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Il nome: l’individuo, la famiglia, la società
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Articolo di Isabella Cusanno
4 novembre 2013 11:50
 
Sappiamo come il nome è la buccia formale di una identità: chiamiamo cane, scatola, auto e sappiamo che parliamo di un animale con determinati requisiti, di un oggetto di una certa struttura, di un meccanismo di un certo tipo. Poi specifichiamo e quindi sappiamo anche di quale razza di cane parliamo ed infine di quale cane, scatola o auto parliamo. Diamo un nome per individuare, per specificare, per rassicurarci di star parlando di quello che ci interessa e non di altro.
Bene, il nome che viene attribuito ad un individuo non ha una funzione diversa, anche se più complessa. La composizione di nome e cognome, le modalità di attribuzione dell’uno e dell’altro, la valutazione e la regolamentazione delle possibilità di cambiamento dell’uno o dell’altro o di entrambi, sono tutti elementi che concorrono ad assicurare la certezza dell’identità e garantiscono l’individuazione del soggetto.
Il nome di una persona deve funzionare da elemento di individuazione. Deve fornire la certezza che il soggetto determinato sia unico, deve convalidarne le qualità e le capacità.
Il nome quindi risponde all’esigenza dell’individuo di determinare con rigore la sua presenza in un contesto storico e sociale, risponde all’esigenza della famiglia di manifestare la sua valenza nell’ambito di un ordinamento giuridico, risponde all’esigenza della società di garantire l’affidamento dei terzi. (ricordiamo il lavoro teatrale di Oscar Wilde: L’importanza di chiamarsi Ernest?).
Questo significa che il nome non rispecchia tanto la personalità di chi lo ha ricevuto alla nascita quanto la dimensione giuridica che un determinato ordinamento gli attribuisce.
Una dimensione che viene qualificata dalle scelte connesse alla tutela del matrimonio, della famiglia e della filiazione che il medesimo ordinamento in un preciso Stato ha compiuto.
Il diritto personalissimo al nome, il diritto che prima di ogni altro viene assicurato da un ordinamento a ciascun individuo cittadino di quello Stato, quel diritto che viene blindato da una tutela di diritto pubblico , è in realtà la forma precisa e calzante che lo Stato attribuisce all’individualità di ciascun suo cittadino.
Il nome ed in particolare il cognome vengono attribuiti sulla base di precise scelte giuridiche che vanno a rafforzare, a convalidare, determinati istituti di diritto di famiglia. Le valutazioni, si potrebbe dire le graduatorie, di valore della filiazione sono confermate dalle norme di modalità di attribuzione del cognome.
Dunque è l’ordinamento dello Stato di nascita e quindi quello di cittadinanza che presiede alla attribuzione, alla gestione, alla variazione del nome di una persona. Nessun altro ordinamento è in grado e ne ha la facoltà.
Nel corso della vita di un individuo molti possono essere gli avvenimenti in grado di incidere sul nome: in questi casi sarà sempre la legge dello Stato di cittadinanza a decidere sulla possibilità e le modalità della sua evoluzione.
L’evoluzione della normativa nei Paesi dell’Unione Europea
La legislazione del diritto di famiglia, con particolare riferimento alla regolamentazione degli istituti del matrimonio e della filiazione, incide quindi in modo prevalente sulle normative di attribuzione del cognome e del nome e/o del patronimico.
L’evoluzione di questi istituti ha modificato e modifica le norme relative all’attribuzione del nome e del cognome.
Alcune nazioni che hanno aderito all’Unione Europea stanno adeguando la loro legislazione nel senso della parità dei coniugi, e nel senso del riconoscimento civile dei rapporti instaurati al di fuori del matrimonio e conseguentemente alla parificazione dei figli nati fuori dal matrimonio.
L’indicazione etica alla base di questa scelta è nella equiparazione del ruolo di entrambi i genitori, onde evitare che l’attribuzione del cognome del padre al figlio nato all’interno del matrimonio giustifica una supremazia maschile nella decisione della qualità da attribuire ai sentimenti, ai rapporti umani e quindi determinare una gerarchia tra i figli.
