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Coniugi extracomunitari di cittadini comunitari. Cassazione disapplica di fatto la normativa europea
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Articolo di Claudia Moretti
2 settembre 2010 12:40
 
Con un brutto e contorto ragionamento, la Corte di Cassazione (n.17346 del 23 luglio scorso) disapplica di fatto la direttiva europea che ha disciplinato il soggiorno dei cittadini comunitari e dei loro congiunti, privilegiando le norme meno favorevoli contenute nel testo unico sull'immigrazione.
Il caso e' quello di un cittadino extracomunitario coniugato con una nostra connazionale, il quale non ha ottenuto la carta di soggiorno prevista dalla legge n. 30/2007, ossia la legge che recepisce la direttiva 2004/38/CE su citata, in quanto non avrebbe dimostrato il requisito della convivenza.
Occorre preliminarmente chiarire che ne' la norma europea, ne' quella italiana di recepimento, prevedono la necessaria convivenza del coniuge del cittadino comunitario, anche se il partner e' extracomunitario. Cio' evidentemente e' in linea con l'evoluzione dei tempi: la co-residenza non e' essenziale nel legame di coppia tanto meno nel matrimonio. E' evidente che gli europei non si sono auto-imposti detta limitazione ed e' questa la ragione dell'assenza del requisito per ottenere il titolo di soggiorno in questione.
Gli europei, appunto. Ma non gli Italiani. Da noi c'e' una norma che mira a disincentivare i matrimoni di comodo e che impone, per la concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare (ossia un ricongiungimento fatto direttamente sul nostro territorio) al coniuge di cittadino italiano, anche il requisito della convivenza (art. 19 t.u. Immigrazione).
Detta norma e' temporalmente precedente alla normativa europea e gerarchicamente inferiore al diritto comunitario. Non v'e' dubbio, dunque, che secondo i pluriennali e consolidati metodi di raccordo fra leggi discordanti, la direttiva debba prevalere.
La Corte di Cassazione non ci sta! La norma italiana deve esser salvata. Per far cio' stravolge alcuni principi assodati sulle fonti del diritto e crea una disparita' evidente fra europei di serie A ed europei di serie B (gli italiani).
L'artificio utilizzato e' questo: si stabilisce che la norma europea si applica solo dopo che uno ha ottenuto la carta di soggiorno che essa prevede, prima di allora non si possono invocare diritti nascenti dalla direttiva o dalla legge che la attua. In parole tecniche, la concessione della carta diventa “costitutiva” dei diritti previsti dalla legge 30 e non “dichiarativa” dei diritti che derivano dal fatto di essere il coniuge di un cittadino europeo. Dunque, se ancora non si e' ottenuto il titolo europeo per stare col coniuge italiano, il cittadino extracomunitario dovra' necessariamente convivere con esso, altrimenti non potra' restare in Italia.
Si tratta di un escamotage, neppure troppo raffinato, per far prevalere il diritto italiano su quello europeo.
Ma cio' e' illegittimo, e lo e' per le stesse previsioni contenute nella direttiva, previsioni omesse e neppure citate nella sentenza.
In primo luogo, infatti, e' principio consolidato, nella legge italiana in materia di immigrazione, che a fronte di disposizioni piu' favorevoli per i cittadini europei (e per i loro congiunti), queste ultime debbano prevalere sulle piu' sfavorevoli.
La stessa norma la si ritrova pari pari nella direttiva europea, laddove all'art. 37 ci si preoccupa di far comunque spazio a disposizioni nazionali piu' favorevoli:
Articolo 37
Disposizioni nazionali più favorevoli

Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva.

In secondo luogo, la direttiva non disciplina in modo “formalistico” come vorrebbe la Corte. Tutt'altro. La direttiva attribuisce alle coppie sposate (o unite civilmente in altro modo), le garanzie e le modalita' di poter circolare liberamente in Europa. Disciplina il loro ingresso favorendolo, lasciandolo per i primi tre mesi senza formalita' e assicurandosi che non siano previste norme capestro per rendere la vita piu' difficile. Il legislatore europeo, infatti, non si attacca certo al dato formale della avvenuta domanda dell'istante e conseguente risposta amministrativa nazionale, per negare diritti che costituiscono la ragion d'essere della direttiva stessa. E' l'amministrazione che “riconosce” situazioni e diritti conseguenti ad esse. Non viceversa!
Si legga allora cosa prevede all'Articolo 10 - Rilascio della carta di soggiorno
1. Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente.

L'uso della locuzione “il diritto e' comprovato” e non il “diritto e' ottenuto” o “attribuito”, come vorrebbe la Corte di Cassazione, ne e' la prova testuale. Il diritto pre-esiste alla sua formalizzazione.
Ma questa e' l'Europa, appunto, non l'Italia.

 
 
 
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