo il 9 aprile (2o intervento)
"A questo proposito ribadisco che lo stato può e deve legiferare su questioni che hanno risvolti sociali. Si può discutere dei contenuti di tali leggi, di cosa ha un'effettiva rilevanza sociale, ma non si può discutere sul fatto che questa debba essere una sua prerogativa."

Riguardo la crescita demografica, argomento che ha riportato in auge Harakiri.
Mi sembra che l'errore di fondo stia nel condannare l'idea di una politica che favorisca la natalità in paesi come l'Italia in cui il bilancio nati-morti è inferiore allo zero usando come argomento il tasso di crescita di altre nazioni.
Ribadisco che sono favorevole all'introduzione di politiche a sostegno della natalità in Italia perché, oggi in Italia, si rinuncia ad avere figli non in virtù di qualche consapevolezza dell'equilibrio globale ma perché viene avvertito come una problematica (in particolare in termini economici) che non si riesce ad affrontare.
Non mi sembra di aver sostenuto che sono sufficienti e indispensabili i vari "assegni" che vengono spacciati, erroneamente, dalla politica come politiche di sostegno della natalità.
Peraltro ho scritto ampiamente di come non siano facilmente comprensibili le conseguenze di politiche attive di riduzione della natalità in paesi in via di sviluppo. Auspicavo, per contro, che, si cercasse di "affidarsi" al controllo naturale del fenomeno. Cioè, invece di intervenire direttamente sulla questione natalità (ove, scusate, l'instaurarsi di una deriva autoritaria sul modello indiano o cinese diventa un rischio concreto), suggerivo un'"esportazione" di modelli e tecnologie avanzate di produzione a beneficio della popolazione locale. Non vedo come questo possa portare ad un ulteriore crescita del tasso di nascite (che è diverso dal tasso di crescita). Invece ritengo che questo possa fornire un'inversione di tendenza perché (1) in primis si ridurrebbe il tasso di mortalità e (2) questo non comporta un aumento della crescita sul lungo periodo perché l'esperienza di benessere fisico/alimentare dovrebbe portare a un contenimento spontaneo delle nascite.
Non voglio sostenere che questo non possa avere conseguenze inattese, ma, almeno, siamo sicuri di centrare l'obbiettivo di miglioramento della qualità della vita.
E tutto questo partendo dalla considerazione che "responsabilizzazione" è un concetto condivisibile ma alquanto fumoso.

Ritengo di scarso respiro motivare politiche di sensibilizzazione al rischio diabete e obesità partendo dal presupposto economico di quanto la collettività è disposta a pagare le conseguenze economiche indotte da tali fenomeni.
A questo punto, infatti, si rischia di autorizzare implicitamente una visione del sistema sanitario in cui è lecito rifiutare una prestazione gratuita nel caso in cui il soggetto se l'è "andata a cercare".
Invece ritengo più opportuno partire da una concezione condivisa di uomo e incentivare interventi volti al suo raggiungimento. I costi, invece, sono da mettere in secondo piano (altrimenti si prenda l'esempio statunitense e si chiuda, così, un capitolo di spesa). La distinzione è sottile ma fondamentale.

Riguardo alle posizioni della Chiesa. Non volevo fare l'esposizione di un'interpretazione (personale) delle posizioni della Chiesa cattolica. Piuttosto volevo proporre, per come le conosco e l'ho comprese, le sue motivazioni. Accetto che la mia comprensione possa essere limitata e erronea ma, dato che tu la giudichi in questo modo, vorrei capire da te quali siano le motivazioni ufficiali della posizione dottrinale della Chiesa in modo che possa vedere dove e perché ho sbagliato. (Infatti mi pare di vedere alcune incongruenze nel tuo presentare, se potessi essere più esplicito...)

La questione del proporzionale mi sembra che abbia raggiunto proporzioni :-) grottescamente immense. Lascio perdere perché potrei andare avanti per pagine...

"I conti, quindi, vanno fatti bene e non condivido la persistente promozione della procreazione che si continua a spacciare come fattore di crescita economica, come se fare figli sia equiparabile alla produzione di una qualsiasi merce." Perché, ora ritieni che produrre merce sia un fattore di crescita economica? E il discorso sulle risorse sperperate nella produzione? :-) Perdonami la provocazione... ma a volte seguire le tue posizioni e interpretazioni così complesse e mutevoli non è facile.
28 aprile 2009 0:00 - Harakiri
OK, tutto molto interessante, schermaglie a parte.
Anch’io credo che sia quasi un tabù affrontare in modo organico e sistematico il tema della crescita demografica e che si sottovaluti l’impatto che ha su realtà drammatiche. Miseria, fame, condizioni di degrado ambientale, servizi sociali inadeguati sono problemi forti in una parte importante del mondo mentre l’altra parte picola e minoritaria ha storicamente preteso di soddisfare i propri bisogni con le conquiste coloniali e lo sfruttamento. Oggi queste strade sono superate e in parte sostituite da una forma di sudditanza culturale ed economica che si manifesta nell’esportazione in tutto il mondo del modello di sviluppo occidentale. Modello che non può costituire un esempio da seguire: una parte del mondo ha vissuto e vive al di sopra delle proprie possibilità bruciando più di quel che produce, ma se tutto il mondo brucia più di quel che produce il sistema salta.
Necessario ripensare il modello di sviluppo e arrivare al più presto a un equilibrio sostenibile, per non condannare una parte del mondo alla miseria.
In questa ottica, la crescita demografica è un aspetto da osservare con attenzione. L’idea che sia necessario incentivare la procreazione mi sembra faccia a pugni con la realtà e la dimensione reale dei problemi.
Mi sembrano logiche logore mentre becere sono quelle politiche che riducono tutto a un premio economico a chi fa figli o rinuncia all’aborto invece di ripensare e sviluppare i servizi sociali e la prevenzione.
Mi sembra sia stato Storace a proporre un premio economico per le donne che rinunciano ad abortire: demenziale!

Però, Sergio, vorrei capire meglio cosa intendi con la tua strana affermazione sulle malattie genetiche. Detta così in effetti mi trovo d’accordo con Ipsilon che è una affermazione insensata. Ho però la sensazione che tu abbia usato una strategia provocatoria di comunicazione. Ho l’impressione che tu abbia gettato l’esca di una affermazione paradossale per indurre una riflessione sugli sviluppi di ragionamenti e pensieri che, per quanto ti conosco, non ti appartengono.
Una strategia simile, se non ricordo male, l’avevi proposta con più successo sul tema dell’aborto e sulla pari dignità tra nati e nascituri. Se è così, il tuo comportamento non mi sembra politically correct, ma non credo che la cosa ti crei imbarazzo come d’altra parte non lo crea a me.
Illuminaci.
28 aprile 2009 0:00 - Sergio

Ipsilon, abbastanza evidente per chiunque che il costo di un figlio superi il beneficio fiscale che si riceve.
Sul valore dei servizi non sarei così sicuro.
Se dividi, per esempio, il costo del sistema scolastico per il numero degli allievi scopri che il costo pro-capite è rilevante e supera molto probabilmente il costo medio annuo di mantenimento di un figlio.

L’esempio che facevo sul pari reddito e sull’avere o non avere figli, introduceva una riflessione proprio sul “fino a che punto siamo disposti a farci carico come collettività delle scelte individuali”, fermo restando che ciascuno contribuisca in funzione delle proprie capacità ai servizi sociali.
Riflessioni che si iniziano a fare quando, per esempio, si varano programmi educativi per contrastare l’obesità e il diabete. Problemi che, se ci affidassimo esclusivamente alla “libertà di mangiare” che ciascuno di noi nel mondo ricco ha, finirebbero per porci di fronte a oneri insostenibili per ogni sistema sanitario pubblico. Come si varano programmi per contrastare il fumo, l’alcolismo e vorrei che anche rispetto alle droghe non ci fermassimo quasi esclusivamente alle politiche repressive.
Il singolo individuo chiede servizi perché paga le tasse, la collettività deve interrogarsi su fino a che punto possono e devono arrivare i servizi nell’offrire le varie prestazioni perché le risorse per i servizi non possono che derivare dalle tasse. E non ci stiamo a sufficienza interrogando su quali saranno a breve gli oneri rilevanti per affrontare i problemi della terza e quarta età.
I conti, quindi, vanno fatti bene e non condivido la persistente promozione della procreazione che si continua a spacciare come fattore di crescita economica, come se fare figli sia equiparabile alla produzione di una qualsiasi merce. Questa idea, oltre che falsa o almeno tutta da dimostrare, trovo sia proprio avvilente.

