testata ADUC
Minori stranieri e conversione permesso di soggiorno quando maggiorenni: la parola alla Corte Costituzionale
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Emmanuela Bertucci
21 aprile 2011 15:33
 
Per la seconda volta in meno di dieci anni la Corte Costituzionale e' chiamata a pronunciarsi sulla possibilita' di convertire il permesso di soggiorno al compimento della maggiore eta'. Il tema e' di grande rilievo nel quadro delle politiche migratorie italiane, poiche' l'ingresso da minorenni e la conversione ai 18 anni e' per molto tempo stato il passpartout per una immigrazione regolare, soprattutto visti i limiti stringenti dei decreti flussi.

La normativa precedente (introdotta con la Bossi-Fini legge n. 198 del 2002)  prevedeva, in relazione ai minori stranieri non accompagnati, la possibilita' di convertire il permesso di soggiorno per minore eta' solo qualora lo straniero avesse seguito, per almeno due anni, un progetto di integrazione sociale e civile, e fosse in Italia da tre anni. La norma aveva un suo senso, un minore straniero senza alcuna figura di riferimento deve essere seguito da qualcuno. Questa norma era stata poi interpretata nella prassi e da alcuni giudici, includendo fra i minori non accompagnati anche quelli sottoposti a tutela o affidati di fatto ad un parente.
Nel 2003 la Corte Costituzionale (sentenza n. 189/2003) ha cassato questa prassi illegittima, statuendo che sia i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado che quelli sottoposti a tutela, ebbono essere equiparati, ai fini della conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore eta', ai figli e agli affidati e quindi ottenere un permesso di soggiorno per lavoro o attesa occupazione.

Il pacchetto sicurezza del 2009 (legge 94 del 2009) interviene nuovamente sulla disciplina della conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore eta', andando pero' nel senso opposto rispetto alle indicazioni della Corte costituzionale. Anziche' consentire ai minori sottoposti a tutela, o affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, la conversione diretta del permesso, li assimila ai minori stranieri non accompagnati, consentendo di conseguenza la conversione del permesso solo se al compimento della maggiore eta' abbiano seguito programmi di integrazione sociale e siano presenti sul territorio italiano da almeno tre anni. Una norma -ad avviso di chi scrive – incostituzionale perche' creava una irragionevole disparita' di trattamento dei minori sottoposti a tutela, o affidati di fatto, rispetto ai minori dati in affidamento familiare. Avevamo gia' auspicato un rinvio alla Corte costituzionale, perche' -come gia' fatto nel 2003- si pronunciasse sul punto e il primo a sollevare la questione di legittimita' costituzionale e' stato il Tar Piemonte, investito della vicenda di un ragazzo straniero cui era stata rigettata la richiesta di conversione al compimento dei diciotto anni.

Con l'ordinanza n. 130 del 2011 con cui rimette gli atti alla Corte Costituzionale, il Tar Piemonte rileva come la nuova legge introduca una definizione di minore straniero non accompagnato contraria alla legislaziona nazionale e comunitaria; una definizione irrazionale ed arbitraria e tale da frustrare l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello stato di diritto.

Sotto altro profilo, la norma viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto verrebbe a comportare un uguale trattamento di situazioni non uguali – “non potendosi, a rigore, annoverare tra i minori “non accompagnati” coloro che possono, invece, documentare l’esistenza di una situazione di tutela e di affidamento e, quindi, non potendosi, di conseguenza, applicare la medesima disciplina a soggetti che si trovano in condizioni sostanzialmente difformi”.

La norma e' inoltre irragionevole poiche' i minori stranieri non accompagnati “avendo legittimamente confidato nella possibilità di ottenere la conversione deltitolo in base alle disposizioni all’epoca vigenti, si sono trovati, senza colpa, nell’impossibilità materiale e giuridica di partecipare e/o concludere prima della sua entrata in vigore (e del raggiungimento della maggiore età) il progetto di integrazione previsto dalla nuova formulazione del citato art. 32: l’applicazione della nuova disciplina a questi soggetti, che non potevano avere il tempo minimo necessario per maturare i requisiti da essa stabiliti, implicherebbe, pertanto, un’efficacia retroattiva della disciplina stessa, la quale andrebbe ad incidere su posizioni preesistenti consolidate”.

Sino ad oggi (e sino alla futura pronuncia della Corte costituzionale), i vari TAR italiani continuano ad emettere sentenze contrastanti che a volte danno torto ai ricorrenti, altri ragione, contribuendo a causare una grave difformita' di trattamento a seconda della regione in cui si vive. Confidiamo nel fatto che la Corte si pronuncera' quanto prima, dichiarando l'illegittimita' della norma, come e' gia' accaduto per altre norme del pacchetto sicurezza.
 
 
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS