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Asilo politico. Professare pubblicamente la propria fede religiosa è una libertà insopprimibile
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Articolo di Claudia Moretti
18 ottobre 2012 12:59
 
Con sentenza dello scorso 5 settembre, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è pronunciata per difendere la libertà religiosa, stavolta non a tutela delle minoranze cristiane in Medio Oriente (sulle quali si erano pronunciati con risoluzioni il Parlamento europeo e l'assemblea del Consiglio d'Europa), ma sulle minoranze islamiche nei Paesi a maggioranza islamica.
Il caso sul quale la Corte si è pronunciata riguarda due membri del movimento riformatore dell'Islam Ahmadiyya, che, perseguitati dalla maggioranza sunnita del proprio Paese d'origine, il Pakistan, avevano richiesto asilo politico in Germania. Secondo la legge pakistana, infatti, il loro credo religioso, se pubblicamente professato, risulta blasfemo, e merita pene severe, fino anche a quella capitale.
Come noto, la Convenzione di Ginevra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la Carta dei diritti fondamentali (norme cogenti in Europa) garantiscono la protezione ai rifugiati che hanno “fondato timore” di esser perseguitati nel proprio Paese d'origine a causa della loro razza, religione, opinione politica o appartenenza ad un gruppo sociale, non potendo, avvalersi di alcuna protezione protezione nel Paese stesso.
Questi i quesiti posti, in via pregiudiziale dalla corte federale tedesca:
In quali circostanze una violazione della libertà di religione può dar luogo ad asilo politico in quanto “atto di persecuzione”?
E ancora: si può ritenere influente sulla decisione di concedere o meno asilo il fatto che il richiedente abbia la possibilità di rinunciare alla libera e pubblica professione della propria fede religiosa (pur professandola in privato)?
La Corte a tal proposito ha rilevato che è diritto umano fondamentale la libertà religiosa, ma che non tutte le violazioni sono tali e gravi sì da costituire il presupposto per l'accoglienza come rifugiato. Solo quelle che raggiungo la soglia della persecuzione vera e propria impongono agli Stati membri l'accoglienza secondo le normative internazionali su richiamate.
Nel caso specifico, l'avere un proprio credo, comporta naturalmente l'esigenza, la volontà e il desiderio di esternarlo e, a proprio modo, renderlo pubblico, dichiararlo, diffonderlo, esercitarlo in pubblico. Tale possibilità, invero, ne costituisce nucleo essenziale e irrinunciabile.
Appare dunque un risultato di cui ogni Stato membro deve tener conto, nei confronti di qualsiasi minoranza religiosa.

 
 
 
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