In ogni caso, non discutevo di sistema fiscale ma di consapevolezza collettiva e scelte individuali e con quel piccolo esempio (parità di reddito e contribuzione diversa in funzione dell’avere o non avere figli) rappresentavo anche la dimensione sociale della procreazione e degli interessi collettivi (scuola, sanità… sono interessi collettivi ai quali tutti devono contribuire aldilà dell’utilizzo che ne fanno).
Continuo a non comprendere il senso del tuo insistere su questa polemica sul “proporzionale” e sulle “interpretazioni fedeli” da attribuire a questo termine. Dovrebbe ormai esserti chiaro che ho solo ripreso, se vuoi in modo impreciso, se vuoi in modo frettoloso, ma ho solo ripreso la tua frase in cui scrivevi di “più che proporzionale” rispondendo alla tua domanda
“E' forse ingiusto il criterio del più che proporzionale?”
chiedendoti
“Chi ha mai affermato che non sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle entrate?”
Non ho inteso affermare che sia giusto il criterio proporzionale (tra l’altro introdotto da te con il tuo esempio e non da me) ma, ribadisco, riprendendo in modo impreciso la tua frase, ho inteso chiederti “perché mi fai questa domanda se ho scritto che è giusto che ciascuno contribuisca in base alle proprie capacità ecc ecc ecc”.
Hai compiuto la stessa operazione che ripeti quando scrivi
“Dove ho affermato che tu sostieni l'ingiustezza di tale sistema contributivo?”
Non ho scritto che tu affermi che per me è ingiusto il sistema contributivo “progressivo”; ti ho fatto notare che ti sei impuntato su una ripresa imprecisa di una tua frase, trasformandola nel perno di un discorso che non ho mai sviluppato, e ignorando quel che ho scritto mi hai rinfacciato quel che non trovi nelle mie parole.

La tua interpretazione della dottrina cattolica mi sembra …molto personale. E rasenta il grottesco.
In considerazione dei limiti che ciascuno vive, ritieni accettabile la temporanea chiusura verso la procreazione, ma solo utilizzando mezzi poco efficaci?
La contraccezione non è una chiusura a vita ma una chiusura temporanea in considerazione della condizione che si vive. E anche se fosse a vita, la dottrina della Chiesa sarebbe incoerente dal momento che non considera nullo il matrimonio non finalizzato alla procreazione al punto che per il diritto canonico può essere nullo il matrimonio in presenza di impotentia coeundi ma non quello in presenza di impotentia generandi.
Non è più responsabile, se non voglio ricorrere all’astinenza e valuto le mie condizioni non idonee per affrontare il compito di genitore, utilizzare metodi efficaci?
Sembrerebbe dalle tue parole che la Chiesa affermi che non è un bene avere rapporti sessuali senza scopo procreativo ma se proprio vuoi averli allora sei autorizzato a fare uso solo di metodi scarsamente efficaci. Insomma, o sei casto e continente oppure devi accettare il rischio del “tavolo verde”.
Comprendo e non condivido le posizioni della Chiesa su questa materia, come d’altra parte non le condivide la gran parte del popolo cattolico e una buona parte delle autorità ecclesiastiche.
Su quale sia il valore da attribuire alla Humanae Vitae nella Chiesa c’è gran discussione da diversi decenni.

Il 21 aprile hai scritto
“Non sono estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato, ma, se posso capire l'aborto per fini terapeutici, non mi sembra giusto permettere distorsioni a 360 gradi.”
Se mi dici che volevi intendere
“Non sono una persona che ha una posizione radicale rispetto alla difesa dei diritti di chi non è ancora nato al pari di un già-nato”
ne prendo nota ma non venirmi a dire che ho interpretato male.
Il significato di quanto hai scritto è esattamente quel che ho inteso: non mi considero un estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato.
Affermazione pienamente compatibile con la possibilità di prevedere “l’aborto per fini terapeutici”; possibilità che suona come una concessione dal momento che scrivi “se posso capire” (è per esempio la posizione di Ferrara; è anche la posizione della Chiesa: l’aborto solo in caso di serio pericolo per la vita della madre).
Non so proprio chi interpreterebbe le tue parole come tu proponi di interpretarle.
In ogni caso, come già scritto, prendo nota del senso che volevi dare alle tue parole, ma, per favore, non attribuirmi ancora una volta strani fini nel mio replicare ai tuoi scritti: mi ero attenuto al senso letterale che avevo inteso, sviluppando in modo civile e cortese una pacata riflessione sul tema della pari dignità.

Il resto della frase permetteva di comprendere… Comprendere cosa? La frase consentiva di comprendere, sempre per l'interpretazione letterale che ne avevo dato, che non appartieni a quella esigua minoranza che nega la possibilità di ricorrere all’aborto anche quando c’è pericolo per la vita della madre.
Vorrei capire poi quali sarebbero i miei “preconcetti immotivati” e quali le deduzioni che ne avrei ricavato. Mi sono limitato a considerare che non mi avrebbe scandalizzato una posizione del genere per il semplice fatto che non è una posizione nuova o insolita. Ma in ogni caso, perché definire preconcetti immotivati il pensare, in forza di ciò che hai scritto (e che ho ripreso nella mia replica), che tu possa essere allineato su determinate posizioni? Queste posizioni esistono e quindi non sono preconcetti immotivati.

La tutela dell’embrione è già da tempo oggetto di legge.
Non esiste il potere potestativo della donna sul feto; vale a dire, non esiste un “diritto all’aborto senza se e senza ma”, esiste la possibilità all’interno di determinate condizioni e tempi di interrompere la gravidanza.
Parallelamente, secondo me (e – vedi anche l’ultima sentenza della Corte Costituzionale – mi sembra si vada in questa direzione), va prevista la facoltà della donna di sospendere l’iter avviato di procreazione medicalmente assistita anche dopo l’avvenuta fecondazione.
La legge stabilisce dei limiti (è quel che avviene per esempio nel caso della IVG) ma l’ultima parola spetta alla donna.
Quindi, l’impianto “unico e contemporaneo”, il divieto di revoca del consenso sono “limiti” inaccettabili perché contrari ad altre norme di legge e al principio della gradualità delle tutele.
Il limite che non si possono creare embrioni a proprio uso e consumo, che non possono essere oggetto di commercio… sono invece limiti accettabili perché tutelano la “dignità” dell’embrione senza violare i diritti della persona.
L’alternativa non è quindi, come appare dalle tue parole, tra divieti e liberalizzazione sfrenata, ma tra opportunità di taluni divieti e considerazione che si deve avere verso chi è già persona e verso la gradualità delle differenti tutele.
La legge, stabilendo dei limiti rispettosi dei diritti fondamentali di ogni singolo individuo, dovrebbe segnare il limite tra il lecito e l’illecito.
Il tema è particolarmente delicato quando i soggetti da tutelare non sono a “pari dignità”; questo è quel che avviene tra nati e nascituri.
Illecito non può essere ciò che corrisponde a “peccato” o a “immorale” secondo una specifica visione della vita, ma ciò che arreca pregiudizio a un altro soggetto meritevole di tutela ma dal grado di tutela diverso da chi è già persona.

