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Esseri neri nell'Unione Europea
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Articolo di Redazione
24 maggio 2019 10:56
 
 Sulla base dei dati raccolti nel corso dell’indagine EU-MIDIS II, l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea (FRA) ha pubblicato lo scorso novembre il rapporto “Essere neri nell’Unione Europea”, dedicato alle diverse forme di discriminazione e di razzismo che colpiscono gli immigrati originari paesi sub-sahariani. Il rapporto considera 12 Paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia e mostra chiaramente che ‘essere neri’ in Europa significa spesso dover fronteggiare pregiudizi ed esclusione in molti aspetti della vita quotidiana. Nonostante la legislazione europea contro le discriminazioni e il razzismo sia stata rafforzata nel corso del tempo, il divario tra la legge scritta e la sua applicazione rimane ampio e preoccupante.
Analizzando le risposte di 5.803 persone intervistate tra immigrati africani e seconde generazioni di origine africana, il campione statistico di EU-MIDIS II fornisce un quadro della situazione europea, evidenziando grandi differenze tra gli Stati considerati. L’indagine ha monitorato cinque ambiti principali di discriminazione.
1) Molestie e violenze razziste. Il 30 % degli intervistati hanno subito molestie e violenze razziste negli ultimi cinque anni; due terzi delle vittime non le hanno denunciate alle autorità per mancanza di fiducia o per paura nei confronti della polizia e dei pubblici ufficiali. Questi dati sono particolarmente allarmanti perché i reati di razzismo non colpiscono solo le vittime ma le loro intere comunità: il target della violenza è infatti non la persona come singolo individuo, ma come appartenente ad una certa comunità.
2) Racial profiling. Il 25% degli intervistati di seconda generazione è stato fermato dalla polizia negli ultimi cinque anni e circa la metà di loro ha percepito il fermo come una forma di “racial profiling”. L’Italia detiene il primato e risulta il Paese con il più alto tasso di persone intervistate che hanno subito questa pratica razzista (70%). Da notare inoltre che per gli uomini è tre volte più probabile essere fermati rispetto alle donne (22% vs 7%).
3) Discriminazione nei vari ambiti della vita quotidiana. Due quinti degli intervistati si è sentito discriminato per motivi razzisti negli ultimi cinque anni con riferimento alla ricerca di lavoro, sul lavoro, a scuola e nella ricerca di un’abitazione. La ragione più comune è il colore della pelle (27% a livello europeo); l’Italia ha il quarto tasso più alto (37%) dopo Lussemburgo (53%), Austria (45%) e Germania (37%). L’origine “etnica” è il secondo movente di discriminazione dichiarato più frequentemente (19% dei rispondenti), in cui tra l’altro l’Italia (34%) è seconda solo al Lussemburgo (42%).
4) Partecipazione al mercato del lavoro ed educazione. 4 intervistati su 5 si sono sentiti discriminati per motivi somatici ogni volta che contattavano le autorità scolastiche e 1 su 10 ha subito discriminazioni a scuola.
1 su 4 intervistati (25%) si è sentito discriminato nella ricerca di un lavoro (l’Italia detiene uno dei tassi più alti, il 46%); tra questi, 8 su 10 sono convinti che il colore della pelle o il proprio aspetto fisico siano stati la principale ragione della discriminazione. Anche il tipo e la qualità del lavoro svolto sono una questione da considerare poiché il 26% degli intervistati lavora in occupazioni poco qualificate nonostante uno su 10 abbia completato la formazione universitaria, laddove svolge questo tipo di lavori solo il 10% della popolazione. Da notare anche che in Italia la quota di giovani intervistati che non lavora e non è impegnato in alcun tipo di formazione è tra le più alte (42%) e presenta lo scarto più alto rispetto allo stesso tasso riferito alla popolazione complessiva (20%).
In Italia gli uomini subiscono il 10% in più di discriminazioni rispetto alle donne nella fase in cui cercano lavoro. Le donne sono invece maggiormente discriminate sul lavoro: solo una donna intervistata su tre ha un’occupazione retribuita, contro una media europea di 3 su 4.
5) Esclusione sociale e abitativa. L’accesso a soluzioni abitative pubbliche o private è stata un’esperienza discriminatoria per il 21% degli intervistati. Solo in Italia, al 31% delle persone intervistate di origine sub-sahariana è stato impedito di prendere in affitto una sistemazione da privati a causa delle loro origini “razziali” o etniche. Più della metà degli intervistati (55%) ha un reddito familiare, al netto delle rimesse inviate in patria, inferiore a quello della popolazione considerata a rischio di povertà, mentre il 13% dichiara di far fatica ad arrivare a fine mese.
I dati illustrati nel rapporto evidenziano da un lato come le persone nere siano profondamente discriminate in Europa e dall’altro dovrebbero essere un monito per i decisori europei a porre in essere misure più incisive e pratiche per attuare la legislazione vigente e promuovere le pari opportunità.

Il rapporto è scaricabile qui: https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2018-being-black-in-the-eu_en.pdf

(articolo di Milena Massini, pubblicato il 20/05/2019 su Storie di ordinario razzismo)
 
 
 
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