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Cittadinanza italiana per matrimonio. Le nuove regole e la 'disciplina transitoria'
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Articolo di Emmanuela Bertucci
10 novembre 2010 12:12
 
L'introduzione del pacchetto sicurezza (l. 94 del 2009) e' intervenuto sulla disciplina della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio (art. 5 della legge n. 91 del 1992), modificandone i requisiti in senso decisamente piu' restrittivo. La cittadinanza italiana puo' ora essere richiesta se lo straniero risiede legalmente in Italia da due anni dopo il matrimonio (un anno in presenza di figli) – anziche' sei mesi come era previsto nella precedente normativa; al momento dell'adozione del decreto di cittadinanza non deve essere intervenuta separazione legale dei coniugi, o scioglimento/annullamento/cessazione degli effetti civili del matrimonio – mentre nella formulazione precedente non era indicato il “momento” del controllo, potendosi dunque presupporre (verifica in giurisprudenza) che tale momento fosse quello della presentazione dell'istanza.
Altre novita' di minor rilievo riguardano l'impossibilita' di autocertificare il possesso dei requisiti richiesti (dunque devono essere esibiti tutti i certificati relativi al matrimonio, residenza legale, casellario giudiziale, carichi pendenti, stato di famiglia, ecc.ecc.) e il costo della domanda, di euro 200,00.
La nuova legge dispone, secondo i principi generali del nostro ordinamento, per il futuro. Di conseguenza tutte le domande di cittadinanza per matrimonio presentate successivamente al 8 agosto 2009 (giorno di entrata in vigore del pacchetto sicurezza) dovranno necessariamente soddisfare i nuovi requisiti. Ben piu' problematico e', invece, il regime delle domande che al momento dell'entrata in vigore della nuova legge erano ancora pendenti. Il tema e' stato affrontato da una circolare del Ministero dell'Interno del 6 agosto 2009, che stabilisce – a nostro avviso illegittimamente – la disciplina da applicare in questi casi:
- alle domande per le quali l'otto agosto 2009 erano gia' trascorsi due anni dalla presentazione dell'istanza si applichera' la precedente normativa;
- alle domande per le quali l'otto agosto 2009 non era ancora decorso il termine di due anni, si applichera' la normativa nuova.
Secondo la circolare in quest'ultimo caso non si sarebbe formato un “diritto soggettivo pieno” del richiedente, e dunque questi dovra' dimostrare di aver maturato due anni di residenza legale in Italia. Una previsione a nostro avviso censurabile sotto diversi profili. In primo luogo poiche' “decide” quali situazioni concretano un diritto soggettivo e quali no, ambito anche questo di esclusiva competenza del potere legislativo. In secondo luogo perche' si sostituisce al legislatore, illegittimamente decidendo che la nuova norma ha effetti retroattivi che la stessa legge non prevede.
Gli effetti paradossali di questa illegittimita' stanno ora iniziando ad emergere: diverse persone stanno ricevendo dinieghi di cittadinanza perche' al momento della presentazione dell'istanza (avvenuta nel 2007 o nel 2008) non erano in possesso di requisiti stabiliti da una legge promulgata nel 2009, che chiaramente all'epoca non potevano conoscere.
Assurdo poi il fatto che molte persone si siano trovate, e si trovino, a dover provare di avere diversi requisiti in diversi momenti storici e in diverse fasi del procedimento amministrativo:
- sei mesi di residenza al momento della presentazione della domanda;
- due anni di residenza l'otto agosto 2009;
- la permanenza del vincolo coniugale alla data di emanazione del decreto.
Chi al momento della presentazione della domanda aveva tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza ora dovra' dimostrare di averne altri, senza nessuna garanzia che tali requisiti non cambino ancora prima della fine del procedimento, generando una situazione paradossale che potrebbe durare all'infinito.
Il Ministero dell'Interno si e' illegittimamente sostituito al legislatore, decidendo quali sono gli effetti di una norma nel tempo nonche' quali situazioni costituiscono un diritto soggettivo e quali no. Una circolare che ha chiaramente lo scopo di “rimandare” nel tempo i provvedimenti con cui si dichiara la cittadinanza italiana dei richiedenti e di “battere cassa” chiedendo a tutti coloro i quali hanno presentato la domanda dopo il 10 agosto 2007 il pagamento dei 200,00 euro previsti della legge.
Un provvedimento a danno dei (futuri) cittadini, che ci auguriamo i giudici civili chiamati a decidere su queste vicende disapplicheranno.
 
 
 
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