Ipsilon, attenzione agli scarti logici.
L’ambito della procreazione è tutto tuo, mio e di ogni individuo.
Ciò non significa che non ha “rilevanza sociale e collettiva”.
Pensa al diritto di parola e di pensiero: è un diritto assolutamente individuale, non subordinato alla qualità delle parole o dei pensieri, ma ogni pensiero e ogni parola ha valore sociale tanto che la legge tutela il diritto di esprimersi… anche quando si dicono sciocchezze; guai se qualcuno dovesse svolgere un esame preventivo del pensiero per evitare che circolino pensieri sciocchi. Ma, se le parole ledono il diritto di un terzo, ecco che interviene il potere della legge.
Allo stesso modo, il diritto di procreare: un uomo e una donna che vogliono procreare non devono chiedere il permesso a nessuno, non devono sostenere e superare un esame. In questa dimensione “l’ambito” del procreare è “tutto mio”, ma, come per ogni esercizio di libertà e diritto, c’è un ambito collettivo dove interviene il diritto anche per affermare un valore sociale e un interesse sociale che va oltre il diritto individuale, limitando quello che una volta era l’indiscussa “patria potestà”, quasi un principio proprietario dei frutti della procreazione.
La legge dice (banalizzo): tu puoi fare un figlio ma questa tua scelta ha un valore per la società che vigilerà sul tuo modo di crescere e accudire questa creatura e attento perché la legge potrà anche prendere sotto la propria tutela il frutto del tuo concepimento.
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Naturalmente il mio intervento sulla posizione della Chiesa rispecchia la mia comprensione personale, e quindi, magari erronea o limitata, della cosa.
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
(Messaggio off-topic ma credo che una risposta possa essere rilevante per tutti).

Perché vengono chiesti i dati "Nome" e, soprattutto, "Email" quando si posta un contributo? Che utilizzo se ne fa?
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Una questione importante, secondo me, è questa: quando la procreazione assistita smette di essere un trattamento sanitario (a cui è giusto poter negare, in corso, il consenso) e diventa qualcos'altro? In base a questa distinzione che emergono, di conseguenza, i limiti.

E, infine, dissento sulla questione "a chi spetta la tutela dell'embrione?". Infatti non capisco la frase "la risposta ai tuoi quesiti non può che essere che la tutela dell'embrione spetta alla donna". Il "non può che essere" argomenta poco la tua posizione. Infatti ritengo che, nel tuo caso, specificando poi "con dei limiti imposti per legge" vai a spostare la tutela ultima dell'embrione al limite imposto per legge (ribadendo, quindi, l'utilità di una legge a riguardo, indipendentemente che sia la 40 o meno). Che poi la donna decida di tutelare ancor di più l'embrione (ad esempio nel caso estremo di essere consapevole di un rischio fisico) è "solo" un grandissimo merito in più che va riconosciuto alla madre, non la sua fonte di tutela. Questo è un po' lo stesso principio, credo, del salario minimo: la legge (contrattazione collettiva e/o quant'altro) tutela il lavoratore stabilendo il livello minimo restando aperta la possibilità, per il datore di lavoro, di corrispondere più del minimo al lavoratore.

Sul fatto che "nessuno afferma che la procreazione sia un fatto esclusivamente privato" mi trovo, di nuovo, in disaccordo. Nell'articolo è presente la frase "ma perche' lo Stato deve impormi qualcosa in questo ambito tutto mio?". La mia personale interpretazione di "in quest'ambito tutto mio" è proprio quella che l'articolista vede la procreazione assistita come una faccenda privata.

Mi chiedo se vedi la differenza fra la qualità di discussione che si è instaurata e l'articolo stesso.
Fra i vari esempi che ti posso citare te ne propongo uno. Nell'articolo si cerca di motivare la "non assunzione di carne di maiale in Paesi dal clima torrido in cui l'assimilazione di tali proteine da parte dell'organismo è complessa" come un atteggiamento dettato "dalla salvaguardia della propria salute" ma non in quanto tale, bensì "per meno incidere sui costi della pubblica amministrazione". Ti sembra possibile che si possa parlare, nel tempo in cui questo divieto è nato, della salute come "un costo per la pubblica amministrazione"? E la stessa cosa vale per la carne di Venerdì (come se la carne fosse l'alimento quotidiano del popolo!).
Ho avuto impressione che nell'articolo si facesse un unico grande calderone senza fare la disanima che occorre su questi argomenti.
Di conseguenza, ritengo personalmente che lo scopo dell'articolo fosse la creazione generica di consenso senza effettuare le dovute riflessioni, cioè ci si comportati come la stessa politica che si vuole criticare.
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Utilizzo la parola estremista nella definizione propria del termine: "che, chi ha una posizione radicale rispetto a qcs. e ricorre a metodi drastici per imporla". La posizione radicale è specificata dal resto della frase "nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato". La frase diventa: "Non sono una persona che ha una posizione radicale rispetto alla difesa dei diritti di chi non è ancora nato al pari di un già-nato e che ricorre a metodi drastici per imporla". Questo è ancora più chiaro dal proseguo della frase. Se non mi considerassi estremista nel difendere i diritti del non-nato al pari del già-nato, e, quindi, se trovassi naturale voler equiparare i due diritti, come potrei ammettere l'aborto terapeutico? Come vedi c'erano tutti gli elementi per giungere all'interpretazione originaria.
Non commento sul tuo dedurre una cosa completamente diversa partendo da preconcetti immotivati ("non mi scandalizzo perché c'è chi la pensa così").
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Riguardo a Chiesa e pianificazione famigliare, secondo me, trascuri un particolare importante. Voler aver quasi-certezze, come quelle che offrono i contraccettivi non-naturali, significa rifiutare la propria capacità generativa e di accoglienza, ovvero significa voler squalificare la propria persona, dato che la capacità di procreare e di accogliere il dono di Dio che è un figlio sono qualità essenziali della dignità umana.
Riconoscere i propri limiti e prendersene la responsabilità è, d'altra parte, l'unico modo per accettare se stessi e, quindi, riconoscersi figli di Dio.
Quindi una politica di pianificazione famigliare che si fonda sull'utilizzo di contraccettivi artificiali è un modo per vendere il bisogno del rapporto coniugale come un bisogno che viene prima di tutto, prima della propria coscienza e della capacità di controllo di un istinto fondamentale, come un atto che non deve avere conseguenze. Questo, per come conosco io la posizione della Chiesa, squalifica la dignità dell'uomo.
Entrambi condannate politiche non rispettose della dignità umana, ma non vi trovate in accordo su quali sono le politiche che la squalificano. Ecco perché c'è una differenza, per la Chiesa, fra i due modi di affrontare la questione.
Sei troppo intelligente per fermarti al puro "mezzo" di castità, continenza e compagnia bella. Cerca piuttosto di comprendere i motivi di questa posizione. Poi si può essere d'accordo o meno, ma almeno non si cade nella strumentalizzazione della posizione cattolica.
25 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Nessuna disattenzione verso il mio interlocutore, alcune cose che si scrivono possono essere non recepite completamente da chi legge.
Infatti nella mia replica al tuo intervento dell'11, sostenevo che, seppur fosse vero che una famiglia con figli, rispetto a un nucleo di pari reddito senza figli, usufruisce di più servizi e paga meno tasse, essa sostiene dei costi diretti per la crescita dei figli che vanno ben al di là del vantaggio impositivo e di fruizione dei servizi. Cioè, per farti arrivare meglio il messaggio, se sommi i costi, ad esempio, di cibo e vestiario superi velocemente la cifra che la famiglia risparmia con deduzioni e detrazioni varie. Questo a sottolineare che una famiglia che decide di avere dei figli non lo fa per un vantaggio economico.
A questo punto mi rispondi ribadendo la differenza tra quanto si paga e quanto si riceve. Come leggere questo se non come "una famiglia senza figli si trova svantaggiata nel bilancio costi/benefici, ovvero paga di più e riceve di meno" addebitando la responsabilità di ciò alle famiglie (sconsiderate) con figli.
La mia risposta illustra un ulteriore esempio in cui si ha una differenza tra quanto si paga e quanto si riceve, scollegato dal pari-reddito, concludendo con una domanda retorica "ti sembra ingiusto il criterio più-che-proporzionale? O sono irresponsabili anche gli operai che contribuiscono di meno?". Questo per dire che, siccome entrambi concordiamo sul criterio più-che-proporzionale, il fatto di far pagare, in parte, la scuola dei propri figli anche a chi non ha figli non può essere considerato come la conseguenza di una qualche azione irresponsabile. Altrimenti, infatti, dovremmo considerare irresponsabile anche un operaio che non cerca o non ha cercato in tutti i modi di migliorare la propria capacità contributiva. E' semplicemente un ragionamento per assurdo.
A questo punto, però, salti a conclusioni del tutto arbitarie: "chi ha mai affermato che non sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle entrate?". Dove ho affermato che tu sostieni l'ingiustezza di tale sistema contributivo?
E, quando hai utilizzato (mi dispiace che ti annoi) il termine "proporzionale", l'interpretazione più fedele, senza voler esser pedante, è quella della proporzionalità stretta.
Come vedi (e come è naturale che sia) entrambi deduciamo concetti dalle parole dell'altro. Altrimenti la frase rimarrebbe una sequenza di parole senza senso. Sfortunatamente, a volte, questo induce errori comunicativi. Non potrei anch'io "accusarti" di leggere quello che vuoi dalle mie parole? Fare dietrologia e accusarmi vuotamente non si muove, certo, nella direzione di rispettare l'interlocutore.

Quello che sostengo è che il bilancio fra quello che impiega una famiglia per crescere un figlio e quello che la società gli offre (sia in termini di sconti fiscali che di servizi) è a sfavore del patrimonio famigliare. Quindi mi pare assurdo sostenere che la società si impoverisce perché si fanno figli. La famiglia si "impoverisce", non la società. Resta l'argomentazione della finitezza delle risorse globali, ma quello è un altro discorso...
24 aprile 2009 0:00 - Sergio
L’art. 13 che citi riguarda la tutela dell’embrione (come recita il titolo del Capo VI della legge: “Misure di tutela dell’embrione” e regola la “Sperimentazione sugli embrioni umani” (oggetto dell’art. 13).

Non comprendo perché lo citi per poi chiedermi “Ti sembra che la mia "fissazione" sulla tutela della salute della madre non abbia fondamento giuridico?”

L’art. 13 non riguarda la salute della donna; riguarda la tutela dell’embrione che va bilanciata con l’esigenza di tutela della salute della donna; qui entra in campo l’art. 14, valutato incostituzionale nel punto in cui non prevede la valutazione dell’eventuale pregiudizio per la salute della donna.

O forse volevi scrivere “Ti sembra che la mia "fissazione" sulla tutela dell’EMBRIONE non abbia fondamento giuridico?”
Se è così, quando ho affermato che la tutela dell’embrione non ha fondamento giuridico?
Ho sempre affermato che esistono tutele diverse tra chi è nato e chi non è ancora nato.
In altre parole, il nascituro ha dei diritti, è meritevole di tutela, non esiste un potere potestativo della madre sul feto, ma il non nato ha un livello di tutele diverso da chi è già persona.

L’art. 13 consente le analisi diagnostiche e terapeutiche finalizzate alla tutela e allo sviluppo dell’embrione e, contemporaneamente, limita le possibilità di intervento escludendo ogni possibilità manipolativa o alterativa del patrimonio genetico, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche.

Non ci sono dubbi: è escluso ogni intervento finalizzato a selezione eugenetica o a predeterminare caratteristiche genetiche (sesso, colore degli occhi… sono escluse).
La tua (non solo tua, fortunatamente) preoccupazione, riguardo a “desideri e aspettative” che non rientrano nel concetto di salute della donna, è ben presente nell’articolazione che citi (leggi attentamente la lettera b comma 3).
Attenzione però a non commettere l’errore che commetti quando scrivi “vorrei che venisse tutelata la dignità dell'embrione a meno che farlo significasse compromettere l'incolumità fisica della madre”.
Il nostro sistema giuridico e costituzionale, che riflette la nostra civiltà in senso lato, estende la tutela della salute a tutti gli aspetti e non solo a quella “fisica”. Questo può non piacere e il nostro sistema pluralista consente che sia il soggetto interessato a prendere la decisione, ma mai potremo tornare a una concezione che appiattisce il ruolo della donna a semplice “fattrice” tanto da preoccuparcene solo se la gravidanza dovesse metterne a rischio la vita. Quando si facevano questi discorsi all’alba degli anni ’70 del secolo scorso qualcuno argutamente aggiungeva: “Non lasciamola morire, perderei la domestica!”
Abbiamo così casi di donne che preferiscono portare a termine una gravidanza anche a rischio della propria vita e donne che decidono in senso contrario: rispetto in uguale misura entrambe le decisioni perché in queste circostanze il mio personale giudizio diviene irrilevante.
I paletti dunque ci sono.
Il limite diagnostico e terapeutico è ben definito: riguarda tutto ciò che è considerato “malattia”. Le tue preoccupazioni sono pertanto fuori luogo, tranne il caso in cui tu non fossi d’accordo sul fatto che si tratti di malattie (e qui torna in ballo ciò che consideri una mia affermazione insensata, sulla quale tornerò).

La questione importante che poni è, a mio avviso, a chi compete la tutela dell’embrione e, conseguentemente, ogni decisione in merito all’impianto e alla gravidanza.

Credo sia un quesito per il quale la migliore risposta possibile è in ogni caso un “compromesso accettabile”.

La tutela dell’embrione deve essere bilanciata con l’esigenza di tutela della donna. La gradazione di queste tutele è differente perché sinora non siamo riusciti a trovare una soluzione più soddisfacente essendoci in gioco diritti concorrenti: quelli del nascituro e quelli di chi è già persona. Ecco perché ho tentato di ampliare il tema pari dignità, diritti del nascituro, sacralità della vita sin dal concepimento.

Se accettiamo il principio delle gradualità delle tutele (e se provassimo a rimuoverlo ci renderemmo conto dell’impossibilità di mettere sullo stesso piano nascituro e nato) la risposta ai tuoi quesiti non può che essere che la tutela dell’embrione compete alla donna (e alla coppia, ma anche qui dovremo riconoscere un diverso ruolo e potere all’uomo e alla donna, in favore della seconda ovviamente) con l’ausilio del medico e con dei limiti imposti per legge.

Limiti di legge che devono essere ben calibrati e ponderati per evitare che questa materia, ostica per definizione, diventi terreno di mercanteggiamento politico, speculazioni politiche, perenne occasione di scontro nelle aule dei tribunali, sempre sulla pelle dei soliti cittadini che vivono con sofferenza una determinata situazione.
Quindi, per esempio, no alla selezione eugenetica per predeterminare caratteristiche genetiche; limiti temporali per il ricorso all’aborto. Assolutamente favorevole
> alle diagnosi pre-impianto
> al rifiuto dell’impianto
> alla revocabilità del consenso alla procreazione assistita.
Perché se una donna si è sottoposta a dei trattamenti per accedere alla procreazione medicalmente assistita e poi richiede le analisi pre-impianto, significa che ha consapevolezza di non essere pronta ad affrontare determinate situazioni. Allora preferisco che sia messa subito nella condizione di fare una scelta. Dubito, inoltre, sulla correttezza costituzionale, ma anche etica e sociale, di una norma che non consente di retrocedere da una decisione precedentemente assunta riguardo a un trattamento sanitario. Esistono norme di gerarchia superiore, costituzione e convenzioni internazionali siglate anche dall'Italia, che a mio avviso sono violate con queste disposizioni di legge.

Scrivi di non equiparare i diritti del nascituro a quelli del nato; spiegami per cortesia cosa intendi quando affermi “Non sono estremista nel difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato”.
Volevi intendere “non sono così estremista da difendere…”?
Se è così il mio argomentare sul punto non ti tocca…
Io avevo inteso la frase nel senso “Non mi considero estremista nel difendere” la pari dignità tra nato e nascituro.
Mi concedi che questa interpretazione è corretta stando a quanto hai scritto?
La cosa non mi avrebbe scandalizzato poiché c’è chi la pensa così.

Riguardo all’intervento di apertura di questa discussione, a mio avviso è stata espressa una riflessione sull’utilità di una legge (e di un modo di legiferare) che va oltre il disciplinare e finisce per imporre una visione etica definita che non tiene conto della pluralità dei soggetti cui è rivolta.
Nessuno afferma che la procreazione sia un fatto esclusivamente privato; infatti, esistono innumerevoli leggi che sostengono la procreazione, la maternità… e nessuno ha contestato che si spendano 2milioni all’anno per combattere la sterilità e l’infertilità.
Ti risulta che qualcuno abbia proposto di abolire le detrazioni fiscali per i figli a carico o i permessi per paternità o i mesi retribuiti durante la maternità?

