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La vendetta
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Articolo di Pietro Yates Moretti
3 novembre 2007 0:00
 
Armati di coltelli, dieci criminali, sicuramente italiani, sono andati a caccia di rumeni. E cos'altro potevamo aspettarci?

"In Southfolk, N.Y., un uomo che urlava 'lo faccio per il mio Paese' ha cercato di investire una donna pachistana con la sua auto. In Gary, Indiana, un uomo con una maschera da sci ha fatto fuoco con il suo fucile d'assalto su un benzinaio di origine yemenita". Questo e molto altro battevano le agenzie di stampa americane il 13 settembre 2001. In molti allora si resero conto che alzare i toni della retorica anti-araba era un gioco pericoloso che non poteva rimanere senza conseguenze. Sicuramente non se ne accorsero a sufficienza.

Oggi, per un fatto orribile, ma che certo non e' paragonabile in niente alla tragedia delle torri gemelle, in Italia si alimenta quella stessa fobia, stavolta diretta agli immigrati. Lo si fa un po' perche' da popolo di emigranti ci stiamo ancora faticosamente trasformando in popolo di immigrati, e un po' di piu' perche' cosi' si attraggono lettori ed elettori. Il giorno dopo l'aggressione, quando la donna era ancora in coma, un quotidiano aveva aperto dandola gia' per morta, "uccisa", cosi' da poter titolare "Sicuri da morire" -un ovvio riferimento al "pacchetto sicurezza" appena approvato dal Governo. E cosi' si apre l'odiosa pantomima di accuse reciproche fra schieramenti politici e di provvedimenti d'urgenza, spettacolo da prima pagina che affoga ogni genuino sentimento ispirato dall'insensata tragedia.

In questo baccano, il rumeno violento ed assassino -sempre che sia stato lui, non piccolo particolare- diviene emissario di un nemico ben piu' potente, che ci invade e ci aggredisce ogni giorno. Non importa che egli abbia agito da solo, senza apparente motivo se non quello che spinge molti, moltissimi italiani a commettere crimini altrettanto violenti. Come il benzinaio arabo agli occhi dell'improvvisato cittadino-soldato, ogni rumeno diventa parte della stessa minaccia. E' in questo cruciale passaggio di trasformazione della colpa individuale in collettiva che si consuma uno dei fenomeni piu' pericolosi per lo Stato di diritto. E che questo passaggio stia gia' avvenendo non ce lo dimostrano solo i dieci pugnalatori, o il linguaggio di una certa parte politica interessata, ma anche le parole di coloro che apparentemente invitano alla pacifica convivenza.

"No alle vendette", ha dichiarato il sindaco di Roma, Walter Veltroni, forse convinto di dire cosa buona e giusta. Ma la vendetta, per definizione, e' la rivalsa delle vittime sugli aggressori. Definire "vendetta", seppur per condannarla, l'aggressione di quei dieci balordi, significa riconoscere loro uno status di vittime che non c'e', se non per una forma perversa di solidarieta' nazionalista. Vendetta che puo' essere tale solo se rivolta contro il carnefice, ma che in questo caso non ha legame alcuno con i tre connazionali attaccati se non -appunto- la provenienza.

La colpa individuale e' gia' colpa collettiva, e non solo nella mente di qualche rumoroso xenofobo.
 
 
 
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