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Mercato halal il quadruplo di quello biologico. Uno sguardo sulla Francia
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11 agosto 2010 10:49
 
Florence Bergeaud-Blackler e' dottoressa in sociologia e ricercatrice associata all'Istituto di studio e ricerca sul mondo arabo e musulmano (Iremam) di Aix-en-Provence. Con Bruno Bernard, esperto in commercio internazionale, ha pubblicato, per i tipi di Edipro, “Comprendere l'halal”. All'avvio del ramadan, con la grande distribuzione che non ha piu' remore per questo business, cerca di spiegarci le ragioni di questo interesse di distributori e consumatori per i prodotti halal.
D. I prodotti halal non si nascondono piu'?
R. Si puo' dire che i consumatori di prodotti halal si nascondono meno e che il loro interesse e' sollecitato dalle maggiori catene della grande distribuzione. “Casino” ha creato il marchio “Wassila”, e “Carrefour” propone la gamma “Sabrina”. La grande distribuzione ha esitato a lungo prima di lanciarsi nella distribuzione dei “prodotti religiosi”, in particolare quelli islamici. Non e' una questione di costi perche' i prodotti halal non sono nel complesso piu' costosi di quelli tradizionali, solo che la grande distribuzione non puo' garantire una certificazione halal affidabile e non ha trovato sistemi di informazione in merito senza correre il rischio di essere coinvolto nell'ingranaggio di un discorso laico, offensivo, o di essere accusata dai gruppi di estrema destra perche' la crescita dell'halal e' segnale di una islamizzazione rampante organizzata con la complicita' delle multinazionali.
D. Cosa e' cambiato?
R. La grande distribuzione ha fatto i propri calcoli. E' meglio assumersi questo rischio che privarsi dei consumi di una clientela potenziale di musulmani (stimata in circa 5 milioni) che, sempre secondo le stime, peserebbe quattro volte di piu' di quella del comparto biologico. Questi ultimi due o tre anni, l'informazione pubblicitaria si e' concentrata in questo e l'”etno-market” orientale. Evitare di scrivere la parola ramadan, ma proporre in catalogo e negli specifici spazi prodotti orientali che possano nel contempo attirare i turisti culinari e interessare i musulmani in quanto il ramadan e' certamente un periodo di digiuno diurno, ma di notte prevale l'abbondanza.
Questa “etno-informazione” da' soddisfazione a tutti. Se passa bene nel grande pubblico, molti musulmani sono attratti dai manifesti con bottiglie di vino, dal vedere i propri consumi orientalizzati, loro che cercano soprattutto pizza, carne o gelati halal. E sono molto scettici sulla pubblicita' che dovrebbe garantire loro i prodotti in vendita come halal. E c'e' chi si avventura in questo tipo di pubblicita' post-coloniale un po' desueta, come il marchio “Isla Délice” che si caratterizza come una pubblicita' islamico-gallica di uno specifico territorio. Su uno dei manifesti si vede il torso di un gallo bianco con questa scritta: “Halal con fierezza”. L'Islam e' ormai una realta' francese, i manifesti sono impostati con un approccio politico del dato musulmano.
Nel contempo esiste una strategia marketing senza complessi, come quella di Rachid Bakhalg, fondatore del supermercato halal Hal'Shop, che si presenta come un imprenditore “eco-responsabile”, “fiero dei propri valori universali e della propria etica”, e che ambisce a riconciliare Islam e Occidente proponendo un design moderno, piu' anglosassone, che vuole comunicare l'immagine di un giovane musulmano liberale e disinibito. Evidentemente tutta l'ambiguita' di queste argomentazioni morali, come “fiero” e “riconciliazione”, si fondano sull'idea che esista un conflitto di valori tra Islam e Occidente. Nel contempo i consumatori continuano ad ignorare cio' che riguarda l'halal in quanto non esiste un metodo certificato che consenta un controllo di questi prodotti. Finalmente i prodotti halal sono un po' diversi da quelli convenzionali, e costituiscono una nicchia che consente, in certi casi, si smerciare prodotti di qualita' inferiore.
D. Di qualita' inferiore?
R. Nel libro cerchiamo di evidenziare come il mercato halal sia un'invenzione del marketing. Esistono sicuramente dei tabu' e delle prescrizioni alimentari nell'Islam, ma da secoli non sono oggetto di negoziazioni religiose. Gli esportatori europei, americani, australiani che negli anni '70 hanno proposto i primi certificati di conformita' islamica per passare le dogane e vendere le proprie merci di seconda scelta ai Paesi musulmani, non avevano tanti scrupoli. Essi hanno proposto loro norme halal, e gli importatori piu' interessati ai propri guadagni economici che alla rispondenza delle loro merci a quanto decantato, li hanno accettati. In seguito hanno adattato l'offerta alla domanda musulmana locale, cioe' le famiglie immigrate, poi l'hanno diversificata in tutto l'ambito dei prodotti da consumo, compresi quelli non alimentari come cosmetici e vaccini.
Il consumatore halal e' oggi tipicamente una donna o un uomo immigrati, inseriti in Occidente, per i quali essere musulmani e' una caratteristica identitaria, un modo per uscire dagli stereotipi dell'arabo legato alle classi popolari e pericolose. Oggi l'halal e' il prodotto di una crescita sociale e culturale mescolata ad una stagnazione economica dovuta a pratiche d'esclusione che le generazioni venute dall'immigrazione continuano a subire, ma che certi giovani imprenditori musulmani sanno ormai strumentalizzare a proprio vantaggio.

(traduzione dal quotidiano Liberation del 11 agosto 2010, intervista a cura di Catherine Coroller)
 
 
 
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