Suvvia, la dimensione sociale della maternità e della procreazione è una conquista civile indiscussa.
Al massimo quel che qualcuno sommessamente chiede è che ci siano più servizi efficienti a sostegno della famiglia e più mezzi per la prevenzione delle situazioni di disagio. Magari che si istituiscano i consultori nella misura prevista per legge, che si spenda un po’ di più per educazione sessuale e prevenzione delle gravidanze indesiderate… I dati ci dimostrano che il 46% degli aborti è praticato da donne coniugate; e separate\divorziate e vedove rappresentano un altro 7% delle IVG totali. Riguardo all’età sono più numerosi gli aborti tra le over 40 rispetto alle minori di anni 19; il 64% delle IVG riguarda donne in età compresa tra i 25 e i 39 anni, non esattamente ragazzine…
Tutto questo non ci dovrebbe suggerire che c’è molto da fare rispetto a prevenzione, informazione e responsabilizzazione?
Se vogliamo lasciare tutto alla famiglia (perché la TV in tema di sesso offre solo tette e qualche scopata e la scuola offre poco o nulla) come possiamo pensare che madri che abortiscono e padri distratti eiaculatori siano in grado di educare figli sessualmente consapevoli e responsabili?
Al massimo cresceranno figli sessualmente maturi…
E se non si è responsabili nella gestione di Walter e Jolanda come possiamo pensare che poi si diventi improvvisamente responsabili quando siamo di fronte a quel che qualcuno considera un “grumo di cellule”?
Sto rischiando di scadere nella trivialità… ma si sta facendo molto per raggiungere vette inesplorate di trivialità, vette dalle quali sventolare belle bandiere etiche che serviranno solo ad incantare i piccioni.
23 aprile 2009 0:00 - Sergio
Riguardo alle autorità spirituali, ti ricordo che a un certo punto della discussione hai fatto riferimento proprio alla Chiesa Cattolica e alle sue posizioni considerate da alcuni oscurantiste.
Ho sul punto affermato “Non mi interessa, in questa sede, discutere la posizione della Chiesa. Ritengo che sia legittima ogni posizione purché non si pretenda di trasformare un precetto etico in legge, in obbligo”.

Dal momento che tu liquidi come ciniche ed egoistiche le mie attenzioni al tema demografico e alle ipotesi di sviluppare le politiche di contenimento della crescita demografica, mi sembra opportuno ricordare che persino la Chiesa Cattolica non esprime una condanna della “pianificazione familiare” ma solo dei metodi contraccettivi diversi da quelli naturali.

La differenza tra la mia posizione e quella della Chiesa è solo nei mezzi da utilizzare, mentre concordiamo, io e la Chiesa, sul fatto che vadano condannate tutte le politiche che non siano rispettose della dignità umana.

In altre parole, chiedo: perché tutto va bene se si parla di pianificazione familiare con riferimento a castità, continenza, periodi non fertili… mentre se prendiamo in considerazione altri mezzi si diviene cinici ed egoisti?
23 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ipsilon, visto che insisti continuiamo su questo tema.
Devo, allora, necessariamente ricostruire i diversi passaggi.

L’11 aprile scrivo:
“I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive. A usufruirne sono i singoli cittadini in relazione ai bisogni. Chi ha tanti figli paga meno e usufruisce di più. E’ giusto perché c’è un interesse collettivo da tutelare. L’istruzione, la salute… sono interessi collettivi. Ecco perché preferisco servizi efficienti a contributi economici diretti al soggetto.”

La tua replica sul punto è:
“Il misurare quanto pago in tasse e quanto ricevo in servizi mi pare la politica populista di un certo partito che auspica la divisione dell'Italia. Se penso, poi, ai costi che una famiglia numerosa deve sostenere direttamente e ai costi che deve sostenere la collettività per quei figlioli in più, il confronto mi pare assolutamente impari!”.

Replico il 14 aprile scrivendo:
“I conticini poi vanno fatti come si deve. Chi non ha figli e non è sposato o lo è ma la coppia è mono-reddito paga più tasse di un pari reddito con figli. Il primo contribuisce quindi a scuola e sanità più del secondo che, ovviamente, usufruisce di più di questi servizi”.

Il 15 aprile scrivi:
“Se i conticini vuoi farli bene falli bene fino in fondo. Se io guadagno 200000eur l'anno non pago 10 volte le tasse di chi guadagna 20000eur l'anno ma di più (Berlusconi non vorrebbe così ma per ora non mi sembra che sia cambiata la cosa). E se stiamo a considerare il dato assoluto è ancora peggio. Eppure la qualità dei servizi che ricevo non cambia: anzi, magari mando i miei figli a una scuola privata pagando due volte, per la pubblica di altri, e per la privata dei miei figli. E' forse ingiusto il criterio del "più che proporzionale"?”

Infine, il 17 aprile ho scritto:
“Chi ha mai affermato che non sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle entrate? Ho testualmente scritto “I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive”.

Se rileggi con attenzione questi passaggi ti accorgerai che la tua replica del 15 aprile non ha alcun riferimento a quanto da me scritto e lascia intendere cose che non ho detto.
Io scrivo di persone a parità di reddito che pagano più o meno tasse in relazione al non avere o avere figli e di utilizzo inverso dei servizi (in termini quantitativi) in ragione del non avere figli o avere figli. E avevo in precedenza chiarito che ”I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive. A usufruirne sono i singoli cittadini in relazione ai bisogni. Chi ha tanti figli paga meno e usufruisce di più. E’ giusto perché c’è un interesse collettivo da tutelare”.
Tu replichi scrivendo di persone con reddito diverso e di qualità dei servizi come se a più tasse pagate dovesse corrispondere una migliore qualità dei servizi erogati (come dire, operaio, poche tasse = pessimi servizi; riccone, tante tasse = ottimi servizi; avevo intuito che non era questo che volevi affermare e quindi mi ero astenuto dall’inutile polemica) e introduci la frase interrogativa “è forse ingiusto il criterio del più che proporzionale?”.
Ma da cosa nasce questa domanda se non dal fatto che hai letto e compreso quel che hai voluto? Cosa dai miei interventi autorizzava questa tua supposizione?
Non è stato forse da te introdotto un esempio basato sull'ipotesi della proporzionalità mentre io scrivevo di "parità di reddito"?
Sorvoliamo poi sulla politica populista e sulla volontà di dividere l’Italia… basterebbe vedere da chi arrivano le proposte bonus bebè o premio per i bambini italiani DOC.

L’unico appunto che mi puoi fare è che nella mia replica del 17 ho ripreso il tuo termine “proporzionale” e non l’intera espressione “più che proporzionale” (espressione dal significato incerto)… Ma tutto il tuo insistere e supporre su questo tema è assolutamente fuori luogo perché era inequivocabile quanto già da me affermato sul punto. Come fuori luogo sono sul tema i tuoi esempi che spostano di continuo il tema in discussione introducendo deduzioni impropriamente ricavate da mie affermazioni.
Procedendo in questo modo, una discussione pur interessante e ricca, cosa rarissima, fa fatica a crescere.
Ti sembra abbia senso polemizzare su una svista, dovuta esclusivamente alla noia di doversi ripetere su concetti espressi con chiarezza?
Comprendi perché ti chiedo di prestare più attenzione al tuo interlocutore? Comprendi perché ti invito a non dedurre stravolgendo quanto l’interlocutore scrive?
E se non lo comprendi, mi dispiace per te ma ti assicuro che su questo punto non tornerò più.
23 aprile 2009 0:00 - Ipsilon
Assolutamente è quel che avviene ed è questo che difendevo. Parimenti, come indicavi "in base alle proprie capacità contributive" hai anche indicato "Chi ha mai affermato che non sia giusto prevedere una contribuzione proporzionale alle entrate?" mentre il criterio applicato, progressivo o più-che-proporzionale che dir si voglia, lasciando un'ambiguità di fondo su cosa intendessi.

Credevo che la posizione "delle autorità spirituali" fosse del tutto ininfluente ai fini di questa discussione. Quindi non trovo pertinente il tuo partire dalla posizione della Chiesa ed interrogarmi su questo scarto. Non che le motivazioni non ci siano, semplicemente sono al di fuori di quello che stiamo parlando.

Continuo a non capire, senza sottintesi polemici, la tua posizione su errore genetico. E nel tuo spiegare non capisco il gioco delle deduzioni che inneschi. Non sono forse disponibili, a tutt'oggi, cure per malattie genetiche? Mi sono mai dichiarato "contro"? Ho lasciato intendere di essere contro a tali cure (odierne o future)? Non vedo come non riconoscere in un fattore genetico la responsabilità di una malattia possa portare ad alcunché di positivo (quali le conseguenze che tu prospetti se tutti la pensassero come te). Seriamente: se credi che sia una cosa importante, potresti spiegarti meglio?