Francia: Fino al 2003 l’attribuzione del cognome del padre al figlio nato all’interno del matrimonio era automatico. Dal 2005 invece l’attribuzione di un cognome viene determinato dal riconoscimento di entrambi i genitori alla nascita o successivamente alla nascita, e non più dallo stato matrimoniale della coppia. Nel caso di riconoscimento di entrambi alla nascita i genitori di comune accordo possono decidere se il cognome da attribuire al figlio debba essere quello della madre o quello del padre o quello di entrambi i genitori, nell’ordine preferito ma nel numero di un nome di famiglia per ciascuno di loro. La scelta ovviamente vale per tutti gli altri figli. Nel caso di riconoscimento di un solo genitore, il figlio prende il cognome solo di questo, cognome che potrà essere cambiato se subentra un riconoscimento da parte del secondo genitore ai sensi della normativa prima spiegata( fonti Code civil, Section 4 Des regles de devolution du nom de famille; Camera dei Deputati Servizio Biblioteca Ufficio Legislazione straniera)
Germania: "I coniugi possono mantenere il proprio cognome o decidere quale cognome coniugale (Ehename)  adottare ed assegnare alla prole. Il cognome coniugale può comunque essere preceduto  o seguito dal proprio.
Se i genitori non portano alcun cognome coniugale e la potestà spetta ad entrambi congiuntamente, ai figli viene assegnato il cognome del padre o della madre su  intesa dei genitori.  La dichiarazione avviene davanti all’ufficiale dello stato civile. Se i genitori non prendono alcuna determinazione entro un mese dalla nascita del figlio, il tribunale della famiglia (Familiengericht) richiederà ad uno dei genitori di scegliere il cognome del bambino. Il tribunale può stabilire un termine entro il quale il genitore può esercitare il suo diritto di determinazione. Se alla scadenza del termine tale scelta non è stata effettuata, il figlio riceve il cognome del genitore cui era stato trasferito il diritto di determinazione (§ 1617).
Se i genitori non portano alcun cognome coniugale e la potestà genitoriale spetta ad un solo genitore, il figlio riceve il cognome che porta tale genitore al momento della nascita del figlio (1617a).”
( Camera dei Deputati Servizio Biblioteca Ufficio Legislazione straniera) (1616-1618 del Codice civile tedesco Burgerliches Gesetzbuch)
 Regno Unito: ”l’attribuzione del cognome ai figli non è regolata da specifiche disposizioni, ma è rimessa all’autonomia dei genitori investiti della parental responsability. Al momento della registrazione della nascita, al figlio può essere attribuito il cognome del padre, della madre oppure di entrambi i genitori; è altresì possibile, benché non frequente nella prassi, l’assegnazione di un cognome diverso da quello dei genitori. In caso di adozione o di riconoscimento del figlio naturale, è consentita, con il consenso di entrambi i genitori o per effetto di un provvedimento giudiziale, la modifica del cognome al momento della formazione del nuovo atto di nascita. Una nuova registrazione della nascita è necessaria in caso di successivo matrimonio dei genitori naturali.” ( medesima fonte)
Spagna: “ vige la regola del “doppio cognome”, per cui ogni individuo porta il primo cognome di entrambi i genitori, nell’ordine deciso in accordo tra di essi. In caso di disaccordo, è attribuito al figlio il primo cognome del padre insieme al primo cognome della madre. Una volta maggiorenne, si può proporre istanza per invertire l’ordine dei cognomi. Per quanto riguarda i figli naturali, se il figlio è riconosciuto da entrambi i genitori, assume il primo elemento del cognome paterno e di quello materno. Se è riconosciuto da un solo genitore, assume i due cognomi di questo. Analogamente avviene per i figli adottati, che assumono i due cognomi dei genitori in caso di adozione da parte di entrambi, mentre assume i due cognomi del genitore adottante, nel caso di adozione da parte di una sola persona.”( medesima fonte) (Codice civile art.109)
Grecia: Il cognome può essere determinato dai coniugi attraverso una dichiarazione resa ad un notaio o ad un pubblico ufficiale prima del matrimonio, la scelta può riguardare il cognome di uno dei due oppure è possibile optare per un doppio cognome, se nessuna scelta viene fatta il cognome sarà quello del padre ( art.1505 c.c.)
