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Visto di ingresso per turismo. Tar Lazio accolla spese legali anche quando lo straniero ha ragione
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Articolo di Claudia Moretti
7 luglio 2010 9:57
 
Fintanto che i tribunali amministrativi, nel dare ragione agli utenti contro questure e ambasciate, non accorderanno all'utenza anche i dovuti e consequenziali risarcimenti del danno e non rifonderanno loro adeguatamente le spese legali, l'amministrazione sara' sempre “vincente” e continuera' impunita a disattendere leggi e giurisprudenza.
In tal senso, purtroppo, non puo' non leggersi, la sentenza del Tar Lazio, n. 8253 del 23 aprile 2010, la quale ha il pregio di contenere ottime ragioni in diritto e nel merito, e il difetto di negare le consequenziali “sanzioni” a carico di chi ha torto.
Il caso e' quello di una madre e di una sorella che hanno chiesto al Consolato italiano di Valona (Albania) di visitare il proprio congiunto, un cittadino albanese che vive da anni a Milano con permesso CE di lungo periodo. Per ben due volte lo hanno chiesto e il Consolato lo ha negato senza addurre alcun motivo.
Le due cittadine albanesi hanno fatto ricorso chiedendo non solo il visto di ingresso, ma anche i danni e le spese legali per quanto subito e per quanto costrette a fare per ottenere giustizia e per le mancate vacanze con il proprio congiunto.
Le due donne, infatti, avevano ampiamente ottemperato agli oneri previsti dalla normativa per l'ottenimento del visto di ingresso:
- prova del possesso dei mezzi di sussistenza (un conto corrente a Tirana);
- titolo di viaggio di andata e ritorno;
- prova della disponibilita' di un alloggio durante il soggiorno a Milano;
- prova del fatto che realmente intendono andare solo per vacanza e poi tornare (la sorella vive con la madre -casalinga- , ha un contratto di lavoro come giocatrice di pallavolo da cui trae reddito, studia all'universita' e non ha intenzione di trasferirsi in Italia).
A tal proposito, chiarisce la sentenza, e' necessario dimostrare non solo di avere validi e comprovati motivi di ingresso in Italia corrispondenti al visto richiesto (“finalita' del viaggio”), ma anche -soprattutto- validi e comprovati motivi per rientrare in patria (art. 4 comma 3 d.lgs 286/98 e art. 5 comma 6 d.p.r. n. 394/99).
Inoltre, il Consolato d'Italia a Valona non aveva motivato alcunche' in merito al diniego di visto. Semplicemente non aveva creduto alle ragioni delle ricorrenti e sommariamente aveva richiamato norme di legge senza alcuna reale spiegazione.
Ma e' un diritto/interesse legittimo del cittadino straniero che chiede il visto di ingresso sapere perche' tale visto non e' concesso? Si'. Solo per motivi di sicurezza, non indicati nel caso di specie, e' possibile per l'amministrazione tacere le ragioni del diniego.
Dunque, dichiara il Tar Lazio, non solo appare fondata la richiesta di visto effettuata dalle ricorrenti, ma non vi era alcuna ragione di sicurezza che autorizzasse l'amministrazione a rimanere in silenzio o quasi.
Salvo pero', dopo aver richiamato i numerosi principi di legge e di disciplina secondaria che regolano l'argomento, limitarsi laconicamente a considerare “non provato” il danno subito dalle ricorrenti, e quantificano le spese legali dell'intero giudizio in 1000,00 a carico dell'amministrazione.
Troviamo che il danno sia da considerarsi nel fatto in se' per se', nell'ingiustizia subita dalle due signore. Ingiustizia che va oltre l'errore. Quando l'amministrazione ingiustamente non motiva i suoi dinieghi o non risponde affatto, si va oltre l'errore, e si sconfina nell'inadempimento colposo e nella prevaricazione. Crediamo che di questo ogni tribunale amministrativo non possa non tener conto nella pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno per il torto subito. Cosi' come anche nella quantificazione -ridicola nel caso di specie- delle spese legali del giudizio.
 
 
 
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