Mi spiazzi chiedendomi "Può una legge porre a fondamento di una scelta individuale l’essere o no in una determinata situazione? A quale principio giuridico o etico risponderebbe questa subordinazione?". Immagino che le parole che usi richiamino concetti ben precisi, che non credo di conoscere pienamente. Il massimo che posso fare è ragionare per analogia, per cui ti prego, sii paziente e correggimi se sbaglio. Normalmente viene considerato reato procurare danni fisici a qualcuno intenzionalmente. Questo nel caso in cui il procurare danni fisici sia il fine o il mezzo per ottenere qualcosa. Mi sembra di capire, anche se fortunatamente non mi sono mai trovato nella situazione, che procurare danni fisici se il fine è quello di difendersi da qualcosa che non si può evitare, si è, in qualche modo, tutelati dalla legge. Capisco che le sottigliezze, in questo caso, siano tante e che, ignorandole, cammino su pezzi di vetro. Non è questo un esempio di come la legge considera la situazione specifica in cui il soggetto si è trovato al momento della decisione? Cosa viene tutelato in questo caso? Non mi sembra che il "salvare il patrimonio" sia considerato "un buon motivo". Dato che concordo con questo, allo stesso modo vorrei che venisse tutelata la dignità dell'embrione a meno che farlo significasse compromettere l'incolumità fisica della madre. Non ho mai proposto di stillare una lista di patologie per cui l'aborto andrebbe ammesso: questo, come hai giustamente detto, sarebbe qualificare alcune persone come di serie B. Parimenti mi sembra che ammettere incondizionatamente, cioè in ogni momento e per ogni motivo, l'aborto sia pericoloso. E' questo a cui ti riferisci con autodeterminazione? A poter arrestare la gravidanza all'ottavo mese perché la madre (o entrambi i genitori) decidono di non voler effettuare la "transizione di stato"? Non hanno già effettuato la loro scelta di autodeterminazione qualche mese prima?
Vuoi chiamarla posizione etica? Mi sta bene. Insisto però sul fatto che, in qualche modo, l'autodeterminazione dell'individuo va limitata per legge quando l'esercizio di essa ha ripercussioni sulla società.

La precisazione in merito al potere della corte costituzionale di cancellare provvedimenti legislativi o loro parti è doverosa, precisa e puntuale. Tale esercizio di potere, però, è ammissibile solo sulla base dei contenuti della costituzione (o comunque in base alla gerarchia delle fonti) e non si configura come un esercizio libero da parte di questa (come lo è il potere legislativo del parlamento). Se ho capito bene, dato che il parlamento (o chi per esso) deve operare all'interno della costituzione, un provvedimento che va nella direzione di contraddirla deve essere cancellato dalla corte costituzionale. Quindi la limitazione del potere legislativo è presente ed è la costituzione, non la corte costituzionale.

Credo di aver scritto piuttosto esplicitamente nel mio precedente intervento che non equiparo i diritti del nascituro a quelli del nato. D'altra parte non voglio affermare che il nascituro non ha alcun diritto e che non ha dignità. Cosa separa il neonato di 10 minuti, dal feto di poche ore prima?
Questo mi richiama alla mente un famoso paradosso logico che ti vado ad esporre. "Se hai un mucchio di sabbia e togli un granello, ti rimane un mucchio di sabbia, giusto? Ripetendo innumerevoli volte questo processo otterrai un mucchio di sabbia composto da un solo granello. E se togli anche quest'ultimo granello passi da un mucchio di sabbia a un non-mucchio di sabbia.". C'è qualcosa che non funziona. E per lo stesso motivo che non credo che il procedere logico sia una strada ammissibile per legiferare (o non legiferare) in un ambito. Abbiamo quindi bisogno di un modo diverso di operare. Allo stesso modo trovo oltraggioso l'introduzione di provvedimenti legislativi sulla base dell'opinione pubblica del momento. Questo indipendentemente dal contenuto del provvedimento, proprio perché è stato prodotto con il fine di ottenere consenso politico/elettorale.

Legge 40. Rimanendo sul piano squisitamente giuridico, leggo all'articolo 13 (riporto alcuni estratti che non dovrebbero modificarne il senso) "1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.
3. Sono, comunque, vietati:
a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;".
Ti sembra che la mia "fissazione" sulla tutela della salute della madre non abbia fondamento giuridico?
Per quanto ci capisco io, il comma 3b consente di effettuare accertamenti diagnostici e terapeutici solo in accordo al comma 2. Corretto? Ma il comma 2 non recita che la ricerca sull'embrione è ammessa solo per tutelare la salute dell'embrione stesso?
Mi sembra di capire, con le mie limitate competenze, che la legge tutela la salute dell'embrione. E' corretto? Mi sembra di poter capire che la diagnosi pre-impianto potrebbe essere ammessa dalla legge (al di là delle mie convinzioni morali/etiche o come le vuoi chiamare) solo se la finalità è quella di tutelare la salute dell'embrione. A questo punto, però, mi fermo e mi (ti) chiedo: cosa significa ciò? a chi spetta il compito, concretamente, di tutelare la salute dell'embrione? Cioè, chi dovrebbe decidere se procedere o non procedere con l'impianto? Perché (nel senso, come si concilia con la tutela della salute dell'embrione)?

Nel paragrafo precedente ho cercato di attenermi, letteralmente, al testo della legge. Ora mi chiedo: in un articolo in cui (lo dice il titolo stesso) si suggerisce la possibilità di non avere una legge in materia di fecondazione assistita, tu mi chiedi, nei commenti all'articolo, di attenermi al piano giuridico della legge 40? Non si parlava, nell'articolo, solo di cambiarla per i motivi di incostituzionalità, ma ben altro, di andare a cancellarla per dare spazio alla libertà individuale. E questo concetto di liberizzazione *estrema* non lo accetto come principio fondante della società civile in cui vivo.
Tempo fa difendevi (correttamente, a mio avviso) l'introduzione di norme di sicurezza come casco e cinture perché il loro non-uso potrebbe provocare ricadute sulla collettività. Quali ricadute provoca?

Esiste un solo tempo... vero.. ma su scale universali. Nel mondo naturale l'osservazione dei fenomeni è sequenziale. Vuoi forse intendere "contemporaneità" con la locuzione "un solo tempo"? O intendi altro? Non mi lancio in ulteriori supposizioni proprio per rispetto dell'interlocutore.
22 aprile 2009 0:00 - Gianni
@sergio
Doveroso, ma era chiaro l'autore. Ottimo come sempre.
Gianni
22 aprile 2009 0:00 - Sergio
Ho dimenticato di inserire il mio nome nell'ultimo intervento che appare inserito da "Anonimo".

L'intervento è mio, mi scuso con i lettori.
22 aprile 2009 0:00 - anonimo
“In primo luogo, sono un convinto sostenitore del più-che-proporzionale e non solo del proporzionale, perché ritengo corretto che chi ha di più, dia, in proporzione, più di chi ha di meno. E questo non l'ho trovato nelle tue parole”.

E non lo troverai, Ipsilon, se vuoi leggere e intendere solo quel che vuoi. Ho usato le parole nette e comprensibili “in base alle proprie capacità contributive” dove è la legge a stabilire quanto pagare in funzione delle entrate e il nostro sistema con il meccanismo delle aliquote crescenti soddisfa pienamente il principio di solidarietà sociale. La percentuale sul reddito è un criterio proporzionale; più che proporzionale, che significa? Percentuale crescente col crescere del reddito? E non è quel che avviene?

Vogliamo procedere con questi rintuzzamenti polemici e improduttivi?
Preferisco sorvolare e non replicare agli spunti polemici che mi offri con tanta generosità. Mi soffermerò, quindi, solo su alcuni aspetti del tuo intervento; quelli che a mio avviso meritano un approfondimento.