Ungheria: I coniugi decidono il cognome del figlio che può avere il cognome del padre o della madre o di entrambi i coniugi, fino ad un massimo di due elementi
Portogallo: I coniugi possono optare tra i cognomi portati da entrambi e tra quelli che potrebbero portare fino ad un massimo di quattro cognomi (art. 1875 cc)
Islanda: Il cognome è sostituito dal patronimico, ossia dal nome del padre a cui viene aggiunto il suffisso son per i maschi e dottir per le femmine (Non paese UE ma SEE)
Irlanda: Il cognome è attribuito per diritto consuetudinario, massima libertà di scelta in tema di cognome coniugale, il nome attribuito al figlio legittimo è quello del padre o della madre o di entrambi. Per mutare il cognome basta la presentazione di una deed poll in tribunale.
Croazia: Il cognome può essere quello materno o paterno o una combinazione di questi due elementi senza più limite alla riproducibilità degli stessi al di fuori dei registri pubblici.
Danimarca: Entro sei mesi dalla nascita deve essere dichiarato il cognome del figlio, diversamente si appone il cognome della madre. In quanto alle possibili scelte il panorama comprende ogni possibilità escludendo i cosiddetti cognomi protetti (Navnevol leggi accessorie e modifiche)
Svezia: I coniugi possono acquisire o il cognome dell’uno o il cognome dell’altro o mantenere il proprio, i figli acquisiranno il cognome comune della coppia se è stato definito, se non esiste un cognome comune al figlio verrà attribuito un cognome entro tre mesi dalla nascita, se invece esistono già dei figli della coppia al nuovo nato verrà attribuito il cognome dei suoi fratelli più grandi. Non è ammessa in Svezia la possibilità che all’interno di un nucleo familiare i figli possano avere cognomi diversi, come invece può avvenire in Portogallo.
Belgio: Il figlio porta il cognome del padre, a meno che la paternità non sia accertata o il padre sia sposato con una donna diversa dalla madre, in questi casi il figlio porta il cognome della madre ( art.335 codice civile Belga)
In queste brevi note abbiamo solo evidenziato alcuni aspetti della normativa sulle modalità di attribuzione del nome con riferimento ad alcune Nazioni che fanno parte dell’Unione Europea. Abbiamo fatto riferimento in particolare alle modalità di acquisizione del cognome per nascita ed all’interno di una famiglia regolare, non abbiamo tenuto presente le varianti delle adozioni, dei riconoscimenti, delle legittimazioni perché in queste variabili si intersecano altri elementi giuridici che comportano l’analisi per ciascuno di loro di ulteriori elementi incidenti.
L’individuazione del nome di un individuo è un percorso tutt’altro che automatico e che si semplifica solo perché l’abitudine e la consuetudine ne agevolano il compito.
In realtà il nome di un individuo è la risultanza di complesse scelte giuridiche che coinvolgono tutti gli istituti di diritto familiare: Il matrimonio, la filiazione, la successione ed il rango e la considerazione sociale che acquista l’individuo nel momento in cui la sua identità si configura all’interno di un preciso incasellamento di qualità sociale, o pretesa tale.
Le scelte quindi di politica giuridica riguardano il ruolo delle convivenze, delle procreazioni, del consolidarsi delle relazioni interpersonali. E quindi la valutazione delle opportunità in un determinato contesto storico e umano di distinguere e classificare anche i rapporti di coppia. La valutazione etica al riguardo lascia molto perplessi e non giustifica questo tipo di interferenza giuridica poiché il diritto nasce per difendere e non per opprimere
La svolta che sta accumunando le legislazioni apre l’orizzonte della protezione della prole indipendentemente da valutazioni di convenienza sociale in nome della responsabilità che grava sui genitori in quanto tali, quindi alla parificazioni dei figli, legittimi, riconosciuti, naturali, adottivi ed all’interno delle adozioni.
