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Curatela e tutela internazionale dei minori. Il nostro intervento in Bielorussia
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Articolo di Isabella Cusanno
16 novembre 2011 12:01
 
Nell'ambito delle iniziative che stiamo conducendo sulla curatela e tutela internazionale dei minori, con particolare attenzione alla Bielorussia, facciamo il punto su quanto e come stiamo facendo in quel Paese: uno stralcio di terra senza mare eppure invasa dalle acque dei suoi fiumi e dei suoi laghi, lontana così tanto da noi eppure così invisibilmente dentro le nostre anime. Perché? Colpa di Chernobyl? Dei bambini? o di che altro ancora?
I russi, o forse solo i bielorussi hanno una capacità che noi italiani cogliamo d’istinto. Sono empatici.
E così li assimiliamo senza accorgerci, riscontriamo somiglianze non mediate dalle culture o dalle vicinanze.
Come l’accedersi di una particella dall’altra parte del mondo per un flusso invisibile di energia.
E potrebbe essere l’inizio di uno strano idillio, istintivo forse, ma profondo quanto la distanza che non riesce a separarci, se non fosse per qualche cosa d’altro che si sovrappone.
Il punto è che in questo angolo di mondo abbiamo dovuto specchiarci implacabilmente.
La Bielorussia è per gli Italiani un banco di prova, è il luogo nel quale, senza paraventi, siamo stati chiamati a dimostrare chi siamo.
E’ un luogo sufficientemente lontano, in cui culture diverse, tradizioni opposte, clima, collocazione geografica giocano a far trasparire senza ipocrisie l’indole dello straniero in visita.
In Bielorussia è ancora più facile, perché alla Bielorussia abbiamo attribuito tutti i difetti, tutte le mancanze, tutti i vizi, tutte le corruzioni.
E dunque perché no? Perché non adeguarci alle “usanze locali”. Può anche essere una forma di rispetto per la civiltà indigena, una ottima dimostrazione del nostro ruolo di stranieri in visita. Ci si adegua, ci si conforma. Ma a che?
Mi viene in mente una favola di Hans Christian Andersen: La regina delle nevi, il prologo per l’esattezza. I diavoli volano verso il Cielo con uno specchio infernale. Gli angeli intervengono e lo frantumano. Le schegge finiscono sulla terra e contaminano gli uomini: negli occhi e nel cuore, e chi ne ha un frammento nell’occhio vede brutta ogni cosa.
Siamo abituati a sentirci dire che noi Italiani siamo buoni, buonissimi. Amiamo la famiglia, i bambini e quanto altro. I cattivi sono sempre gli altri.
E i Bielorussi sono più cattivi degli altri per tutti quei motivi che qui non stiamo a specificare.
Ma io ho un dubbio, un dubbio che non vorrei fosse certezza. L’orco Bielorusso potrebbe essere nei nostri occhi contaminati.
Siamo talmente abituati in Patria ad accettare certe forme di compromesso che le diamo per scontate altrove.
Siamo talmente abituati a non rispettare la nostra legge ed a vivere comodamente di sotterfugi, da non considerare minimamente la possibilità di farlo là dove possiamo prendere a prestito ancora più pretesti.
In Bielorussia io ho trovato ogni collaborazione, quando ho chiesto l’applicazione della legge.
Non ho mai trovato ostacoli nei Bielorussi quando ho parlato di norme di diritto internazionale o bielorusso.
Ho incontrato un clima disponibile al dialogo senza arroccamenti, quando ho difeso gli interessi dei più deboli. Certo, non ci si può fermare e non ci si deve accontentare.
L’applicazione della legge può sempre essere migliorata: ma la legge c’è e va richiesta a gran voce.
Senza paura, perché la paura diventa presto fonte di perplessità e di equivoco, perché la paura, perfino quella più giustificabile, può sfociare in compromesso, in convivenza, in commistione ed in abuso.
Ogni volta che neghiamo ai deboli il sostegno della legge, rinneghiamo la loro dignità di esseri umani. E qualsiasi aiuto offriamo, ma privo del supporto del diritto, lo trasformiamo in elemosina tignosa.
Qualunque cosa costi dobbiamo rispettare l’uomo, se vogliamo davvero aiutare.
La Bielorussia è il nostro banco di prova.
E’ qui che dobbiamo dimostrare chi siamo, è qui che dobbiamo ritrovare la nostra identità, è qui che dobbiamo sperimentare quanto siamo in grado di confrontarci con la civiltà del diritto.
E la prima espressione della civiltà del diritto è quella di riconoscere e rispettare i diritti e la sovranità altrui, senza distinguo determinati da considerazioni ipocrite o scadenti.
Perché se vediamo un orco è molto probabile che sia nel nostro occhio.
La crescita civile e sociale passa per molte tappe, ma sono tappe che dobbiamo percorrere insieme, noi e loro, perché noi non siamo immuni dai difetti che vogliamo attribuire a loro.
 
 
 
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