Nessuno ha mai negato che per l’individuo possa essere fondamentale la possibilità di procreare (sul senso della frase "produrre braccia per i campi" mi sono già espresso e a mio avviso non aveva il significato di negare valore alla procreazione). Limitare questa possibilità attraverso la scelta della castità e della continenza, significa privare l’individuo della possibilità di realizzarsi o significa richiamarlo a un senso di responsabilità e consapevolezza?
Se è lecito per le “autorità spirituali” parlare di umanizzazione della sessualità, non è altrettanto lecito pensare ad altri strumenti di umanizzazione della sessualità, nel caso magari la spinta spirituale non raggiunga alte vette?
E tra questi strumenti, “altri” rispetto a castità e continenza, non possono rientrare anche contraccettivi e politiche di educazione alla genitorialità, politiche di educazione all’esercizio delle libertà, compresa quella sessuale e procreativa?
Perché deve essere lecito parlare di pianificazione familiare solo con riferimento a castità e continenza o a Ogino-Knaus? Forse la Chiesa Cattolica, che considera leciti i rapporti sessuali coniugali non a scopo procreativo e i metodi naturali di pianificazione delle nascite, ha una visione cinica ed egoista dello sviluppo? Perché, allora, si diviene cinici ed egoisti se a questi mezzi si aggiungono altri strumenti disponibili senza violare la dignità della persona?
Tutto va bene se scegliamo strumenti che si sono rivelati poco efficaci, mentre è inammissibile proporre un impegno più costante e massiccio nel campo dell’informazione all’uso dei contraccettivi, dell’educazione sessuale, della formazione rivolta alle responsabilità della vita adulta…? Francamente non ho ancora compreso le ragioni di questo scarto logico.

Riguardo alla procreazione medicalmente assistita, cerchiamo di fare un po’ di ordine.
Prendi spunto da una legge, e dichiari di volerne discutere, ma compi l’operazione di cercare nella legge conferme a tue convinzioni etiche per poi passare, laddove le conferme non ci sono, al campo delle ipotesi giuridiche.
Se vuoi esprimere le tue convinzioni etiche, dichiarale senza usare la legge come pretesto dialettico. Il mio, se vuoi, è un invito a essere chiaro e trasparente.

Riassumo la tua posizione (col rischio di qualche forzatura ma assicuro che è solo, nel caso, dovuta all’obiettivo arduo di essere breve).

Per te procreare significa accettare il rischio implicito nella procreazione; se tali rischi non sono graditi, c’è sempre la possibilità di astenersi dalla procreazione. Quindi, le analisi pre-impianto non vanno previste perché contrarie a questa concezione etica e aprirebbero le porte a un rischio di deriva eugenetica.
Parimenti, dovrebbero essere proibite le analisi pre-natali perché violerebbero gli stessi valori etici e condurrebbero allo stesso rischio eugenetico. Ma su questo aspetto mi sembra tu sia disposto a fare una concessione e quindi ammetti le analisi pre-natali.
E queste analisi non potrebbero portare agli stessi risultati che tu vuoi evitare con le analisi pre-impianto? Secondo te sì, ma poni molte aspettative sull’essere in gravidanza come momento importante per assumere una decisione irreversibile. Insisti sul fatto che la probabilità che si verifichi una determinata patologia, accertata da analisi diagnostiche, non è assoluta e quindi non deve essere alla base di una decisione prima della gravidanza perché sarebbe troppo facile prenderla; altra storia, invece, prendere la medesima decisione sotto “l’effetto gravidanza”. Accompagni questa riflessione con l’insistente attenzione su quali siano le patologie che possono arrecare danno alla donna.

Tutte queste argomentazioni non sono pertinenti con la legge 40, le altre leggi in materia di maternità, il diritto generale, le molteplici sentenze della Corte Costituzionale.
Ho riassunto il quadro giuridico e alcuni aspetti salienti della vigente normativa per dimostrare quanto affermo.

Ho anche aggiunto che le tue valutazioni sono rispettabili e possono essere valide per te, ma ho spiegato perché sono irrilevanti e fragili sul piano sociale e giuridico.

Infatti, è indubitabile che una determinata situazione possa influire su una scelta; ma questo può essere affermato per qualsiasi situazione.
Può una legge porre a fondamento di una scelta individuale l’essere o no in una determinata situazione?
A quale principio giuridico o etico risponderebbe questa subordinazione?
La decisione di passare da uno “stato” a un altro precede “l’essere nello stato” che si vuole realizzare (quasi lapalissiano, no?).
Si decide di divenire genitore senza esserlo e senza che qualcuno verifichi l’esistenza di requisiti adeguati per esserlo. La decisione di divenire “altro” rispetto a quel che si è si fonda sulla personale valutazione delle proprie inclinazioni.
Nessuno può sapere prima di essere genitore se sarà un bravo genitore; nessuno può sapere se effettivamente la gravidanza e la maternità soddisferanno l’avvertito desiderio di realizzazione anche tramite la procreazione.
Tutto ciò si definisce auto-determinazione e personalmente la considero una grande conquista della civiltà umana, riflessa nell’ordinamento giuridico.

Può essere misurato il modo di influire di una situazione su una decisione? Lo stesso evento non ha forse effetti diversi su ciascuno di noi? Reagiamo tutti allo stesso modo di fronte a una disgrazia, a una malattia, a un imprevisto? Tutte le donne vivono allo stesso modo la gravidanza? Tutte le donne sono ligie e attente quando vivono una gravidanza a rischio?

Affermo che non considero malattia qualsiasi “errore genetico”; ma per te questa è una affermazione insensata. Dovrei forse dedurne che se si trovasse un modo per intervenire con la manipolazione genetica nella “cura” della sindrome di Down questa sarebbe per te lecita? O dovremmo accettare che su determinate “malattie” dobbiamo astenerci dal “guarirle”? E chi carichiamo del potere così pericoloso di decidere quali malattie combattere e quali no? Come vedi il gioco delle deduzioni porta molto lontano.
Se tutti la pensassero come me sparirebbero in un sol colpo i rischi eugenetici, come tu li chiami, le analisi pre-impianto e pre-natali, la stessa procreazione medicalmente assistita. Ma tutti non la pensano come me e non mi sogno nemmeno di imporre il mio pensiero o di condannare quello altrui in nome dei miei convincimenti. Rispetto per l’etica significa, per me, riconoscere pari dignità a ogni soggetto etico; astenermi dal ritenere che ci sia il monopolio dell’etica o un’autorità etica o un’etica “superiore” alle altre.

Lasciare all’auto-determinazione del soggetto la scelta di decidere se utilizzare le tecniche mediche disponibili mi sembra un fatto di civiltà, con tanti rischi, ma preferibile a una normativa che decida cosa è giusto e cosa no quando è in gioco l’esercizio di un fondamentale e naturale diritto come quello di procreare, di curarsi o di non curarsi.

Cimentarsi con un elenco di patologie per le quali prevedere l’eventuale facoltà abortiva (o rifiuto dell’impianto) è più rischioso e discriminatorio che lasciare la decisione alla coppia. Anche questo è un aspetto di civiltà, riflesso nella normativa vigente dopo approfonditi dibattiti e confronti già all’epoca della 194\1978. Irrilevante quindi sul piano giuridico la tua riflessione su quali patologie possano arrecare danno alla donna (non è la patologia in sé che viene presa in considerazione ma lo stato soggettivo della donna); dannosa sul piano sociale e giuridico perché determinerebbe “cittadini di serie B” e sarebbe una legittimazione dell’eugenetica che pur condanni.
Per analoghe considerazioni è irrilevante e pericolosa, sul piano giuridico e sociale, la ricerca della “certezza assoluta” (e non capisco cosa avrei estrapolato… ma non fa nulla) e non ha senso porla alla base di una decisione: quel che conta non è il dato oggettivo ma il fattore soggettivo perché stiamo parlando di una persona e non di una macchina e compete esclusivamente alla persona interessata decidere come rapportarsi con un evento prospettato. Ferma restando la necessità di sviluppare i servizi sociali per rendere più agevole affrontare situazioni di difficoltà prodotte dalla natura o dal comportamento umano. Affiancare ai servizi la prevenzione delle situazioni di difficoltà prodotte dalle scelte umane non mi sembra un crimine.

Ho spiegato che è insensato proibire di fare prima quel che dopo diviene lecito visto che tra prima e dopo la differenza è un embrione di pochi giorni o un feto in avanzato sviluppo. Ancora una volta sul piano giuridico non offri argomentazioni convincenti e sul piano sociale e morale rischi di provocare un danno peggiore.