Ma sono evidenti le differenze tra una legislazione e l’altra: nel campo delle valutazioni dei diversi istituti, nella configurazione degli stessi, nella modalità di considerare il ruolo dei coniugi o dei conviventi nel medesimo nucleo familiare, nei rapporti con gli altri rami parentali, nella rilevanza che assume l’apparenza all’esterno della composizione del nucleo, nelle modalità per far valere all’esterno il consolidarsi di rapporti parentali.
Tutto questo coacervo di indicazioni di diritto, di regole etiche, di conferme consuetudinarie, e di abitudini sociali si riverbera nella scelta legislativa delle norme da attribuire per la determinazione del nome e nelle attività giuridica di interpretazione delle norme stesse.
Ma il panorama rimane assolutamente vasto e di non facile assimilazione, soprattutto se questa deve comprendere anche i germi di una progressiva e non traumatica evoluzione.
L’Italia e il nome del figlio: La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile finchè non passa a nuove nozze (art.143 bis codice civile). Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il figlio è stato riconosciuto da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre (art.262 codice civile). Il figlio legittimato ha il cognome del padre (art.33 Dpr 396/2000). Nessuna norma italiana né prima né dopo la riforma di famiglia entrata in vigore nel gennaio del 2013 dice esplicitamente che il figlio prende il nome del padre. La stessa Corte di Cassazione nel rimettere la questione di legittimità delle norme indicate nel momento in cui non prevedono la possibilità alla coppia di decidere concordemente in altro modo, alla Corte Costituzionale, specifica che si tratta di un automatismo normativo, una immanenza ideologica, mai esplicitata. La Corte Costituzionale con pronuncia n.61 /2006 rigetta la questione posta dalla Cassazione non tanto per una sua infondatezza quanto per l’impossibilità della Corte Costituzionale di intervenire in un campo in cui la valutazione politica e di politica legislativa è preponderante, e soprattutto quando il sistema legislativo vigente in cui manca una previsione normativa esplicita da abrogare in favore di una libera scelta del cognome da attribuire al figlio o alla coppia prima che al figlio. Il rischio, secondo la Corte Costituzionale, è quello di provocare un deprecabile vuoto normativo. A circa sei anni di distanza e subito dopo una riforma che ha cancellato ogni differenza all’interno della filiazione, ci si domanda quale potrà essere il futuro normativo relativo alla modalità di attribuzione del nome. Ormai spesso ed ancora prima della riforma la giurisprudenza minorile e quella ordinaria, nei campi delle adozioni, hanno optato per sentenze che modificano l’attribuzione del nome rispetto a quello che gli sarebbe stato affibbiato per legge. Molto probabilmente sarà la giurisprudenza di merito che risolverà il nodo legislativo, attraverso una valutazione comparata delle normative vigenti e di quelle abrogate.
Il nome è quindi la risultanza di una serie di valutazioni che esulano dall’individuo ma che si sovrappongono ad esso e ne condizionano la visibilità sociale. Il nome, diritto personalissimo, garantisce invece il rispetto di condizioni ambientali di credibilità.
Il rapporto dell’individuo con quanto lo circonda è determinato fin dalla sua nascita nel cognome che porta, e nella sua vita nella rintracciabilità delle variazioni del suo cognome e quindi nell’evidenza delle modifiche apportate alla sua vita sociale.
Non c’è nulla di più pubblico di un cognome, non c’è nulla di più garantito dall’ordinamento statale della propria identità composta dalla qualità del nome e del cognome.