Che gli accertamenti pre-impianto si facciano anche (non solo e non esclusivamente) per poter prendere una decisione sull’eventuale proseguimento è abbastanza ovvio; e perché si fa una amniocentesi? Può l’essere o il non essere in gravidanza rappresentare sul piano della civiltà (non solo quella giuridica) il fattore determinante per l’accesso a tecniche diagnostiche? A mio avviso no, e il legislatore, infatti, non ha così disposto pur scrivendo una legge che fa semplicemente schifo per le mille incongruità e contraddizioni giuridiche che contiene. Ma non è giunto a un simile livello di inciviltà giuridica; e perché il potere politico ministeriale è andato ben oltre la norma di legge? Per distrazione o perché voleva riconfermare in pieno una concezione punitiva: vuoi a tutti i costi un figlio, allora beccati quel che viene e se poi non ti va bene abortisci! Non mi sembra un gran elemento di civiltà e giustificare questo atteggiamento con il preteso effetto gravidanza è francamente troppo. Mi sono già espresso su questo punto e quindi non mi ripeto.

Se una donna volesse fare gli accertamenti pre-impianto e la legge li vieta, ricorrerà appena possibile agli accertamenti pre-natali. Il risultato ai fini dell’esito della gravidanza è lo stesso: invece di un mancato impianto avremo un aborto.

In definitiva, ho spiegato le mie ragioni di contrarietà rispetto alle tue convinzioni che, mi sembra di capire, vorresti ispirassero la legge. Non stai parlando della legge, ma di tue personali convinzioni etiche che al massimo possono essere ipotesi giuridiche e anche in questa eventualità ho risposto prestando attenzione alle tue affermazioni.

Se, dunque, non ho nulla da obiettare riguardo alle tue convinzioni, che non condivido ma possono liberamente ispirare il tuo personale comportamento, ho molto da obiettare se sovrapponi e confondi questa tua personale posizione etica con la norma di legge esistente e, specificatamente, con la legge 40 e se trasformi le tue personali convinzioni etiche in ipotesi giuridiche che dovrebbero essere valide per tutti.

Aggiungo solo che la nostra civiltà giuridica, e mi sembra una grande conquista, ha distinto le diverse tutele che devono essere garantite a chi è già nato rispetto a chi nato ancora non è. E’ stata da tempo sancita la necessità di bilanciare il diritto del nascituro con i diritti concorrenti di chi è già persona.

Tu dici, per risolvere il problema non sarebbe stato sufficiente che quanto previsto nelle linee guida fosse stato presente nella legge? La legge è quella e non altro; se vogliamo discutere di come dovrebbe essere scritta una legge, allora cambiamo discussione. Una cosa è certa: il legislatore non ha per distrazione previsto che fosse lecita la diagnosi pre-impianto, dato che si tratta di una previsione esplicita. E il TAR del Lazio non si è limitato a cancellare le linee guida ma ha anche sollevato eccezioni di legittimità costituzionale. La legge 40 non pone alcun divieto alle analisi diagnostiche e terapeutiche, contrariamente a quanto avviene con le vecchie linee guida varate in applicazione della legge medesima. Per te questo è un cavillare tra forma e sostanza? Il potere ministeriale che viola scientemente la norma di legge sarebbe un aspetto marginale? Il fatto che quasi tutti diano per scontato che una legge proibisse qualcosa e i soliti magistrati cattivoni, impiccio per l’illuminato potere esecutivo\legislativo, violano l’autonomia del parlamento sovrano… tutto ciò è un trascurabile dettaglio?

Se la legge avesse previsto il divieto delle analisi pre-impianto credo che sarebbe stata ritenuta incostituzionale perché in conflitto con altre norme di legge.
Nessuna legge o principio etico universale subordina la facoltà di procreare alla condizione di accettarne ogni rischio.
Dal divieto di ricorrere alle analisi pre-impianto (salvo poi poter fare le analisi pre-natali), all’obbligo di impianto (unico e contemporaneo), al divieto di poter disconoscere maternità e paternità, alla mancanza di accertamento dell’eventuale pregiudizio per la salute della donna… sono tutte situazioni oggettive che determinano una “discriminazione” tra chi ha avuto la fortuna di poter procreare e chi invece ha un impedimento fisiologico alla genitorialità.
Sono situazioni difficili da risolvere per legge, dovendosi bilanciare le diverse scelte culturali e di vita, le diverse convinzioni etiche, le diverse tutele che competono a chi è nato e a chi non è ancora nato.
Mi sembra che anche tu condividi che ogni norma ha in sé il rischio dell’uso distorto o dell’abuso; rischio che non si risolve con i divieti e neanche lasciando aperta ogni porta… ma quali chiudere?
Da ciò anche la considerazione che non è poi così assurdo che una legge su questa materia possa anche non esserci.

In un sistema avanzato di democrazia anche il potere legislativo ha delle limitazioni e può essere contemplato “l’eccesso di potere legislativo”. In un certo senso è quel che avviene quando una legge o parte di essa viene cancellata dalla Corte Costituzionale. La Costituzione è un limite oggettivo alla “libertà legislativa” però non esiste la valutazione preventiva da parte della Suprema Corte prima che una legge diventi operativa. Non c’è quindi alcuna ovvietà nel mio constatare che il potere legislativo legifera su quel che vuole. La sovranità popolare è esercitata per delega dai parlamentari; ma che relazione c’è tra eletti ed elettori, tra sovrani deleganti e delegati? Come si esercita il controllo sull’operato dei delegati? Rispondere quasi nessuna relazione, quasi nessun potere di controllo mi sembrano risposte corrette. Ecco perché affermo che non si tratta di discutere sul “potere” di legiferare ma di valutare l’opportunità politica di legiferare e il modo in cui si legifera.
Ti sembra “carino” che su una materia delicata come questa da 5 anni si vada avanti a forza di ricorsi, sentenze e si proceda all’interno di un quadro normativo forse più incerto di prima?

No, amico mio, non parlo di prima “liberalizziamo” e poi responsabilizziamo. Sei tu che poni questa successione temporale per me esiste un solo tempo: responsabilizziamo e tuteliamo il diritto di auto-determinazione, informiamo e preveniamo… Cerca di avere più attenzione al tuo interlocutore (sono l’unico… non perderlo… ovviamente l’unicità è reciproca).

“…difendere la dignità di chi non è ancora nato al pari di un già nato”, scrivi.
Vorrei che su questo punto si andasse oltre la semplice affermazione di principio e si iniziasse a discutere sul come realizzare questa pari dignità. Affermare la pari dignità, affermazione impegnativa che richiama immediatamente l’idea della “sacralità della vita sin dal concepimento” e l’affermazione dei “diritti del nascituro”, porta con sé l’obbligo morale e intellettuale di analizzare come possano concretizzarsi dignità e sacralità, come possano essere affermati, e quindi tutelati, i diritti del nascituro.
Porre sullo stesso piano nato e nascituro è un’impresa riuscita solo a livello verbale, ma da intellettuali, leader politici o spirituali non è giunto ancora un messaggio chiaro, una indicazione precisa di come tutto ciò possa realizzarsi, di quali siano le implicazioni sulla vita quotidiana e sull’organizzazione sociale. Se ci si ostina a proseguire su questo livello puramente verbale, non si farà alcun passo in avanti.
Questa non è una critica rivolta a te (come potrei dal momento che non abbiamo affrontato questo aspetto), ma la constatazione di quel che avviene a qualsiasi livello.

Ultima osservazione. Non ho detto che tu sei “a capo di una potente organizzazione che sfrutta i poveri bambini africani”. Spero tu abbia capito (diversamente dovrei dubitare della tua intelligenza) che ho solo voluto rappresentarti che non è mai una scelta costruttiva in una discussione squalificare l’interlocutore affibbiandogli etichette sgradevoli perché, senza bisogno di acrobazie, le etichette sono facili da affibbiare a chiunque.
Se coloro che propugnano la ricerca sulle staminali embrionali sono mossi solo da inconfessabili interessi, sono agenti delle multinazionali del profitto, non possiamo affermare la stessa cosa per chiunque sostenga la necessità di una qualsiasi ricerca?

Considero buona norma in una discussione riconoscere a priori, fino a prova contraria, il beneficio della buona fede e dell’onestà intellettuale.
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