Un intero apparato burocratico viene azionato per garantire l’affidamento sociale e l’ordine pubblico, e questo indipendentemente dalla facilità con cui si può ottenere o meno il cambio del cognome. L’attribuzione del nome è comunque in qualsiasi modo venga gestita dal privato, è comunque la prima competenza dell’ordinamento pubblico e quindi la prima manifestazione della sovranità nazionale
L’Unione Europea e le competenze in fatto di nome: L’ambito è di stretta competenza nazionale, abbiamo detto. In alcun modo la questione potrebbe interessare l’Unione Europea. Eccetto per il rispetto del duplice principio della parità di trattamento e della libertà di circolazione. Nel caso in cui vengono in conflitto più ordinamenti sovrani la questione viene risolta (direnta) tramite le norme di diritto internazionale vigenti. Ed in tutti o quasi tutti gli ordinamenti il nome di un individuo viene regolato dalla norma del suo stato di cittadinanza. Quindi il nome di una persona viene determinata dalle norme dello Stato estero. Ma la cittadinanza si può acquisire in più modi, un soggetto può godere di più cittadinanze, il figlio può essere nato all’estero da coniugi con diversa cittadinanza, e lui stesso può avere acquisito più cittadinanze diverse: dunque quale sarà il suo nome? Con quale norma gli verrà attribuito? Corrisponderà ai requisiti di quale realtà? In quale modo verrà assicurata credibilità e rispondenza? E soprattutto come verrà assicurata l’uniformità dell’identità? Ossia quella esigenza che ciascuno di noi abbia un solo nome che lo individui in ogni Stato della terra? Un unico nome che gli garantisce uniformità di documenti di riconoscimento e assicura la affidabilità dei terzi?
Due in particolare sono stati i casi che ci possono interessare, due pronunce che rispondono soprattutto al primo dei quesiti e cioè se l’Unione Europea può avere competenza in merito. La risposta è positiva nel limite in cui decisioni nazionali su rapporti di diritto pubblico che coinvolgono ordinamenti di altri stati comportano lesioni al diritto di parità di trattamento e di libertà di circolazione. Vediamo in specifico i casi:
Una coppia di cittadini tedeschi residenti in Danimarca registra il loro figlio, nato in Danimarca ai sensi della normativa danese il doppio cognome ossia il cognome composto dai cognomi di entrambi.
Nella maggioranza degli ordinamenti nazionali, il nome di una persona viene decisa secondo la normativa del suo Stato di cittadinanza. La Danimarca invece prevede la competenza alternativa dell’ordinamento di nascita e residenza del neonato. La coppia chiede successivamente la trascrizione in Germania dell’atto di nascita.
La Germania rifiuta di procedere alla registrazione con la attribuzione del doppio cognome perché l’ordinamento tedesco non consente di assegnare al figlio un doppio cognome composto dal nome del padre e della madre e non riconosce giurisdizione in materia ad altre normative che non siano quelle dello stato di cittadinanza del soggetto. I genitori del bambino, che nel frattempo avevano divorziato, non portavano un cognome coniugale e si erano rifiutati di determinare il cognome del figlio in conformità all’art. 1617, paragrafo 1,del BGB. Il 6 maggio 2006 adivano l’Amtsgericht Flensburg chiedendo che fosse ingiunto allo Standesamt Niebüll di riconoscere il cognome del figlio così come determinato e registrato in Danimarca.
Il tribunale amministrativo tedesco ha posto la questione alla Corte d’Europa Grandi Sezioni in questi termini «Se, alla luce del divieto di discriminazione contenuto nell’art. 12 CE e in considerazione della libertà di circolazione garantita ad ogni cittadino dell’Unione dall’art. 18 CE, sia valida la norma di conflitto prevista dall’art. 10 dell’EGBGB in quanto, riguardo alla normativa sul nome di una persona, essa fa riferimento solo alla cittadinanza».
Nulla questio per la disparità di trattamento: nessuna discriminazione è stata riscontrata nel rifiuto delle autorità tedesche a registrare un doppio cognome. Per quanto riguarda la lesione dell’art. 18 CE invece la valutazione è opposta:
“Occorre ricordare che una normativa nazionale che svantaggia taluni cittadini nazionali per il solo fatto che hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute a tutti i cittadini dell’Unione dall’art. 18, n. 1, CE (v. sentenze 18 luglio 2006, causa C-406/04, De Cuyper, Racc. pag. I-6947, punto 39, e 22 maggio 2008, causa C-499/06, Nerkowska, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32).  Orbene, il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 CE.”
La Corte così conclude:” L’art. 18 CE, in circostanze come quelle della causa principale, osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio così come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio – che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro – è nato e risiede sin dalla nascita.”
Il secondo caso riguarda invece una coppia spagnolo-belga residenti in Belgio. La questione qui ha maggiore evidenza: Il padre cittadino spagnolo, la madre cittadina belga, il figlio doppia cittadinanza. Poiché la coppia risiede in Belgio i figli vengono registrati in Belgio, e quindi in omaggio alla normativa Belga, di cui sono cittadini i figli,ai quali però spetta anche la cittadinanza spagnola, viene posto il cognome del padre.
Ma il cognome del padre, a sua volta, è un doppio cognome, secondo la legge spagnola, ossia è composto dal cognome del padre e dal cognome della madre, ossia dal cognome della nonna e del nonno. Il cognome che i figli della coppia li individua secondo la legge spagnola come i fratelli invece che figli del loro padre. Le autorità belghe si rifiutano di procedere al cambio del cognome in forza delle norme spagnole, nonostante i figli abbiano la doppia cittadinanza e il padre sia cittadino spagnolo.
La Corte Europea non ha dubbi e si pronuncia così: “Gli artt.12 e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, nelle circostanze come quelle della causa principale, l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per i figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorchè la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro.”
Conclusioni: L’attribuzione del nome a partire dalla formazione delle norme nazionali fino all’individuazione della norma applicabile nei rapporti internazionali è una questione che occupa le aule dei tribunali più di quanto non si creda. Questo perché le norme in questione vanno ad incidere su diritti personalissimi garantiti e gestiti dall’ordinamento pubblico ma per di più vanno a rapportarsi con l’ambiente sociale, le tradizioni e le consuetudini.
Nelle Nazioni dell’ Unione Europea la tendenza è quella di sviluppare la responsabilità dei genitori nella scelta del cognome della coppia e dei figli, anche se ovviamente l’attribuzione del cognome del padre è una prevalenza sociale e consuetudinaria, fatto salvo il controllo dell’autorità statale su quello che è un diritto personalissimo ed in quanto tale di tutela di diritto pubblico. L’altra tendenza di riservare un unico cognome a tutta la famiglia non è sempre perseguito in tutte le Nazioni dell’UE.
Il problema principe è assicurare a ciascuno un nome utilizzabile in tutto il mondo ed evitare di attribuire nomi ed identità diverse alla medesima persona: l’intervento dell’Unione Europea, in modo molto pragmatico è rivolto esclusivamente a questo. Esiste però alle spalle una tradizione di diritto volto ad assicurare lo stabilizzarsi della tradizione. E questo mal si confà con il diritto all’eguale trattamento e alla libera circolazione delle persone. La tradizione della difesa delle graduatorie sociali e familiari non permette la libera attribuzione del nome ed anche se questo nelle aule dei tribunali italiani si va prospettando.
Un unico nome per ogni Nazione significa un unico individuo responsabile ed in grado di interagire con il mondo circostante, invece che una entità che indossa una identità nuova ad ogni frontiera.
In questo contesto si muovono le riforme di diritto familiare che vanno ad incidere proprio su quel tessuto consuetudinario che attesta le formalità tradizionali di attribuzione del nome. (vedi le posizioni della Corte Costituzionale Italiana).
Non sarebbe, insomma, sbagliato né da escludere che la posizione espressa dalla Corte dell’Unione Europea venga trasfusa con estrema semplicità in una norma che preveda, comunque, accanto al complesso di distinzioni e di considerazioni che rimarranno ancora legge nel complesso sistema delle diverse tradizioni nazionali finchè le società non saranno sufficientemente mature, la possibilità per la coppia di decidere il cognome del nascituro come avviene per il nome. E che sia questa la norma dirimente nel caso di conflitto di attribuzione del nome a livello internazionale. Questo appare il senso pratico ed immanente della pronuncia del 2008 della Corte Europea.
Il futuro deve essere arioso, lucido e coerente, e non può esserlo se l’impegno degli intelletti viene sprecato in difesa dei fantasmi sociali.
Cosa è un nome se non la buccia di qualcosa?
 
 
 
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